Le dinamiche che tengono lontane le donne dai vertici organizzativi, come spesso si sottolinea, sono molte e sottili. Alcune decisamente discriminatorie: il club degli “old boy”, come dicono le americane, nemmeno si accorge di utilizzare codici, simboli, comportamenti e modi di dire che escludono le donne.
Dall’altro lato, però, le donne che devono cercare di rompere queste dinamiche per entrare, cittadine a tutte gli effetti, in un gruppo così omogeneo, spesso pensano che non ne valga la pena.
E’ cosi che molte donne mettono in atto modalità che potremmo definire di autoesclusione. Si arrendono, non tanto perché incapaci o non sufficientemente determinate. Semplicemente perché non credono che il bilanciamento tra quanto è richiesto in termini di sforzo e quanto si possa ottenere, non costituisca un premio sufficiente.
In questo bilancio, spesso non completamente razionale, una voce importante la occupa il potere e le ambivalenze ad esso connesse.
Intendiamoci, quando si parla di potere sempre vi è sempre una dose di ambiguità.
Gli studi organizzativi bene descrivono questa indeterminatezza. Si può citare ad esempio Rosabeth Moss Kanter, studiosa di Harvard che si è occupata anche del maschile e femminile nelle organizzazioni, che descrive la duplicità del potere come efficacia e come dominio. Se da un lato poniamo un Direttore Generale ha il potere di decidere l’impronta da dare alla sua azienda, e quindi se indirizzarla verso l’espansione in alcuni paesi e con nuovi prodotti, ha altresì il potere di occultare alcune regole di gestione, per garantire la presenza di alcuni fornitori, piuttosto che dare consulenze ad amici personali. La dimensione del dominio si base sempre su regole inesistenti o gestite “ad personam”. Più o meno dello stesso tenore sono l e osservazioni di David McClelland, uno dei fondatori degli studi organizzativi, che chiama questa duplicità potere organizzativo e potere personale, nel primo caso, come per l’efficacia, si sottende i risultati verso cui si può indirizzare l’organizzazione, mentre nel secondo i benefici personali che si possono ottenere nelle posizioni di potere.
Parafrasando Guerre stellari, potremmo dire che nella forza del potere vi sono sempre due lati: uno luminoso ed uno oscuro, che non possono essere eliminati, ma che hanno di volta in volta il sopravvento a secondo di chi il potere utilizza.
Esiste un modo diverso di vedere questo equilibrio al maschile e al femminile? E’ questa la domanda che ha mosso una ricerca , svolta da Laura Girelli, psicoterapeuta, per il laboratorio Armonia della SDA Bocconi, e che ha confermato come gli uomini siano in grado con maggiore abilità di gestire l’equilibrio delle due parti tra loro spesso configgenti, mentre le donne pensano prevalentemente al potere come qualcosa di negativo, sempre e comunque.
Questa immagine ostile che le donne hanno interiorizzato del potere si esprime con immagini di lotta, di guerra, di freddezza e di velocità, che si contrappone ad un potere femminile – forse idealizzato – di cooperazione, di condivisione, di potenzialità. Le descrizioni che vengono effettuate sono straordinariamente concordi nel descrivere una alienazione personale verso le forse del potere prevalentemente agite nelle organizzazioni. Le donne si rivelano molto sensibili alle storture di uno sviluppo spesso giocato solo sulla dimensione quantitativa, senza attenzione alla qualità. Descrivono il disagio dell’osservare regole che troppo spesso rimangono sulla carta, mentre dagli stessi capi vengono esempi di trasgressione, quasi compiaciuta, delle norme che regolano la vita collettiva. Ancora, dimostrano una grande sensibilità alla iniquità nei trattamenti delle persone.
Se questo è il panorama che si gode dall’alto delle gerarchie, le strade per arrivarci sono fatte, sempre secondo la descrizione di queste donne, di una determinazione continua e quasi furibonda, di una lotta contro l’altro, di una “vendita” delle proprie competenze e abilità, ossessiva.
Morale: se la vetta non è molto ambita perché vista come un luogo negativo, e il sentiero per arrivarci costellato di privazioni, ma perché combattere questa battaglia? Meglio ritirarsi in buon ordine e continuare ad avere la possibilità di criticarlo questo potere che non migliora.
La posizione, come si può capire, non è sbagliata in sé e nessuno può accusare le donne che decidono, in modo consapevole, che il potere non fa per loro.
Il pericolo, ovviamente, è di natura più generale.
Il potere perpetua sé stesso e l’assenza del punto di vista femminile non è solo un’assenza di quantità, le poche donne che superano il soffitto di vetro, ma soprattutto di qualità.
E’ importante allora provare a cambiare il modo di vedere il potere, scoprendone le grandissime potenzialità.
Mi viene in mente una battuta che spesso citava mia madre: i soldi non fanno la felicità, figuriamoci la miseria….
E così è anche per il potere: se si ingaggia una battaglia fine a sé stessa, non sarà il potere in sé a migliorare la vita delle donne, ma se esso viene interpretato come strumento, come potenzialità, come una possibilità aggiuntiva, allora il gioco diventa più facile.
E questa distanza emotiva può aiutare anche nel percorso per arrivarci: se non ci importa di perderlo, anche le battaglie per ottenerlo saranno meno coinvolgenti e più misurate.
Personalmente sono convinta che, così come il lavoro fuori di casa, una volta sperimentato, sarà difficile rinunciarvi. Certo quando ci arriva bisognerà sostenere le critiche dei pochi che entreranno nel merito delle scelte, e dei molti che saranno negativi sempre e comunque contro chi occupa posizioni di potere. Non facile, vero? E allora anche quando si critica, lo si faccia a ragion veduta e non per partito preso.
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