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  • Immagine del redattoreCristina Bombelli

Uguali o diversi?Riflessioni per un utilizzo consapevole del Diversity Management

Introduzione


Diversità e diversity management sono diventati termini frequenti nel lessico manageriale. Molte le aziende che preparano o hanno iniziato progetti che vanno sotto questi titoli, così anche la cospicua produzione della letteratura sottolinea l’interesse per un tema che sta diventando sempre più di attualità.


Il lavoro che si propone vuole mettere in guardia dai facili entusiasmi sottolineando le aporie e le contraddizioni che il tema apre, in primo luogo da un punto di vista della filosofia e della scelta strategica, in secondo luogo negli ambiti operativi che esso comporta.


L’esplorazione di queste contraddizioni non ha lo scopo di svilire il Diversity Management. Anzi, la mia convinzione, suffragata dall’attività del Laboratorio Armonia che si occupa di diversità come missione, è che un approccio corretto alla diversità darà un contributo fondamentale alla creazione del valore nel futuro. Questa affermazione, come si cercherà di dimostrare, ha delle ragioni oggettive nelle tendenze in atto dal punto di vista organizzativo e del lavoro, ragioni che necessitano la messa in campo di filosofie e di competenze di gestione del tutto nuove.



Uguali o diversi?


E’ questa la prima domanda chiave a cui è difficile rispondere, o forse dove non esiste una risposta polarizzata.

Partirò con un esempio: il primo tema di diversità di cui il laboratorio Armonia si è occupato aveva come oggetto le differenze di genere, con un particolare interesse verso il genere femminile, oggettivamente in numero inferiore nel lavoro e in particolare nei vertici delle piramidi organizzative.


Svolgendo lavoro di ricerca su questo tema abbiamo incontrato numerose donne perplesse, se non contrarie, ad un approccio, anche solo di indagine, che sollevasse il tema della differenze sessuale.

“Ricevo questo premio come persona e non come donna” disse una signora qualche tempo fa, al conferimento del Premio Avon per la miglior manager donna. Fu l’ultima edizione del premio e forse, quella frase sottolineata nel momento simbolicamente più alto del percorso di premiazione, ha avuto qualche responsabilità nella decisione degli organizzatori di soprassedere nel futuro.


E’ necessario quindi tenere conto di un disagio che può emergere nel momento in cui si viene indicati come coerenti ad un gruppo, a cui soggettivamente non si sente di appartenere (Bombelli, 1999).

E’ questo un elemento di grande importanza relativamente al tema dell’uguaglianza / diversità. Quali sono le caratteristiche che configurano un cluster di persone e quanto i soggetti si sentono corrispondenti a questi elementi. Relativamente al maschile e femminile la classificazione biologica è di indubbia facilità, ma quanto questa diventa euristica nel descrivere e prevedere dei comportamenti?


La classificazione / segmentazione delle persone ancorché necessaria per leggere e comprendere dei fenomeni si può rapidamente trasformare in una lettura stereotipica, dove le categorie diventano “caricature”. E’ questa una critica mossa, ad esempio, agli studi di Hofstede (Bollinger, Hofstede, 1989) che hanno dato un rilevante contributo alla comprensione delle culture manageriali, ma che hanno anche prodotto, in virtù anche delle classificazioni e dei ranking quantitativi proposti, una serie di stereotipi di difficile gestione.


Il rifiuto a volte palesato da parte della componente femminile a riconoscere la “diversità” nasce anche dalla storia del movimento femminile e femminista che ha dovuto lottare per riconoscere la parità e quindi l’uguaglianza soggiacente. Per le meno giovani scatta un meccanismo di rifiuto, legato alla fatica fatta per un conquistare un “diritto di cittadinanza” che rischiano, svalutando l’approccio, di vedere negato.


In questo caso l’uguaglianza è stato un valore positivo, valore totalmente inserito nella cultura occidentale moderna nata dalla Rivoluzione Francese che con il suo anelito a Libertà, Fraternità e Uguaglianza ha ribaltato una struttura sociale fondata sul censo.


Parlare di diversità significa, da un punto di vista del valore, rischiare di entrare in rotta di collisione con la cultura prevalente. D’altro canto appiattirsi sull’uguaglianza significa elaborare un pensiero semplice, fermarsi ai bisogni condivisi, quelli di base e poco più, non entrare in una dimensione “ecologica” in cui lo sviluppo si sostiene nell’equilibrio delle diversità (Callari Galli, Ceruti, Pivani, 1998).


