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  • Immagine del redattoreCristina Bombelli

Organizzare la scuola

Indice


Premessa

Pensare la scuola come un’organizzazione

Progettare l’organizzazione scuola

a. costruire una strategia di istituto

b. definire aree di attività e ruoli organizzativi

c. progettare l’integrazione

d. dare senso alle persone

Conclusioni

Bibliografia




Premessa


Il dibattito sulla scuola sposa spesso una tesi dicotomica che mette in evidenza due aspetti tra loro confliggenti: da un lato l’aula, la sede per eccellenza del “mestiere artistico / missionario” dell’insegnante; dall’altra le “scartoffie”, la dimensione burocratica che come un grande mostro invade il tempo prezioso della relazione con il discente, costringendo ad attività inutili e spersonalizzanti.


Primo obiettivo di questo lavoro è di dimostrare che l’eccellenza organizzativa non può essere raggiunta se non salvaguardando entrambi i corni del problema ed operando in modo gestionalmente corretto affinché le competenze d’aula e gli ottimi insegnati che sicuramente esistono nell’organizzazione scolastica non siano strangolati da una eccessiva burocratizzazione del ruolo. Come è ovvio per qualsiasi persona si occupi di organizzazione il risultato complessivo è legato sia alle competenze specialistiche, di linea, di una organizzazione, sia alla fluidità organizzativa, ai supporti che il contesto riesce a dare a coloro che erogano direttamente i risultati.


Può essere, come diversi osservatori sottolineano, che la Pubblica Amministrazione non perda il vizio “burocratico” di trasformare indirizzi di natura gestionale, che hanno l’obiettivo di integrare e uniformare l’organizzazione, in procedure lunghe, farraginose, che diventano fine a sé stesse.


E’ importante però che i capi d’istituto e gli operatori della scuola capiscano che questo è il vero problema. E’ necessario che si diffonda una cultura condivisa relativa al vivere e al gestire un’organizzazione, che colga gli spunti positivi della dimensione burocratico amministrativa, quelli maggiormente legati alle necessità gestionali, e che trasformi e snellisca la quantità di “carte” che girano nella scuola finalizzandole a obiettivi condivisi. La scuola necessita, oltre che di competenze pedagogiche, di capacità organizzative e gestionali diffuse.


Un secondo aspetto di premessa e che si cercherà di dimostrare nel lavoro, riguarda il fatto che le responsabilità decentrate attualmente conferite nel processo dell’autonomia non sono sufficienti per sviluppare una autentica gestione. Attualmente gli ambiti di gestione rimasti accentrati (vedi la gestione del personale), piuttosto che quelli rimasti disarticolati (vedi la gestione delle risorse economiche), descrivono una autonomia relativa, se non carente negli aspetti più naturali della gestione organizzativa.


I Capi d’Istituto hanno sicuramente la responsabilità di iniziare a muoversi in modo diverso, a raccogliere la sfida dell’autonomia, a costruire delle competenze che finora non hanno esercitato, ma tutto questo deve essere affiancato da una continuazione coerente del processo di decentramento delle responsabilità che, se non proseguito, rischia di vanificare ciò che fino questo momento è stato realizzato.


Date queste premesse si intende ora sviluppare una riflessione complessiva relativa all’interpretazione della scuola come organizzazione cercando di costruire uno schema di riferimento che possa aiutare coloro che vi operano ad iniziare un percorso di analisi e progettazione organizzativa.



Pensare la scuola come organizzazione


Possiamo definire l’attività organizzativa come qualcosa di riconoscibile e ripetibile mediante l’adozione di regole e di comportamenti integrati, relativamente stabili (Perrone, 1990).


Si sceglie questa definizione tra le molte che possono essere suggerite per introdurre un primo obiettivo di ampia rilevanza che nella scuola è frequentemente disatteso, e sul quale è necessario costruire un accordo iniziale tra le diverse persone che vi operano. Esso riguarda la necessità di poter “riconoscere e ripetere” parti delle azioni che si svolgono nella scuola stessa. E’ questo un elemento culturale di fondo, un “assunto di base” (Schein, 1985), da cui partire pena il vanificarsi dei tentativi di introdurre una dimensione organizzata nell’istituto scolastico. In altre parole appare molto diffusa nella scuola la convinzione che l’attività scolastica sia per sua natura non riproducibile e quindi non possa che essere lasciata alla interpretazione del singolo.


Questa convinzione affonda le sue radici nella rilevanza posta dal personale docente sul momento di erogazione del servizio che - trattandosi di servizi di persone a persone - è effettivamente sottoposto ad una grande discrezionalità operativa (Vaccani, 1991).


E’ allora importante considerare che le caratteristiche della scuola come organizzazione erogatrice di un servizio sono da tenere in debito conto per affrontare una progettazione organizzativa che produca buoni risultati. Come è intuibile la scuola è un sistema organizzativo caratterizzato da una forte valenza professionale dove le caratteristiche professionali in senso allargato degli operatori costituiscono il valore aggiunto fondamentale (Rebora, 1995).

Le modalità organizzative e di gestione vanno quindi calibrate in relazione ad una organizzazione di servizi (Norman, 1985) in cui operano persone con radici di competenza simili ai professional. (Piantoni, Salvemini 1990)


Nelle situazioni eccellenti si è osservato come il cambiamento si sia sviluppato di pari passo con un coinvolgimento progressivo delle persone e con una attenzione ai feed - back dei “clienti interni” dell’organizzazione.


