Tra i termini usati dalle donne in elevata posizione organizzativa uno dei più ricorrenti è “fatica”. Approfondendo il significato attribuito a questa parola si coglie non tanto, o non solo, la fatica fisica e il senso di responsabilità, ma molto più spesso il senso di pesantezza connesso al fatto di dover giocare un “gioco duro”.
I contesti in cui il gioco si fa duro sono quelli in cui le regole diventano sempre meno univoche, dove, pensando di non essere visti, le persone affilano le lame da utilizzare contro gli altri. Un esempio aziendale riguarda il momento di fusione / acquisizione, in cui si assiste ad un fair play di facciata, mentre nei corridoi si tessono alleanze e si svolgono negoziati impliciti. La situazione è di evidente “restringimento di posti”, ma soprattutto di ridistribuzione del potere. Raramente però il tema viene affrontato apertamente. Viceversa si iniziano una serie di “giochi” di natura complessa, in cui i diversi attori mettono in campo appoggi, competenze e diverse capacità.
Lo stesso accade nello scenario politico: mentre si invocano regole che consentano di controllare le dinamiche interne agli schieramenti, ad esempio le primarie, dall’altro vi è una continua trattativa che riguarda le posizioni, il potere attribuito e le possibilità di sviluppo. La situazione non è molto dissimile in altri contesti, in cui le regole sono poche e per lo più non rispettate, come le tradizionali baronie universitarie.
In tutti questi casi la durezza del gioco consiste proprio nella scarsezza e poca trasparenza delle regole esplicite e quindi nella necessità di improvvisare mettendo in campo la propria determinazione. Il filo conduttore è quindi saper proporsi, saper combattere e, alla fine, saper imporsi.
Le donne raccontano della loro fatica o incapacità ad entrare in questo tipo di territorio. Il termine gioco non è utilizzato casualmente, ma nel senso ad esso attribuito da Erving Goffman, sociologo americano che ci ha lasciato utilissime osservazioni sulle modalità di comunicazione e convivenza delle persone. Come egli ricorda nel libro Espressione e identità il gioco innanzitutto deve divertire.
Qui ci troviamo di fronte ad un pericolo pressoché irrisolvibile. Le donne arrivate da poco nelle posizioni elevate spesso si trovano in una situazione da loro non definita e, spesso, non voluta. Ho personalmente vivo il ricordo di una personale esperienza politica in cui, nei momenti di elevata conflittualità, un collega mi guardava felice dicendomi: “Finalmente ci si diverte!”. Per me il gioco che andava ad iniziare, fatto di provocazioni verbali, di allusioni, di competizione, era pura sofferenza!
Il secondo aspetto che caratterizza l’universo femminile riguarda anche la conoscenza delle “regole implicite” del gioco competitivo. Le donne che si avventurano sul questo terreno rischiano di utilizzare codici e comportamenti non adeguati.
Un aspetto che, al femminile, risulta sempre molto difficile da comprendere è come, dopo un confronto aspro al limite dell’educazione, due uomini si ritrovino in modo tranquillo a livello personale , scherzando magari sulla competizione che hanno da poco inscenato.
E’ una capacità quasi naturale di non affrontare la competizione con acrimonia personale, ma con slancio e determinazione, comprendendo nell’altro le motivazioni profonde che lo spingono ad un comportamento di tale natura.
Questo è uno degli aspetti del “gioco”, ma ve ne possono essere altri, relativi a quali siano le parole da utilizzare, gli affondi da attuare, i punti del conflitto dove è meglio desistere e quali invece consentano un rilancio.
Sempre utilizzando le parole di Goffman gli uomini sanno come “salvare la faccia” all’avversario, mentre le donne stanno stentatamente, e con fatica, imparando questo codice non loro.
Il pericolo, come si può comprendere, è insito nella natura del gioco.
Il superamento del pericolo, però, non consiste solo nell’acquisire la capacità di leggere le regole e di muoversi, esattamente come un uomo, nella durezza dello scontro.
Quello che in questi casi si può tentare è rinegoziare, implicitamente, le regole, ad esempio provando a spiazzare con un gioco cooperativo, invece che competitivo. Si può anche dire apertamente che si è compresa la regola e non la si vuole seguire, proponendone un’altra, di diversa natura e concezione.
Naturalmente il risultato non è assicurato, ma i giocatori si troveranno di fronte ad un’altra possibilità, ad una variante nuova del gioco che, in ogni caso, li costringerà ad interrogarsi sulla prossima mossa. Sarà la proposta di un pensiero nuovo e diverso che farà uscire dalla consuetudine dell’ovvio. E forse un po’ alla volta potrà costruire un gioco completamente nuovo.
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