La diversità declinata in termini culturali, e la relativa convivenza, pone di fronte ad una antinomia ancora più difficile. Da un lato per ogni gruppo sociale esiste una tensione alla conservazione della propria identità, tensione maggiore quando a questa conservazione si attribuisce un valore positivo di preservazione e prosecuzione delle proprie radici, dall’altro ogni gruppo sociale di mescola con altri vicine e lontani, diluendo la propria identità e perdendo tratti caratteristici. L’elaborazione di politiche di convivenza non è dovuta al caso, ma alla capacità di saper riconoscere e negoziare gli elementi di diversità delle differenti culture (Wieviorka, 2002; Meyer, 2001; Bocchi, Ceruti,1994).





Perché Diversity?


Le motivazione per cui molte aziende hanno deciso di implementare una politica di diversità sono in primo luogo di natura oggettiva.

Da un lato la diversificazione e la crescita di complessità dei mercati, dall’altro il conseguente articolarsi delle organizzazioni per rispondervi hanno nel tempo modificato la composizione e la qualità della forza lavoro impiegata.

I cambiamenti più rilevanti che le aziende si sono trovate ad affrontare sono di natura differenziata, e perciò hanno influito a portare elementi di diversità che devono essere gestiti.


In primo luogo la crescita delle multinazionali e la diffusione di accordi di collaborazione internazionali hanno avuto come conseguenza l’instaurarsi di un management interculturale che ha dovuto imparare, spesso anche con travagli personali non semplici, che molti aspetti dei propri comportamenti e dei propri valori non erano necessariamente universali (Decastri. 1993).

Sono anche aumentati i rapporti di scambio con aziende straniere sia sul versante delle acquisizioni che in quello delle forniture, passando da culture simili quali quelle europee o americane, a rapporti con culture sempre più distanti e di difficile comprensione quali quelle del mondo arabo o dell’Asia.


Il tema cross culture si sta ora affacciando anche in aziende tipicamente italiane in virtù dei fenomeni migratori e della scarsità di manodopera locale per alcune posizioni professionali. Questo comporta che sempre più spesso è possibile trovare nei reparti produttivi, nei cantieri edili, nell’assistenza ai bambini e agli anziani, ma progressivamente anche negli uffici e nei laboratori, persone di nazionalità molto differenti che lavorano gomito a gomito (Ambrosini, 2001).


Un secondo elemento di natura oggettiva che ha contribuito ad elevare l’attenzione verso il diversity management è la progressiva femminilizzazione del mercato del lavoro.

In Italia, seppure con un costante ritardo rispetto a molti paesi europei, la partecipazione delle donne al lavoro è cresciuta progressivamente dall’inizio del secolo. In particolare, dopo la prima guerra mondiale, in conseguenza della sostituzione dei ruoli che le donne operarono nel mercato del lavoro a causa dell’assenza degli uomini chiamati al fronte, il nostro paese ha dovuto accettare la presenza femminile precedentemente preclusa in molte professioni anche per legge.


Inoltre mentre fino a pochi anni fa la partecipazione femminile al mercato del lavoro spesso si interrompeva con la gravidanza e il parto, oggi le curve di occupazione femminile rivelano la tendenza, nella maggioranza dei casi, a rimanere attive anche dopo il parto. Questa propensione si innalza nel lavoro qualificato e professionalmente gratificante, per cui se ancora oggi molte operaie o addette ai lavori umili tendono a lasciare il lavoro per il compito familiare - probabilmente anche per un bilanciamento economico sfavorevole – le donne ad alta scolarità mantengono la posizione occupata prima della maternità. La presenza femminile oltre ad essere progressivamente in crescita, occupa via via posizioni più qualificate e quindi meno fungibili (Bombelli, 2000).


Nella società italiana, in particolare nel segmento affluente e quindi tendenzialmente affrancato dai bisogni sopravvivenza, sono altresì in atto fenomeni di diversificazione e articolazione delle richieste che i singoli muovono all’universo lavorativo. Questo fenomeno, seppur non sempre decodificabile in modo preciso, è piuttosto comprensibile relativamente alle cause. Persone sempre più scolarizzate, che con aumenti di stipendio anche del 10 o 20 % non modificano sostanzialmente la qualità della loro vita, attente alla qualità dei prodotti e dei servizi, spesso aggregate a valori socialmente positivi, chiedono al lavoro percorsi di autorealizzazione non univoci, ma fortemente personalizzati.


La domanda complessiva di qualità si trasferisce nell’universo lavorativo chiedendo sfide professionali progressive, climi di lavoro positivi e relazioni costruttive. E’ questo un fenomeno in crescita soprattutto nei mercati del lavoro a piena occupazione e che sfida le organizzazioni ad inventare nuovi sistemi per trattenere le persone.