Prima di intraprendere un itinerario di progettazione organizzativa che abbia come riferimento la scuola, è necessario spendere alcune parole intorno alle dimensioni di approccio suggeribili nell’intraprendere tale percorso. Ci si riferisce in particolare alla dimensione epistemologica che soggiace a qualsiasi intervento di approfondimento conoscitivo e quindi di cambiamento di una realtà organizzativa.


Lo scopo è di mettere in guardia verso due estremi di approccio manageriale al cambiamento organizzativo, entrambi poco utili ai fini pratici. Il primo estremo è quello della ricerca di soluzioni certe, univoche, segnate dalla “scientificità”. Uno stile di management di questo tipo si sostanzia nella costruzione “ a tavolino” del modello organizzativo migliore, più corroborato dal punto di vista teorico che dalla validazione pratica.


Di solito i modelli prodotti da questo approccio, avendo poco orientamento alla realtà concreta, sono statici e di difficile cambiamento e sottintendono, da parte di chi li propone, una dimensione di “onnipotenza” nell’introduzione dei cambiamenti. E’ questa una modalità operativa che si sostanzia, da parte dei Capi d’Istituto, in comportamenti imperativi, basati sulla convinzione che un “buon” modello organizzativo, debba essere comunque riconosciuto tale, da tutti coloro ai quali viene proposto.


Il secondo estremo di approccio organizzativo, da cui si vuole quindi mettere in guardia, riguarda l’osservazione staccata di ciò che accade, con una sopravvalutazione operativa delle difficoltà di cambiamento. Dal punto di vista del management scolastico questo approccio si sostanzia in comportamenti attendisti, sfiduciati, legittimanti qualsiasi comportamento organizzativo in essere nelle diverse realtà.


E’ necessario trovare un equilibrio che muovendo dalla consapevolezza della complessità, intesa come concausalità dei fenomeni organizzativi, disegni le nuove competenze manageriali coerenti con le sfide che l’autonomia scolastica propone.


Esse, dal punto di vista organizzativo, si possono descrivere come le capacità di leggere la propria realtà organizzativa, di diagnosticare i livelli di incoerenza e di progettare degli interventi correttivi. E’ poi necessario, alla luce delle considerazioni effettuate, intraprendere la strada del cambiamento organizzativo muovendosi tra il desidero della realizzazione semplice e immediata, implementabile in modo logico lineare, e posizioni attendiste, in cui si dà per scontato che il cambiamento è impossibile.


Per tradurre queste osservazioni in parole semplici è necessario dal punto di vista teorico comprendere quali siano le leve di progettazione organizzativa, e contestualmente osservare la propria organizzazione con attenzione diagnostica per poter decidere quali strategie di cambiamento adottare.

Tali strategie non possono essere che validate dai risultati concreti. Sono quindi solo i feedback degli interventi che consentono eventuali aggiustamenti di rotta , tenuto conto della dimensione temporale necessaria.


Per concludere l’approccio alla progettazione organizzativa come attività che ha un oggetto complesso, multivariato, a connessioni plurime oscilla continuamente tra il desiderio onnipotente di cambiare le cose rapidamente ed in modo sostanziale, e la paura dell’impotenza in cui le cose accadano indipendentemente dai soggetti manageriali. La capacità di muoversi in questo equilibrio qualifica una esperienza manageriale positiva..


Un aspetto conclusivo sull’approccio alla progettazione organizzativa che deve essere fortemente sottolineato, riguarda la natura organizzativa della scuola come “loose coupling” (Weick,1988) dove l’erogazione altamente personalizzata del servizio, l’impossibilità di utilizzare strumenti tradizionali di gestione rendono necessaria una attenzione particolare agli stili di gestione, oltre che alla progettazione delle strutture.


Un risvolto importante per la progettazione organizzativa delle organizzazioni in cui i sottosistemi e le persone devono essere integrati in modo “lasco”è che per il raggiungimento dei risultati ai singoli devono essere lasciati margini di libertà e di interpretazione. Questa libertà di movimento viene interpretata in modo non eccessivamente diverso in virtù dell’interiorizzazione delle norme e degli obiettivi dell’organizzazione.


In una situazione quale quella delineata diventano fattori di successo maggiormente critici i comportamenti dei soggetti che attraverso processi di comunicazione, di interazione e di negoziazione, rendono possibile l’attuazione del risultato organizzativo (Nacamulli, 1997). Come si possono sviluppare comportamenti cooperativi è materia vasta. In relazione agli obiettivi di questo lavoro è importante sottolineare da un lato il ruolo fondamentale del ruolo di leadership (Ketz De Vries, 1994) nel costruire i significati collettivi in cui le persone possano far confluire il proprio operato (Weick, 1997).


Inoltre la progettazione organizzativa deve sempre seguire, ed essere seguita, da un’opera costante sulle persone attraverso comunicazione, formazione e gestione con lo scopo di costruire una nuova identità soggettiva , professionale e organizzativa (Bodega, 1988, Bombelli, 1997) .


Per sintetizzare, prima di iniziare un itinerario di progettazione organizzativa, i soggetti che istituzionalmente devono occuparsi di questa materia nell’ottica dell’autonomia scolastica devono comprendere il loro ruolo rispetto a questo percorso, un ruolo che non può essere imperativo, ma nemmeno eccessivamente rinunciatario.

Questa progettazione va svolta tenendo conto degli aspetti strutturali dell’organizzazione scuola, ma anche e soprattutto dei comportamenti e delle culture attualmente presenti.



Progettare l’organizzazione scuola


A – Costruire una strategia di Istituto

Il primo passaggio logico relativamente alla progettazione organizzativa riguarda il riconoscimento del nesso strategia - organizzazione.

