Le ricerche hanno spesso il merito di descrivere in modo scientifico ciò che il senso comune ha colto da tempo.
Che le donne abbiano maggiori capacità linguistiche degli uomini è descritto dal buon senso popolare dalla notte dei tempi, anche con una certa ironica cattiveria. Dalle mie parti, ad esempio, nel profondo nord, si diceva: Tri don fan el merca de Saron, che tradotto in modo non lessicale significa che tre donne insieme parlano in modo pressoché insopportabile, soprattutto per un uomo
Devo confessarvi che la stesso pensiero è venuto al mio lato maschile in una recente cena di una decina di donne: alla fine della serata non ero riuscita a dire praticamente niente.
Louann Brinzadine, neuropsichiatria americana, autrice di un recente libro “The female brain”, ha provato addirittura a contare la differenza di parole al maschile e al femminile concludendo che in un giorno le donne ne pronuncerebbero circa 20.000 e gli uomini circa 7.000. Ho immediatamente pensato a dove sono le circa 5000 che mio marito lesina rispetto alla media, ma il secondo pensiero è stato che forse io ne dico anche di più del calcolo effettuato. Come dire: la media fa sempre giustizia dei punti di massima e di minima.
La dottoressa americana è subito balzata agli onori delle cronache per gli straordinari meccanismi dei media che si autoalimentano, ma anche in Italia, in maniera forse più schiava e seria, il Prof. Oliverio descrive le medesime conclusioni. Pur senza contare le parole, accerta l’articolazione delle aree linguistiche del cervello femminile che rendono in questo campo i due emisferi sostituibili. Così se una donna subisce una lesione nell’area del linguaggio, riesce a trovare altre strade neuronali, pur di parlare. Un uomo, nella stessa situazione, soccombe e tace.
Nell’esperienza aziendale è facile vedere queste competenze al lavoro: donne molto fluide nella parlata, che sanno articolare in modo logico e competente un discorso, che si inceppano raramente.
Ma, come il buon senso popolare reclama, spesso le abilità linguistiche diventano un difetto che è necessario tenere sotto controllo.
Innanzitutto vi è una velocità pensiero – parola, che è sicuramente un vantaggio, ma di cui spesso ci si pente. Questa velocità si traduce in urgenza che rischia, nella alternanza della conversazione, di “bruciare le tappe” dello scambio cognitivo. Le parole non sono immediatamente assimilate dal cervello, devono essere riconosciute e confrontate con il proprio bagaglio mentale, prima di essere accettate. Devono, soprattutto, essere riconosciute all’interno di una struttura logica per decodificarne il significato. Le donne nella loro velocità relativa, spesso spiazzano l’interlocutore non lasciando questo tempo e, quindi, perdendo molte potenzialità.
E’ sempre legato alla velocità di parola, l’aiutare l’interlocutore a trovare il giusto termine, suggerendo mentre lui o lei sta pensando. Un’accelerazione che indispone l’interlocutore a cui non viene dato il tempo necessario per completare una riflessione o un ragionamento. Rispettare i lenti, uomini e donne che siano, fa parte non solo della normale educazione, ma anche del rispetto degli altri.
Un ulteriore aspetto delle conversazioni, non solo di lavoro, ma anche private, riguarda una corretta “politica dell’alternanza”. Accade spesso che signore un po’ autocentrante parlino solo di sé, in modo pressante, ponendosi al centro dell’attenzione in modo univoco. Le amiche vere, di solito, conoscono bene questo ritmo: parlare di sè e aspettare che l’altra si esprima, trovare spunti nella propria storia per lasciare all’altra lo spazio sufficiente per raccontare la sua. In questi casi la situazione è biunivoca e in equilibrio, mentre in molti altri la “reginetta” della festa occupa tutto lo spazio e, di conseguenza, accentra l’attenzione. In questo caso la parola diventa uno strumento di “occupazione dello schermo” con il rischio della sovraesposizione che è un’arma potente nelle mani di pettegoli e detrattori delle competenze femminili.
Personalmente ho trovato sempre nelle donne, accanto alle abilità linguistiche, anche le potenzialità empatiche. E’ sempre Oliverio che descrive una maggiore sensibilità femminile alle espressioni facciali di un’altra persona, quindi con una abilità collegata di riconoscere oltre le parole, gli stati emotivi dell’altro e di sapersi adeguare.
In questo modo le competenze comunicative al femminile risultano ancora più ampie e potenzialmente modulate.
Certo non è facile arrivare e tenere sotto controllo molti aspetti che convergono nel saper comunicare al meglio.
Per la velocità vale forse quel detto apparso per la prima volta in un reparto di produzione, con lo stesso linguaggio della sicurezza: “Prima di azionare la lingua, assicurarsi di avere innestato il cervello!”.
Per gli altri aspetti le donne orientano in modo positivo questo straordinario patrimonio linguistico se sanno tenere sotto traccia gli aspetti emotivi, concentrandosi di più sui contenuti.
Le parole di cui si pente sono quelle dette in momenti di rabbia, di ansia o di paura. Allora frenare è d’obbligo, agendo lo strumento principe del buon comunicatore: le domande.
Prima di partire sgommando è bene approfondire cosa esattamente l’interlocutore voleva dire. Se l’offesa paventata è reale, partite pure, ma se state dando corpo alle vostre ansie interiori, allora le domande aiutano a prendere la giusta distanza per ricomporre la comprensione in quadro più ampio.
Infine, a mio parere, per le donne il silenzio è davvero una controprova: quando si riesce a tacere apprezzando i momenti di vuoto siamo insieme a qualcuno che stimiamo o amiamo veramente.
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