Ancora la complessità crescente dei task e la conseguente complessità delle organizzazioni richiede posizioni estremamente diverse tra loro per background e specializzazione che, pur all’interno di una dinamica fisiologica di coordinamento organizzativo, rischiano di innescare patologie di comunicazione e di conflittualità che richiedono una gestione accurata.


Infine nei paesi occidentali si stanno verificando relativamente al lavoro e alle persone due fenomeni contrapposti e potenzialmente schizofrenici: da un lato per i noti fenomeni di costo del welfare e per l’allungamento progressivo della vita media si tende ad innalzare l’età lavorativa, dall’altro nella cultura manageriale si sta affermando uno stereotipo giovanilista che considera valide le persone fino ad una età relativamente bassa. Se la carriera non si è intrapresa entro una certa età, le persone vengono considerate a basso potenziale. Questo porta ad un allargamento progressivo di una fascia di lavoratori, anche qualificati e con buone posizioni lavorative, considerati (stereotipicamente?) non più consoni all’organizzazione.


A questo si può aggiungere anche che i bisogni e le attese cambiano nei diversi momenti del ciclo di vita del singolo. Se una giovane donna può essere disposta a lavorare moltissimo nella prima fase della sua carriera, in un momento successivo, per rispondere a bisogni di conciliazione, può richiedere orari minori, oppure viceversa un giovane con un interesse particolare potrebbe richiedere all’inizio della propria attività, di potere continuare ad avere tempo e spazio per un suo hobby, mentre in un momento successivo potrebbe essere interessato a posizioni ad alta intensità di lavoro. Questo significa che ciascuno modifica le proprie aspettative nel corso del tempo e che questa non linearità dovrebbe far pensare in modo nuovo alle persone da parte dell’azienda.

Sicuramente a questi dati oggettivi altri se ne possono aggiungere; il risultato di questi fenomeni tra loro intrecciati è la frammentazione di esigenze, bisogni e valori che giustificano l’irruzione del tema della diversità nell’universo aziendale.


Queste considerazioni portano anche ad un’altra possibile conclusione: molte aziende non hanno colto l’essenza di questo fenomeno e nelle loro politiche di gestione delle persone ancora si muovono come se tutti fossero uguali, classificabili in grandi categorie contrattuali e fungibili in modo rapido.

Anche il Sindacato, in modo complementare, fa fatica ad accettare l’idea che le persone siano diverse, con esigenze differenziate e articolate. L’egualitarismo spinto, pur essendo politicamente più facile da sostenere, mortifica l’individuo e gli fa cercare strade individuali di soluzione dei propri problemi.


In questo modo non si coglie che le persone oggi sono diventate un patrimonio purtroppo ancora spesso intangibile, ma di primaria importanza. L’assenza di strumenti di connessione tra le risorse intangibili e i costi / benefici tangibili non aiuta le aziende a monitorare un fenomeno empiricamente rilevabile. La perdita di alcuni talenti, il turn over ravvicinato, l’assenza di percorsi realizzativi che demotivano le persone non sono costi immediatamente quantificabili: il buon senso ci dice però che sono crescenti.


Tipologie di diversità


La diversità può avere una dimensione primaria ed una secondaria (Loden, Rosener, 1991).

Le dimensioni primarie sono:

  • l’età

  • il genere

  • l’origine etnica

  • le capacità / caratteristiche mentali e fisiche

  • la razza

  • l’orientamento sessuale


Tra le dimensioni secondarie rientrano:

  • il background educativo

  • la situazione familiare

  • la localizzazione geografica

  • la religione

  • il reddito

  • l’esperienza militare

  • il ruolo organizzativo

  • l’esperienza organizzativa

  • lo stile di lavoro


Di seguito diamo una raccolta di definizioni di diversity management rintracciabile in letteratura (scheda 1).


SCHEDA 1: Definizioni di diversity (Kandola, Fullerton, 1994)

  • Capire che ci sono delle differenze tra le persone che lavorano e che queste differenze, se opportunamente gestite, sono una risorsa per far diventare il lavoro più efficace ed efficiente. Esempi di fattori di diversità sono razza, cultura, etnie, genere, età, disabilità ed esperienza lavorativa (Bartz e al. 1990).

  • L’idea di gestione della diversity è inclusiva, la diversità include i maschi bianchi. Gestire le diversità non significa che i maschi bianchi saranno gestiti dalle donne e dalle minoranze, ma viceversa che tutti i manager gestiscono tutte le persone che lavorano. L’obiettivo diventa creare un ambiente che scopra le potenzialità di ciascuno senza che nessun gruppo sia avvantaggiato da una irrilevante classificazione o dalla sua accidentale nascita (Hammond, Kleiner, 1992).