Il legame tra strategia e struttura è stato inizialmente di prevalenza della prima sulla seconda, considerata dipendente dalle scelte strategiche, (Chandler, 1962) mentre successivamente si è insistito sul legame biunivoco tra i due aspetti (Martelli,1998).


Nelle esperienze analizzate in questi anni (Bombelli, Ferricchio 1999) si evidenzia come questo legame sia molto difficile da comprendere nella scuola per la logica esistente di definizione e di interpretazione del ruolo dei singoli che si collocano pressoché esclusivamente all’interno della propria casella organizzativa. In particolare i docenti spesso vivono il proprio ruolo come unicamente legato all’erogazione del servizio all’universo classe. L’idea del sistema “istituto” e della conseguente possibile strategia appare prevalentemente assente.

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Come è facilmente intuibile la trascorsa centralizzazione spinta del sistema scolastico ha contribuito all’interiorizzazione di uno schema organizzativo di fondo che vedeva nelle strutture centrali le depositarie della dimensione strategica (quale sapere per quali figure), mentre quelle periferiche come braccio operativo la cui discrezionalità poteva esclusivamente consistere in una interpretazione delle modalità di insegnamento, quindi della didattica.


Naturalmente l’autonomia così come si va delineando nelle scelte del legislatore non lascia totale discrezionalità rispetto alle scelte di fondo che lo Stato ancora centralizza in una visione di omogeneità di base delle diverse strutture sul territorio. Viene però enfatizzata la necessità di una articolazione contestuale delle strategie che rimanda ad una capacità di lettura del territorio per poter proporre delle politiche educative integrate


Quindi il primo passaggio logico necessario nella scuola consiste nel far comprendere a coloro che agiscono nell’organizzazione che l’output organizzativo generale è diverso dalla somma dei singoli insegnamenti e che è possibile monitorarlo e orientarlo. Il passo successivo riguarda la consapevolezza della necessità di poter operare delle scelte su questa dimensione strategica. Questa motivazione è ancorabile da un lato alla volontà di costruire un vantaggio competitivo rispetto ad altre scuole “concorrenti” sul territorio - vantaggio oggi reso necessario dalle tendenze demografiche negative - e dall’altro alla necessità di definire dei parametri di istituto su cui sviluppare una comunicazione all’esterno dei propri livelli di competenza. A questo proposito è opportuno sottolineare come la poca consapevolezza organizzativa della scuola e lo scarso orientamento alla comunicazione hanno prodotto situazioni eccellenti, ma non riconosciute come tali dagli operatori stessi per carenza di possibilità di confronto. Inoltre i dati di eccellenza non riconosciuti non potevano essere socializzati e diventare patrimonio collettivo, rimanendo conoscenza implicita dell’organizzazione (Nonaka, 1994)


Mettendo in evidenza il legame tra le scelte strategiche e la dimensione organizzativa potremmo affermare che organizzare significa coordinare i diversi sottoinsiemi dell’organizzazione nella direzione (strategica) del “vantaggio” che si vuole proporre ai fruitori dei servizi offerti.


La chiarezza rispetto alla dimensione strategica aiuta anche comprendere quali attività possono essere costruite con una logica di partnership con altri soggetti nei casi in cui non si disponga del know how necessario o dove il coordinamento con altri potrebbe essere utile per una maggiore qualità o quantità dei risultati.


Questa osservazione rimanda al fatto che i confini organizzativi devono essere decisi di volta in volta in relazione alla dimensione strategica. Esempi rilevati riguardano la partnership con una associazione di industriali per lo sviluppo di un piano di formazione pluriennale per i diversi soggetti operanti nella scuola (Bombelli, 1995). Altre forme di cooperazione inter organizzativa possono essere progettate in relazione agli specifici contesti (Grandori ; Soda, 1995). In particolare nella logica di ristrutturazione dei plessi che è in corso può accadere che per un singolo dirigente i confini riguardano scuole di più ordini, oppure di singolo istituto.


Le fasi suggeribili per costruire una strategia di istituto potrebbero essere le seguenti:

  1. analisi del territorio di riferimento con l’individuazione dei nodi di rete a cui è collegata la scuola e da cui è necessario trarre un flusso informativo utile per la costruzione di una strategia. I possibili nodi di rete potrebbero essere: utenti (genitori e studenti) con una analisi della domanda espressa e del bisogno potenziale, magari latente ; mondo del lavoro (imprese private, banche, pubblica amministrazione) nella duplice veste di possibili “utenti” delle competenze formate nel mondo della scuola che di “stakeholders” sul territorio; l’università che completa il percorso formativo degli studenti delle superiori e che spesso attua test di ingresso (attualmente le informazioni raccolte attraverso queste iniziative non ritornano alla scuola di partenza con un dispendio notevole di potenzialità informativa) ; potenziali “concorrenti” ovvero delle offerte praticate da istituti che si rivolgono ad una utenza analoga.

  2. definizione di possibili legami sistematici con questi nodi di rete, in modo da non lasciare alla casualità questi contatti, ma da inserirli in una logica di aggiornamento continuo delle informazioni. La sistematicità dei rapporti di questo genere è una delle pre condizioni per una eventuale certificazione di qualità.

  3. raccolta e sistematizzazione di queste informazioni per la produzione di una strategia di istituto.



B - Definire aree di attività e ruoli organizzativi

Il passaggio logico successivo alla definizione della dimensione strategica e dei confini riguarda la progettazione delle aree organizzative e quindi dei ruoli - in particolare quelli innovativi che la legge oggi prevede - a cui delegare il presidio di diversi aspetti.