  • Le persone sono diverse una dall’altra in molti modi – per età, genere, scolarità, valori, aspetto fisico, intelligenza, personalità, esperienza, abilità, forza fisica e il modo di approcciare il lavoro. Guadagnare il vantaggio della diversità significa imparare, comprendere e apprezzare queste differenze e progettare un luogo di lavoro che sviluppi questi valori – diventando abbastanza flessibile da accogliere bisogni e preferenze – per creare un ambiente motivante e accogliente (Jamieson, O’Mara, 1991)

  • Le persone che lavorano devono mettere in atto tutte le strategie utili per trovare i talenti che occorreranno loro negli anni a venire. Una di queste strategia consiste nel comprendere i propri filtri culturali e nell’accettare le differenze nelle persone così che ognuno si senta trattato come un individuo unico (Kennedy; Everst 1991)

  • La diversity si riferisce a molto di più che non al colore della pelle o al genere. Essa può comprendere età, razza, religione, , staus economico, esperienza militare e orientamento sessuale (Galagan, 1991)

  • Le diversità culturali creano un ambiente in cui le differenze individuali sono evidenti, sono rispettate strade diverse per raggiungere il risultato e il talento e le caratteristiche delle persone provenienti da background diversi con patrimoni culturali differenti, sono pienamente valorizzati, messi a frutto e sviluppati. Un ambiente così, noi crediamo, potrà conseguire risultati di business superiori (Greenslade, 1991)

  • Gestire la diversity significa mettere in condizione qualsiasi persona che lavora di realizzare il suo potenziale, ciò equivale ad ottenere da ognuno tutto ciò che è ragionevole attendersi e permettere ad ognuno di dare ciò che può dare.




Senza pretesa di dare una definizione univoca ed esaustiva di diversity management potremmo dire che tale modalità di gestione delle persone si sviluppa dalla consapevolezza delle diversità esistenti in ciascuno e tenta di mettere in atto un cambiamento culturale diffuso e di progettare degli strumenti di gestione che consentano di accogliere le diversità compatibili con l’organizzazione.


In questa definizione si vogliono contenere i due aspetti complementari che devono essere tenuti presenti nella progettazione della diversity, da un lato le persone con i loro valori, le loro culture e i loro comportamenti, dall’altra l’organizzazione, il contesto sociale in cui le persone operano che può globalmente accogliere o rifiutare l’idea di diversità. Cerniera tra questi due elementi è lo stile di leadership diffuso nell’organizzazione che deve esprimere impegno rispetto a questi temi e mettere in atto comportamenti coerenti.


Potremmo quindi affermare che il tema della diversity si muove tra la psicologia individuale, la psicologia sociale e l’organizzazione.

Dal punto di vista individuale ciascuno è portatore di intolleranze verso altrui valori e comportamenti che possono derivare dalla propria storie e dalle proprie esperienze, ma anche dall’assimilazione dei comportamenti dal gruppo sociale a cui si fa riferimento.

Questa seconda fonte di stereotipi è molto potente, in quanto profondamente implicita. Infine l’organizzazione intesa come sottogruppo sociale particolare si può distanziare, in misura relativa, dalla cultura dominante producendo un ambiente con valori diversi.


L’esistenza di questi livelli e la loro reciproca connessione potrebbe essere esemplificata da una riflessione sugli equilibri di genere. Ogni persona nella propria vita ha sperimentato una divisione dei compiti di genere in famiglia, può ad esempio essere vissuta in una situazione molto condivisa, dove il padre e la madre avevano sviluppato una ampia fungibilità senza connotare il genere maschile o femminile di particolari attributi negativi; questa esperienza potrebbe essersi sviluppata in un contesto in cui viceversa le donne vengono prevalentemente considerate adatte ai lavori domestici e auspicate come la chiave di volta dell’educazione in un paese in cui i servizi di welfare sono relativamente scarsi.


Nella propria esperienza lavorativa questa persona si può trovare in una azienda molto coerente con i valori del paese, in cui le donne sono segregate in posizioni marginali, in attesa della maternità che le allontano definitivamente dal lavoro oppure potrà prestare la propria opera in una multinazionale il cui management proviene da un paese egualitario in cui uomini e donne sono considerati in modo meno differenziato. E’ probabile che quest’ultima situazione dal punto di vista motivazione sia più consona per una persona che ha vissuto dal punto di vista personale l’esperienza descritta.


Questo itinerario ci porta a due ordini di considerazioni: la prima è che esiste un gap potenziale tra queste dimensioni – individuale, sociale e organizzativa – che non può essere molto diversificato all’interno di una stessa realtà geografica. E’ molto probabile che i comportamenti familiari siano sintonici con quelli del gruppo e quindi si riverberino sull’organizzazione. Diversa è evidentemente la situazione cross-culture dove la vicinanza di forme di valori e comportamenti anche molto differenti costringe i singoli e le organizzazioni ad esplicitare ciò che viene dato per scontato e a rielaboralo.

La seconda considerazione riguarda la necessità di una fitness, di una coerenza tra i valori delle persone e quelle dell’organizzazione. Fonte di infelicità lavorativa può essere lavorare in un ambiente molto distante dai propri valori. D’altro canto la completa sovrapposizione tra i valori individuali e quelli organizzativi potrebbe portare ad una situazione di stasi e di non evoluzione dovuta al reciproco confermarsi di valori e comportamenti.


Affrontare il tema delle diversità significa cercare di incidere su questi diversi livelli tenendo conto che esiste una sorta di piramide relativamente a questi aspetti in cui alla base esistono i bisogni individuali, poi i valori infine i pensieri e i sentimenti. Questi tre aspetti danno luogo alla parte emersa della piramide che sono i comportamenti.



A parziale conclusione possiamo dire che l’ipotesi della diversity approfondisce ed estende quella della discriminazione che cercava di sanzionare comportamenti scorretti in relazione a qualsiasi segmento di popolazione. Ovviamente attraverso la diversity si cerca di abbattere le barriere discriminatorie, ma in più si propone di valorizzare le dimensioni di talento individuale. In questo cambiamento di prospettiva si tende a valorizzare sia i contributi individuali che il contributo che le persone possono dare all’organizzazione. Viceversa nella logica delle pari opportunità venivano salvaguardati gli interessi dei singoli senza necessariamente tenere presente i vantaggi organizzativi.

Il gioco soggiacente passa quindi da win-loose a win-win con evidenti elementi di reciproco vantaggio.



Cosa comporta non gestire le diversità


Come ricordato precedentemente, nonostante i cambiamenti di natura oggettiva che si stanno verificando, molte organizzazioni non hanno realizzato le conseguenze che possono verificarsi al proprio interno disattendendo le sollecitazioni provenienti dal contesto.

Non gestire le diversità, soprattutto nelle organizzazioni più sottoposte a queste sollecitazioni, quali quelle knowledge intensive e di servizi, comporta diverse aree di problematicità che possiamo così sintetizzare:


  • Ogni organizzazione ha il problema di “mettere la persona giusta al posto giusto”. Lo slogan derivato dal buonsenso contiene gli elementi di natura professione, conoscenze e competenze, che le aziende hanno imparato a decodificare e valutare con molti strumenti. Contiene però anche gli elementi di attitudine e di bisogno in senso più esteso, la cui sottovalutazione può comportare perdite di patrimonio intangibile;


  • Come conseguenza di questa disattenzione organizzativa si può verificare la perdita di “talenti” ;


  • L’ascolto dei bisogni delle persone, anche quelli non direttamente legati alla prestazione lavorativa, ha una evidente funzione motivante. Un esempio può essere derivato dall’utilizzo dei sistemi premianti. In alcune ricerche sul management femminile emerge che molte donne sono relativamente sensibili ad aumenti salariali o a simboli di status, mentre prediligerebbero aspetti qualitativi e soprattutto bonus temporali (Bombelli, 2000)


  • Infine non conoscere la propria cultura e non interrogarsi su di essa può portare alla sottovalutazione di alcuni conflittualità interne che potrebbero sorgere con i connessi fenomeni di esclusione o di mobbing.




Cosa significa gestire la diversità


Se la non gestione delle diversità comporta una serie di possibili conseguenze che abbiamo più sopra sviluppato, la decisione di affrontare il tema non è di natura lineare.

Le aporie di natura più complessiva che sono state sottolineate all’inizio di questo lavoro si traducono in alcune contraddizioni possibili nella prativa organizzativa, per cui non esiste una risposta univoca.