Una prima considerazione di fondo riguarda l’interdipendenza a cui l’output organizzativo costringe il lavoro del progettista organizzativo. In altre parole è necessario interrogarsi rispetto alle peculiarità della scuola per quanto riguarda la tipologia di interdipendenza che l’organizzazione esprime (Grandori, 1995 ; Thompson, 1988, Camuffo, 1997).


L’analisi sul campo dimostra come oggi la scuola per la maggioranza dei casi neghi le interdipendenze attraverso l’innalzamento di diversi steccati, in primo luogo disciplinari. E’ questo un aspetto da considerare come uno degli “assunti di base” operanti nella scuola in cui ciascun soggetto docente si occupa prevalentemente del proprio tassello. Con questa convinzione se ne sviluppa un’altra complementare : non è accettabile (Goffmann, 1977), e quindi è sconveniente, intervenire nel lavoro dell’altro che può esprimersi in “libertà”.


Come già sottolineato precedentemente è a questa realtà che è necessario fare riferimento nell’approcciare la scuola : la scarsa consapevolezza diffusa del far parte di una organizzazione a cui ciascuno dà il proprio contributo. Ancora è poco chiaro che la somma dei singoli contributi, quindi il risultato organizzativo, è qualcosa di organizzativamente diverso ed è potenzialmente misurabile. Infine, questa visione organizzativa può essere in conflitto con le convinzioni più diffuse relativamente al principio della “libertà d’insegnamento”.


Da questo è necessario partire per una progettazione organizzativa che, contemporaneamente al suo oggetto, negozi con i singoli la salvaguardia di due principi che sono necessari : da un lato la libertà d’insegnamento in modi e forme da condividere, dall’altra il diritto/dovere della struttura organizzativa di dichiararsi come tale, di stabilire una propria strategia e di individuare degli indicatori di controllo del proprio operato.


Chiariti questi aspetti di base che nella riprogettazione organizzativa devono essere tenuti presenti, dal punto di vista teorico l’organizzazione scuola, come agente erogatore di servizi di persone a persone, su un task complesso come è quello dell’apprendimento, non può che essere considerata ad elevata interdipendenza necessaria (Grandori, 1995).


Questo aspetto dovrà essere tenuto presente sia nel disegno delle funzioni e dei ruoli, che nella costruzione di strumenti di integrazione adeguati.

Dal punto di vista del disegno si possono delineare tre principali aree di progettazione organizzativa : la dimensione gestionale, la didattica (il core service) e i supporti alla didattica


A questa macro allocazione si potrebbe aggiungere la categoria delle Funzioni Obiettivo che possono sintetizzare una miriade di esperienze di progetti di varia natura sia di supporto alla didattica, ma anche con obiettivi particolari (ad esempio Orientamento, Salute, Scambi con altri paesi e così via).


La divisione attuale formalmente condivisa è tra la didattica e l’amministrazione, con un riconoscimento gestionale esclusivamente al Capo d’Istituto. Occorre ripensare l’allocazione delle funzioni in una ottica che esca della esperienza scontata e che si interroghi sulle necessità che sorgono nell’attuazione dell’autonomia scolastica.


In particolare è di importanza rilevante la progettazione di una struttura di vertice che, affiancando i capo di istituto, affronti il tema di gestione dell’autonomia in un’ottica integrata. Questo “comitato di direzione” potrebbe essere costituito dal Capo di Istituto più alcune figure di gestione, e dovrebbe svolgere il ruolo di pianificazione e verifica strategica, di sviluppo dell’identità della scuola, di gestione degli aspetti organizzativi e di supporto al personale. Quelle funzioni insomma che fanno riferimento alla dimensione gestionale nel suo complesso.


Un secondo passaggio importante di progettazione riguarda la descrizione dei ruoli delle figure di supporto al capo d’istituto. All’interno delle necessità gestionali sopra rilevate, queste figure potrebbero occuparsi di una parte di ciò che è stato descritto, ed affiancare il Capo d’Istituto nella gestione quotidiana.


I casi incontrati hanno evidenziato nelle esperienze concrete diverse figure: l’operatore tecnologico, l’operatore psicopedagogico, un insegnante di solito non inserito nella didattica, laureato in psicologia o pedagogia, che segue gli allievi che dimostrano particolari difficoltà ; i tutor di corso che si occupano di una integrazione costante scuola famiglia con l’obiettivo di orientare ad una scelta di studi più consona alla dimensione attitudinale di ciascun allievo ; i cosiddetti “dispersisti”, definiti con discutibile neologismo, che si occupano del recupero di ragazzi a rischio di abbandono scolastico ; i responsabili della sicurezza che sviluppano competenze in relazione alle recenti leggi emanate nel nostro paese in merito agli adempimenti di prevenzione di rischi e allo sviluppo di una maggiore sicurezza negli ambienti di lavoro ; i coordinatori H, che si occupano di integrazione di soggetti portatori di handicap .



Il quadro, come si osserva, è ampio e variegato e probabilmente non esaustivo. Le figure elencate raramente sono dedicate totalmente al ruolo descritto, il più delle volte hanno un distacco parziale dall’insegnamento. La nascita di queste figure raramente è progettata ex ante rispetto alle esigenze della scuola, il più delle volte si “approfitta” dell’offerta formulata da progetti speciali che finanziano dei distacchi parziali in relazione a tematiche di attualità (o di moda). In questo senso spesso il ruolo configurato rimane tutti gli anni “a rischio”, fino a quando non avviene la riconferma del progetto da parte dell’Ente finanziatore.


Per concludere il censimento dei ruoli, figure ormai tradizionalmente inserite nella didattica sono i coordinatori di classe e i coordinatori di materia.

In molti casi alla dimensione gestionale si aggiunge un responsabile della qualità, capitolo in cui vengono inseriti progetti di varia natura che attraverso la logica della qualità riorientano la dimensione organizzativa fino ad arrivare alla certificazione ISO.


Possiamo quindi affermare che disegnare l’organizzazione significa interrogarsi sulla definizione e sulla descrizione delle posizioni presenti. Quelle attualmente riscontrabili sono :


  • Dirigente Scolastico

  • Figure di gestione

  • Coordinatori

  • Responsabili di progetti specialistici


Questo non preclude che vi sia la possibilità di identificare e quindi descrivere ulteriori ruoli in relazione alle specifiche esigenze e alle peculiari strategie del singolo istituto.



C – Progettare l’integrazione

Il disegno - e quindi l’allocazione di responsabilità ai diversi attori organizzativi - apre il problema dell’integrazione ovvero delle coerenze necessarie per produrre un risultato efficace ed efficiente (Thmpson, 1967 ; Lawrence, Losch, 1967)


Si possono collegare i diversi strumenti di integrazione alle necessità di interdipendenza organizzativa (Grandori, 1995, Camuffo, 1997).



Tipi di interdipendenza Meccanismi principali di coordinamento


Interdipendenze * regole, norme standard, procedure

semplici * incentivi


Interdipendenze *gerarchia piena e decentrata

intermedie * relazioni laterali e decisioni congiunte


* organi di integrazione


Interdipendenze *allineamento culturale di obiettivi

complesse * negoziazione e gestione del consenso


(adattamento da Grandori, 1995)


In altre parole per progettare le modalità di coordinamento è necessario rilevare la situazione organizzativa, diagnosticandola, in modo da raggiungere una buona integrazione. Lo schema sopra delineato nella parte della tipologia di interdipendenza offre uno schema diagnostico per evidenziare il tipo di attività oggetto del coordinamento. Dal punto di vista degli strumenti si possono rilevare eventuali incoerenze esistenti oppure costruire delle modalità di integrazione più efficaci in relazione a nuovi task organizzativi.


La realtà scolastica privilegia modalità di integrazione procedurali per la parte amministrativa, mentre utilizza esclusivamente integrazione collegiale nelle aree di gestione e didattiche. Tale scelta non è libera, ma attua un preciso mandato legislativo.


La riprogettazione organizzativa di questi meccanismi di coordinamento deve essere resa possibile da un cambiamento che il legislatore sta progettando.

In particolare, dal punto di vista organizzativo, è necessario sottolineare come la dimensione collegiale di un gruppo numeroso di persone non può essere in alcun modo compatibile con decisioni elaborate.


Le osservazioni empiriche, oltre a sostanziare completamente questa tesi, mostrano due deformazioni fondamentali di un intento che vorrebbe essere democratico :

dove esiste una capacità di leadership il collegio viene orientato dal Capo d’Istituto che quindi pratica le proprie scelte gestionali passando in modo surrettizio attraverso le forche caudine dell’assemblearismo ; dove non esiste “polso” gerarchico sufficiente il collegio diventa una palude dove sprofondano le proposte dei singoli con il risultato di un sostanziale immobilismo.


Sulla scorta di queste considerazioni è auspicabile che il legislatore riveda l’allocazione di competenze in un’ottica che, ridando effettivo respiro e responsabilità al ruolo dirigente, dia al collegio degli obiettivi realizzabili.


In questo modo si tratta di re/introdurre il ruolo gerarchico che, come osservato nello schema introduttivo, è uno dei meccanismi ci coordinamento che, insieme ad altri, consente di raggiungere un obiettivo di integrazione organizzativa.


La dimensione collegiale, estremamente importante nello organizzazioni ad elevata complessità come la scuola, deve essere più correttamente utilizzata nella dimensione del piccolo gruppo, attraverso gruppi di progetto, comitati, gruppi di pari. Essa costituisce un importante fattore di integrazione che deve essere progettato in modo finalizzato e funzionale (Bombelli, Vaccani, 1991)


Per concludere la progettazione degli strumenti di integrazione necessita di una ricognizione delle tipologie di interdipendenza esistenti e di una costruzione di diversi meccanismi di integrazione. Dovrebbe entrare nella logica della gestione organizzativa della scuola la necessità per il gruppo dirigente di validare nel tempo gli strumenti di integrazione usati, facendoli oggetto, come altri ambiti organizzativi, di manutenzione in relazione si risultati effettivi conseguiti.


A questa parte che riguarda le dimensioni organizzative progettabili, va aggiunta la conoscenza necessaria della dimensione culturale e dei comportamenti organizzativi attuati dai soggetti.


Il versante culturale è nella scuola, e in tutte le organizzazioni ad alta discrezionalità decentrata, il più critico.

E’ opportuno sottolineare che la situazione attuale non è neutra. Nella osservazione delle prassi concrete si incontra spesso una sorta di “controcultura” sedimentata che paventa qualsivoglia riflessione organizzativa come violenza rispetto ad una realtà peculiare in cui non possono essere importati modelli da altri contesti. In questa controcultura vi sono due assunti di base evidenti. Il primo riguarda la paura dell’ “aziendalizzazione”, ovvero dell’imposizione di modelli organizzativi validi per le realtà produttive private. Da questo punto di vista emerge una visione delle realtà aziendali private da parte degli insegnanti come dei luoghi di produzione di beni, in cui tutti lavorano esclusivamente asserviti al profitto senza nessuna soddisfazione personale, se non quella economica. Il secondo assunto di base molto diffuso riguarda l’obiezione alla gerarchia identificato come strumento coercitivo e insopportabile.