  • La prima considerazione riguarda il fatto che l’uniformità dei valori e dei comportamenti è organizzativamente e personalmente più gratificante. Dal punto di vista individuale ciascuno di sente confermato nella propria visione, mentre dal punto di vista organizzativo la comunicazione è più rapida ed efficiente. Quindi l’uniformità è organizzativamente efficace perché favorisce l’integrazione e la compattezza. D’altro canto è condiviso come l’eccellenza dipenda dalle diversità e dal potenziale creativo che il loro incontro genera;


  • Le differenze possono essere un valore quando danno un contributo più ampio alle esigenze aziendali, ma ascoltare i diversi bisogni (ad esempio di tempo) significa scombinare e modificare le tradizionali modalità organizzative, comode perché uniformi;


  • Dal punto di vista individuale ciascuna persona cerca l’uguaglianza intesa come “conferma” della propria identità e delle proprie scelte, ma le differenze possono far capire ai singoli la non consistenza delle proprie convinzioni;


  • Accettare i valori altrui porta ad un allargamento della propria visione, ma alcuni valori sono realmente in conflitto e quindi inconciliabili. Si tratta di una estrema ratio che deve essere tenuta presente per non affrontare il tema in termini esclusivamente valoriali ( la diversità è buona cosa sempre). In realtà le radici culturali dei popoli sono così profonde ed articolare che molti aspetti richiedono una faticosa conciliazione o addirittura sono inconciliabili.



Come affrontare il tema della diversità: le aree di lavoro


Come già sottolineato vi è in questo tema una complementarietà necessaria tra individuo e organizzazione.

Nei livelli – individuo, società e organizzazione – sopra delineati sono in nuce presenti le aree di lavoro per una azienda che intenda affrontare la diversità.



Area della consapevolezza individuale e sociale


Gli individui, il più delle volte, mettono in atto comportamenti difensivi (Argyris 1985) tesi a tutelare le proprie convinzioni.

Qualsiasi percorso di riflessione sulla diversity non può ignorare il fatto che gli stereotipi sono spesso sedimentati profondamente e nascosti all’osservazione. Affrontare il tema a livello individuale significa strutturare delle occasioni , ad esempio formative, che consentano alle persone di avviare un processo di consapevolezza dei propri bisogni e valori.


L’analisi e la condivisione della dimensione culturale è un passaggio complementare a quello individuale che risulta necessario per comprendere innanzitutto le proprie diversità e per mettere a fuoco l’eventuale esistenza di un gruppo dominante.

Una azienda multinazionale ha iniziato il proprio percorso di sviluppo della diversity con seminari induttivi sviluppati in primo luogo dal top management per comprendere le proprie modalità di funzionamento. Il dato più eclatante emerso è stato che i criteri di scelta e cooptazione dei top managers erano, ancorché impliciti, estremamente precisi. Maschi, alti, bianchi e di provenienza dello stesso territorio del fondatore dell’azienda.


Queste aree di lavoro si possono affrontare non solo con la formazione e le occasioni di discussione guidata, ma anche con percorsi di contaminazione reciproca in cui si sviluppano le occasioni di contatto e di lavoro comune.

A questi processi si possono aggiungere momenti specifici di acculturazione sui temi delle culture e dell’antropologia.



Area della leadership


Come già precedentemente sottolineato il ruolo degli stili di direzione adottati è di importanza capitale.

Le culture devono la loro coesione a radici comuni e ai rinforzi che la gerarchia, in modo più o meno consapevole, attua.

Spesso coloro che esercitano un ruolo di comando non hanno coscienza di quanto il loro ruolo sia di capitale importanza sia nella definizione dei valori dichiarati, che nella coerenza con i valori praticati.


Area dei sistemi operativi


I sistemi operativi intesi come le regole progettate per consentire il funzionamento organizzativo sono gli ambiti in cui si attuano i valori dichiarati.

Le aree regolative di maggiore pertinenza con la dimensione della diversity sono quelle di gestione del personale e gestione delle informazioni.

Il reclutamento e la selezione sono stati i momenti, anche dal punto di vista legislativo, più facilmente imputabili di essere potenzialmente discriminanti. L’affinamento delle tecniche e la definizione dei criteri di indagine aiutano a comprendere quanto si soggiace a stereotipi. E’ interessante notare che mentre in Italia la legge proibisce di orientare la selezione per sesso, negli USA sono vietate domande di qualsiasi tipo non pertinenti alla mansione e alla performace attesa. Ad esempio è espressamente vietato chiedere l’età dei candidati.


Un analogo lavoro di ripensamento è necessario per quanto riguarda la valutazione di prestazione spesso non tanto relativamente al dettato procedurale, quanto alla dimensione di accoglimento culturale. Ad esempio il tempo di permanenza in azienda che in Italia viene spesso considerato positivamente perché sintomo di fedeltà e di disponibilità, se non opportunamente corretto da una valutazione di contenuto, rischia di deformare l’attività di valutazione.


Questo tema è tanto più importante quando la valutazione di prestazione è tesa a supportare lo sviluppo di carriera nelle posizioni elevate.