Queste osservazioni naturalmente non possono ritenersi rappresentative di tutta la realtà della scuola. Vengono, ancora una volta, poste all’attenzione per sottolineare come sia necessario, per realizzare una progettazione organizzativa di successo, partire dalla comprensione delle culture presenti per cercare di dare strumenti organizzativi e messaggi culturali di natura nuova, ma in coerenza con le esigenze espresse dai singoli. L’impressione che si rileva spesso nella scuola è che il rifiuto ad alcuni cambiamenti sia più legato a dimensioni stereotipiche da rivedere che non a reali riflessioni organizzative.


L’enfasi deve essere posta sugli strumenti più propri nella gestione dei cambiamenti culturali, come ad esempio la comunicazione interna e la formazione. L’obiettivo di fondo di ogni intervento organizzativo dovrebbe essere di dare “significati” a persone che in questo momento vivono una grande crisi di identità professionale (Romei, 1998)


Per arrivare a questo è necessario da un lato fare maggiore chiarezza su ciò che si chiede e ciò che si offre dal punto di vista organizzativo alle persone che abitano l’organizzazione, dall’altro migliorare le modalità operative di gestione operando attraverso la formazione, per dare strumenti condivisi di comunicazione interpersonale, di gestione dei gruppi e delle riunioni, di project management




D – Dare senso alle persone

Una organizzazione come la scuola che offre servizi personali erogati da persone ha nella gestione delle persone uno dei punti più qualificanti da ottemperare.


Chiunque conosca la realtà scolastica nelle leggi e nelle prassi, non può che sorridere a questa affermazione. I lunghi anni di assenza legislativa, le prassi burocratiche e l’assenza di leadership hanno prodotto senso di abbandono e demotivazione che devono essere affrontati con spirito nuovo.


Ciò nonostante è possibile vedere come nella P.A. siano in atto numerosi cambiamenti (Leonardi, Boccia 1997) che affermano diversi principi e introducono nuovi strumenti gestionali. A nuovi approcci istituzionali quali l’autonomia e la sussidiarietà si affiancano nuovi paradigmi gestionali per le imprese pubbliche. Sotto la spinta del contenimento del debito pubblico e sulla scorta di una visione europea della finanza pubblica, si è progressivamente affermato, sia in termini di principio che di strumenti, il tema della economicità. Nei diversi comparti questo ha significato l’introduzione di norme di controllo più legate alla gestione operativa e con una responsabilità definita. (Zangrandi, 1995)


Sul fronte degli strumenti, anche qui in modo diversificato nei diversi comparti, possiamo parlare di una introduzione di sistemi di monitoraggio economico per centri di costo (Sanità ed Enti Locali), di una separazione più precisa della materia politico strategica da quella gestionale, dell’affermarsi dei contratti di diritto privato quale strumento di responsabilizzazione. (Rebora, 1993)


Come si vede il legislatore ha operato in modo coerente. Le leve che sono state azionate riguardano il disegno dei contenitori organizzativi. Ora si tratta di operare affinché i dettati legislativi che aprono prospettive di cambiamento siano assunti a livello decentrato trasformare le norme in opportunità. Di questo cambiamento potenziale una delle chiavi di volta risiede nell’introduzione di politiche coerenti e di strumenti aggiornati in tema di gestione del personale.



“Volendo esprimere una valutazione generale sull’attuale stato dell’arte della gestione e politica del personale nel settore pubblico del nostro paese, non sembra particolarmente arrischiato costatare ciò che appare sotto gli occhi di tutti : le amministrazioni pubbliche non sono state sinora in grado di elaborare e condurre, nel loro insieme, e nemmeno ciascuna per conti suo una politica del personale degna di questo nome, o comunque vicina a ciò che normalmente si intende con questa espressione di derivazione aziendalistica.” (Rebora, 1995)


L’affermazione di Rebora descrive in sintesi la situazione attuale in cui versa la gestione del personale nella pubblica amministrazione in generale e nella scuola in particolare, situazione che richiede con urgenza sempre crescente la necessità di costruire i contorni di una nuova gestione del personale. (Ruffini, 1992). Questo significa innanzitutto identificare i soggetti che devono formulare le politiche di gestione e coloro che le devono attuare attraverso la progettazione di strumenti concreti (Costa, De Martino, 1985). Facendo tesoro dell’esperienza del settore privato è necessario che il pubblico transiti dalla fase di Amministrazione del personale a quella di Gestione per dirigersi rapidamente verso la Direzione e Sviluppo delle Risorse Umane (Costa,1992).


Nella scuola ciò che è stato evidenziato come pre condizione per il cambiamento, non è stato ancora assunto in termini chiari dal legislatore. Alcuni principi di fondo quali la trasparenza e la privatizzazione del rapporto di lavoro sono stati affermati, mancano viceversa alcuni tasselli importanti per concretizzare una autonomia e una responsabilità reali.


Il comparto scuola mantiene anche una caratteristica peculiare rispetto al personale : il fatto che reclutamento, selezione e allocazione siano gestiti centralmente senza nessuna influenza sul processo del singolo istituto. Questo processo è lungo, costoso, farraginoso, poco efficiente. Le proposte di ridisegno della dimensione di responsabilità su questi aspetti, nei diversi soggetti istituzionali, sono troppo complessi per essere liquidati in poche battute. L’evidenza è di una dimensione da superare : con quali responsabilità rispetto alla singola scuola è materia di riflessione. Certo che, rovesciando il ragionamento, non è più pensabile in un’ottica di autonomia la totale assenza del dirigente diretto superiore nella fase di selezione ed inserimento.


La progettazione della gestione del personale nella scuola dovrà tenere conto delle caratteristiche precipue dell’organizzazione scuola.

La scuola è inequivocabilmente un sistema organizzativo caratterizzato da una forte valenza professionale. “In questo caso la professionalità degli operatori rappresenta l’elemento centrale di attenzione per le politiche del personale ; ci si riferisce alla professionalità considerata in senso allargato, comprensiva quindi non solo delle capacità tecniche in senso stretto, ma anche degli aspetti riferiti alla capacità di interazione con l’utenza e di collaborazione nell’ambito di un sistema organizzativo” (Rebora, 1995).


Possiamo affermare che la scuola è un luogo di servizi alle persone erogati da persone, è quindi con attività soggette potenzialmente ad una grande varietà. Gli insegnanti, insieme con i medici, sono tra gli esempi usati da Mintzberg per delineare la burocrazia professionale (Mintzberg, 1979). Con questa configurazione si descrive una situazione in cui dei professionisti devono diagnosticare una situazione per decidere quale delle strade possibili seguire. Tali strade vengono codificate dall’organizzazione attraverso procedure e/o protocolli che contengano l’area di discrezionalità dei singoli. La crucialità professionale consiste quindi nell’identificare quale è tra i diversi possibili il pattern di azione utile in quella circostanza, di circoscriverlo da un repertorio e, quindi, di seguirlo. Da qui la coniugazione di un termine quale burocrazia con un altro di segno opposto, professionale.


In realtà nella scuola le cose non si svolgono nel modo sopra descritto. La discrezionalità è molto più ampia, decretata anche dalla libertà di insegnamento, che centrando il vincolo sugli obiettivi, lascia ampi margini di decisione rispetto alle azioni. Inoltre non esiste, anche per poca maturità organizzativa, una codificazione procedurale così articolata, come ad esempio nella sanità. Rimane naturalmente la domanda se sia possibile per un setting quale quello dell’apprendimento strutturarsi in un modo così formalmente chiaro e condiviso.


L’affermazione “il vero patrimonio delle imprese sono le persone” è facilmente riscontrabile anche in elaborazioni riguardanti le organizzazioni produttive (Guatri 1985, 1989, Itami, 1987). A maggior ragione tale consapevolezza deve pervadere le organizzazioni di servizi che sono erogati da persone e diretti a persone.


Si può quindi considerare la scuola all’interno di tipologie organizzative formate da professional che hanno le seguenti caratteristiche :


  1. ritengono essere membri di gruppi di pari. La gerarchia e la leadership viene accettata solo se accompagnata da una competenza professionale riconosciuta

  2. respingono la burocrazia vista come una inutile ingessatura al cuore del mestiere che il momento di erogazione del servizio (Salvemini, 1988)

  3. sono fedeli alla professione

  4. ricercano l’autonomia

  5. sono gratificati dal rapporto con i clienti (Pennarola, 1990)


Il quadro tracciato in realtà non si adatta completamente alla scuola. La costruzione dell’identità professionale è molto più casuale e frammentata rispetto ad altre figure di professional classiche. Si pensi ad esempio ai medici o ai giornalisti che hanno un loro ordine professionale e il cui apprendistato avviene il più delle volte seguendo un professionista affermato.

Se le caratteristiche della scuola sono quelle descritte, da esse bisogna partire per tracciare delle linee guida per l’introduzione di politiche e di strumenti di gestioni del personale che siano coerenti. L’elemento di “coerenza” è una dimensione chiave per mantenere in equilibrio la strategia organizzativa, il disegno strutturale e i sistemi operativi e le culture prevalenti all’interno dell’organizzazione


La dimensione strategica inizia ad essere progettata soprattutto per gli adempimenti al Piano Formativo d’Istituto. Essa può costituire l’inizio di una “missione” comunicabile ai clienti e a coloro che internamente forniscono la loro opera. Viceversa una strategia inesistente non è comunicabile e quindi non fornisce il contenitore di significato collettivo a cui ancorarsi per sviluppare un significato soggettivo professionale. (Bodega, 1988)


Si tratta di collegare ad esse la progettazione organizzativa sopra delineata e i sistemi di regole condivisi, a cui collegare, ove necessario gli strumenti di gestione del personale. Nell’attuale situazione istituzionale molta parte degli strumenti rimane accentrata. A livello di singola scuola si possono proporre le declinazioni di alcuni si essi, con un approccio che potremo definire più culturale che fattuale.


Rimanendo accentrati il reclutamento e la selezione la singola scuola potrebbe operare a livello di inserimento come momento simbolico in cui si conferisce o meno un immediato significato di appartenenza. Questa semplice affermazione è sempre più patrimonio della scuola per quanto riguarda gli studenti: in molteplici forme infatti si sviluppano iniziative di accoglienza ben progettati e gestiti.


La stessa attenzione non è riservata all’insegnante di nuova acquisizione. Una spiegazione potrebbe essere trovata nella dimensione centralizzata di allocazione delle risorse umane che ha fatto radicare un’idea di fungibilità delle persone, che appare fortemente incongrua in una organizzazione di servizi.


Vi è, inoltre, il problema di un inserimento in un contesto che dovrebbe avere sviluppato una dimensione strategica – il Piano Educativo di Istituto, la Carta dei Servizi – oltre che piani organizzativi specifici e figure professionali originali. Queste informazioni devono essere comunicate al nuovo inserito, altrimenti costretto a raccoglierle gradualmente e in modo frammentario nel corso della sua attività.