E’ noto che chi detiene il potere tende a confermare le proprie caratteristiche sopravvalutando nei momenti di cooptazione le persone dalla caratteristiche più simili.

A questi elementi possiamo aggiungere i sistemi di premio che, come già sopra evidenziato, dovrebbero essere ripensati in un’ottica di soddisfazione di bisogni differenziati.

La difficoltà, da questo punto di vista, è equilibrare la differenziazione con un necessario principio di equità.


Area della comunicazione integrata


I valori praticati nell’organizzazione vengono comunicati in modo simbolico in molti modi.

Dall’arredamento ai layout, dalle scelte di enfasi sulla sobrietà o sull’opulenza, fino ad arrivare alla comunicazione interna ed esterna, tutto contribuisce a descrivere l’identità di una organizzazione.

La scelta di occuparsi di diversity deve trovare un momento di ripensamento del proprio modo di comunicare per identificare eventuali incoerenze rispetto ai nuovi valori praticati dall’organizzazione.



Un possibile processo di Diversity Management


Per passare ad una progettualità più concreta possiamo ipotizzare un possibile percorso di implementazione con l’obiettivo di definire delle fari logiche che possano essere adattate alle realtà singole, con le loro necessarie specificità.


  1. Analisi della situazione aziendale

E’ necessario in questa fase identificare le particolarità organizzative che renderebbero necessaria una politica di diversity.

L’azienda potrebbe aver sviluppato maggiori contatti internazionali o essere in procinto di farlo, potrebbe essere in joint venture con aziende culturalmente molto differenti, oppure scopre che il proprio personale è estremamente omogeneo dal punto di vista del genere o dell’età.

Si tratta di verificare quali dei fenomeni di contesto delineati nell’introduzione sosterrebbero la scelta del diversity management.


  1. Trattandosi di un itinerario complesso, ma che soprattutto tende a mettere in discussione le radici culturali dell’azienda è necessario un impegno da parte del vertice che si assuma anche simbolicamente la responsabilità dell’iniziativa.


  1. Dalla descrizione del proprio contesto si può passare con maggior precisione alla identificazione delle aree critiche, con una diagnosi delle particolarità organizzative. E’ questa una fase che può essere attuata con i tradizionali strumenti della ricerca sociale, dai questionari ai focus group.


  1. Da questa fase si può logicamente sviluppare la definizione degli obiettivi, che è opportuno sia chiara e già collegata agli indicatori di risultato.


  1. Progettazione delle aree di intervento: livello culturale e simbolico, livello organizzativo, sistemi operativi;


  1. Eventuale formazione a sostegno o workshop di sensibilizzazione


  1. Responsabilità dell’intervento, eventuale gruppo di lavoro ed servizi a supporto


  1. Monitoraggio dei risultati sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo




Le tipologie di progetti che possono supportare un percorso di Diversity Management sono molteplici e la loro scelta dipende sia dalla storia/cultura aziendale che dalle problematiche individuate nella fare dell’analisi.

Se ne fornisce un elenco con l’obiettivo di dare concretezza a quanto sopra esposto:


Un primo tema di grande importanza è l’organizzazione del lavoro relativamente alle macro coordinate spazio temporali. Il fatto che tutti si raccolgano in uno specifico edificio e ad orari prestabiliti per lavorare è coerente con determinati tipi di produzione e con task individuali strettamente integrati. Nello spostamento tendenziale delle organizzazioni da labour intensive a knowledge intensive, con un output sempre meno fisico e sempre più immateriale, le modalità di integrazione divergono e si ampliano supportate da un intenso contributo tecnologico (De Masi, 1999).


Oggi sempre più frequentemente orari e luoghi di lavoro uguali per tutti sono esclusivamente un retaggio del passato, che continua semplicemente perché si è sempre fatto così ed è più faticoso mettersi a progettare una organizzazione dove gli individui possano in modo autonomo ripensare lo spazio tempo.


Relativamente alle tematiche culturali si può agire migliorando la consapevolezza dei singoli circa le dinamiche esistenti e supportando lo sviluppo di competenze di gestione delle diversità, sia attraverso la formazione che progetti di ricerca e identificazione della aree di problematicità (Hammond, Keiner, 1992).


Vi sono ambiti di problematiche individuali – ad esempio nei percorsi di carriera al femminile, ma anche in modo generalizzato – che possono essere affrontate con interventi di tipo one-to-one. Se diverse sono le posizioni e differenti gli approcci personali, la tradizionale formazione orientata ad obiettivi comuni può non essere più sufficiente. In questo caso si possono prevedere percorsi di mentoring o di coaching in cui i singoli sono seguiti in modo specifico e differenziato.