Un passaggio ulteriore, di più difficile attuazione, riguarda le eventuali competenze distintive, che dovrebbe avere il personale di una determinata organizzazione. Questa integrazione di competenze può avvenire attraverso due strumenti: la formazione e il tutoring. In molte aziende al personale neo assunto si propone un corso di inserimento organizzativo in cui oltre a passare le informazioni rilevanti, si lavora sugli aspetti di competenza ritenuti basilari ed irrinunciabili per far parte di quella organizzazione. Una dimensione importante soprattutto per i docenti giovani potrebbe essere un corso base sulla didattica, seguito da un affiancamento di una docente più anziano che effettua il ruolo di supervisore o di “mentore”. (Quaglino, Cortese, 1997).


La descrizione delle posizioni potrebbe costituire un ulteriore momento di progettazione collegato alle scelte strutturali, ad esempio alla tipologia dei Progetti Obiettivo.


A livello decentrato restano anche le valutazioni di prestazione collegate al Contratto Collettivo.

Al di là degli aspetti pratici è questo un punto di forte contrasto e culturalmente poco accettato nella scuola in quanto è diffusa la convinzione della non valutabilità della professione docente. Questo tema va allora affrontato gradualmente, in modo non minaccioso, per ridurre il rischio di impatto negativo sulla quotidianità organizzativa.


E’ utile lavorare, magari attraverso l’utilizzo dello strumento formazione, facendo costruire dai docenti stessi le aree di valutazione e i criteri utilizzabili, non tanto per una sanzione individuale, quanto per lo sviluppo di prestazioni eccellenti. Quello dei criteri è il vero nodo da affrontare per sviluppare un sistema di valutazione di prestazioni. In questi anni lo sviluppo del settore terziario ha fornito l’occasione per sedimentare numerose esperienze relative alla gestione del personale in aziende di servizi, paragonabili per obiettivi e prestazioni alla scuola (Pennarola, 1992 – Morelli, 1992). Osservando i bilanci dei singoli istituti oggi appare chiaro come la formazione attuabile sia risibile. E’ necessario a livello centrale potenziare i finanziamenti su questo fronte, innalzando la qualità e uscendo da una formazione tutta interna collegata ad agenzie deputate esclusivamente alla scuola. E’ anche dal confronto con altre organizzazioni pubbliche e private attuate nei momenti formativi che possono avvenire processi di contaminazione culturale utili per tutti i soggetti.



Conclusioni

Affrontare la scuola come organizzazione è un passaggio culturale indispensabile per procedere ad un reale cambiamento.

La dimensione culturale rimanda innanzitutto ad una consapevolezza di questa importanza condivisa dai diversi livelli di discrezionalità afferenti al tema.


A livello centrale sembra che l’attenzione all’organizzazione si esaurisca in proclami verso l’autonomia come valore. In realtà le intenzioni dovrebbero essere accompagnate da atti concreti. Affermare che il costo dell’istruzione è alto e che è da diminuire suona come una tautologia. Il problema in termini gestionali si affronta unificando le competenze di spesa, restringendo la diaspora dei “pagatori” e costruendo un sistema di gestione che possa rendere trasparente il bilancio generale del singolo Istituto. Solo allora si potrà parlare di preside manager. Senza questi livelli di trasparenza e di responsabilizzazione decentrata effettiva, autonomia è solo una parola.


Accanto ad un controllo di gestione puntuale vanno rivisti i sistemi di gestione del personale, anch’essi in modo più vicino alla singola realtà scolastica. La centralizzazione nella gestione del personale è una inefficienza organizzativa che non rende trasparenti i flussi di domanda e offerta, con i paradossi a cui si è assistito all’inizio di quest’anno scolastico dove, nella città di Milano, è apparsa inaspettatamente la carenza di insegnanti in materie, quali quelle umanistiche, che si consideravano ad eccesso di offerta.


A livello del singolo Istituto, come si è cercato di dimostrare, sono possibili diversi itinerari di progettazione organizzativa. Per poterli affrontare bisogna innanzitutto ripensare al rapporto con gli insegnanti, cercando una convergenza di interessi con quelli di loro che si rendono disponibili a ripensare il proprio lavoro in un’ottica di sistema e non di singola materia.

Questi itinerari non possono che essere proposti e gestiti dal capo d’istituto e dal gruppo dirigente del singolo istituto che deve assumere un ruolo propositivo.

Al di là del merito degli interventi qualsiasi ripensamento organizzativo della scuola deve essere attuato con ampie alleanze e con un meta obiettivo di fondo: ridare “senso” a persone che hanno operato spesso in assenza di qualsiasi valutazione, sia positiva che negativa, del proprio operato, in un contesto autoreferente dove nei fatti venivano premiati, proprio perché non sanzionati, comportamenti opportunistici e dequalificati. Questo non è esclusivamente il risultato di una scelta politica, è anche il derivato di una organizzazione centralistica che non si è interrogata sui temi concreti della gestione.



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Tav. 1


Elementi per la costruzione di una strategia di istituto


  • Analisi del contesto

  • utenza

  • mercato del lavoro

  • scuole a monte e valle dell’istituto

  • altri portatori di interessi (Ass. Industriali, Sindacati, Ente Locale, Volontariato, etc.)


  • Istituzione legami sistematici con altri nodi di rete


  • Definizione di un piano dell’Offerta Formativa che tenga conto del contesto


  • Esplicitazione attraverso la missione dell’identità dell’Istituto





Tav. 2


Progettare l’organizzazione scuola


  • costruire una strategia di istituto


  • definire aree di attività e ruoli organizzativi


  • progettare l’integrazione


  • conoscere la cultura organizzativa


  • progettare la gestione delle persone


  • progettare la comunicazione esterna ed interna


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