Questo modo di intendere la Diversity ponendo l’individuo al centro dell’interesse organizzativo, consente anche di rivisitare le tradizionali modalità di gestione del personale in modo più personalizzato. Ad esempio nell’incrociare individui e posizioni lavorative, nel costruire sistemi premianti coerenti con le reali aspettative, nel supportare bisogni e stili di vita diversi (Jamienson, O’Mara, 1991)


Vi sono inoltre alcuni progetti che risultano di confine tra il Diversity management e l’attuazione di politiche di responsabilità sociale.

Si allude ai processi di work and life balance quando questi supportano o integrano percorsi di welfare non occupati dal pubblico. Ad esempio la proposta di strutture di infanzia in azienda, piuttosto che il supporto alle famiglie con anziani o disabili, supporto che può concretizzarsi in informazioni di natura socio assistenziale, piuttosto che in convenzioni con strutture sanitarie o case di riposo. Il coinvolgimento aziendale varia in questi casi da semplice costruzione di network, fino ad una condivisione economica.

Per quanto riguarda i figli vi sono aziende che supportano i periodi estivi con colonie, viaggi e attività varie. Molte sono le iniziative di borse di studio o di viaggi all’estero.


Questi progetti di supporto alla famiglia sono molto apprezzati soprattutto dalle donne che solitamente in misura maggiore si fanno carico dell’organizzazione familiare.

Il segmento femminile è frequentemente un capitolo della politiche di diversity. Oltre ai progetti già citati, vengono messi in atto percorsi di superamento di eventuali segregazioni orizzontali – posizioni esclusivamente maschili o femminili – o verticali, ovvero la non occupazione da parte delle donne di posizioni gerarchicamente significative. Interessante a questo proposito è anche la diffusione di una cultura attenta al sexual harrassement.


Infine alcuni progetti affrontano la diversità legata alla disabilità e alla malattia. Come è noto nel nostro paese esistono quote di assunzione di persone con diverse problematiche che le imprese devono rispettare. Questo adempimento legislativo può essere fatto in modo burocratico, oppure gestito con attenzione per sviluppare una maggiore integrazione tra le persone e l’azienda.


Conclusioni


Come si è cercato di dimostrare il tema delle diversità non è semplice. L’interesse di cui è circondato deriva da alcuni cambiamenti in atto che sempre più si pongono oggettivamente all’attenzione manageriale. In aggiunta ad una necessità di tipo esterno il tema raccoglie anche una istanza etica che in misura sempre maggiore interessa le imprese.

Si coagulano in questo modo esigenze soggettive, etiche e di business, così che il tema può diventare interessante sotto molti aspetti che loro differenziati.


Prima però di intraprendere un percorso di questo tipo è utile mettere a fuoco che:


  • La diversità è un valore, ma lo è anche l’uguaglianza. Per arrivare a trattare ogni persona secondo le sue necessità – come qualcuno propugnava nel secolo scorso – bisogna prima rispondere al bisogno di equità che le persone manifestano. Questa apparente contraddizione può essere sanata distinguendo la soddisfazione di bisogni che vengono più valutati relativamente all’equità, quelli di base e quantitativi, e quelli più differenziati per sesso, ciclo di vita, piuttosto che scelte individuali.

  • Non è possibile sviluppare una politica di diversity se non con un profondo e convinto coinvolgimento del vertice. Se così non fosse il rischio è di trasformare una opportunità nell’ennesima strategia di comunicazione non coerente con i fatti. In questo caso i risultati possono essere peggiori dell’immobilismo.

  • Accettare la diversità comporta innanzitutto un percorso individuale e personale di apprendimento in cui si mettono a fuoco quali stereotipi albergano nelle diverse menti e quali diversità si è singolarmente disposti ad accettare. Non sempre ciò è facile e spesso non si ha voglia di farlo.



Se alla fine lo si decide, affrontare le diversità allora può diventare una fatica che vale la pena intraprendere.

Si possono raggiungere risultati di migliore soddisfazione e quindi di retention, si possono abbassare i livelli di conflittualità e migliorare la conoscenza della propria cultura. Questi obiettivi potranno avere una conseguenza diretta sull’immagine interna e indiretti sull’immagine esterna se opportunamente comunicati e condivisi con un pubblico più vasto.


Maggiore consapevolezza della propria cultura significa anche capacità di definire quali sono i livelli di diversità inaccettabili per l’organizzazione e di motivarli in modo professionale. In questo modo il confronto di identità tra l’organizzazione e l’individuo può diventare un processo di reciproca conoscenza e negoziazione di equilibri e non un momento di discriminazione.



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