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  • Immagine del redattoreCristina Bombelli

La formazione disorientata: come riorganizzare I formazione nella Pubblica Amministrazione



La Pubblica Amministrazione sta attraversando un momento estremamente fecondo di cambiamento. All’auspicio diffuso di uno sviluppo di competenze manageriali si stanno affiancando strumenti gestionali concreti che possono dare reale applicabilità a modalità gestionali diverse dal passato.

Il presente lavoro intende contestualizzare in questa direzione lo strumento “formazione del personale”. Dopo una riflessione sullo scenario del cambiamento visto nelle sue linee essenziali si analizza l’utilizzo della formazione nella pubblica amministrazione nel recente passato evidenziando alcune delle incoerenze presenti.

Si passa poi a mettere a fuoco le condizioni organizzative necessarie per il successo dello strumento formazione. In particolare la definizione della missione, delle strategie organizzative e l’impegno di vertice come coerenza necessaria. Analogamente viene sottolineata l’utilità di una integrazione con le altre leve di gestione del personale. Queste leve - estremamente carenti nella storia della PA - si riferiscono in particolare alla segmentazione delle figure professionali, con una necessaria rivisitazione organizzativa.

Un ’altra coerenza necessaria viene individuata nella gestione delle piante organiche e della mobilità. Infine vi e la necessita di una attenzione nuova - teorica e, soprattutto, pratica – alla valutazione delle prestazioni.

Per concludere si propongono alcuni assetti organizzativi della funzione formazione con una particolare attenzione al livello di outsourcing compatibile con una formazione di qualità. Le competenze dei formatori vengono infine messe in luce in relazione ai nuovi compiti della funzione.


  1. Lo scenario organizzativo

La Pubblica Amministrazione sta attraversando un momento particolare della sua storia. La grande attenzione posta al contenimento della spesa pubblica e gli obiettivi di recupero di economicità (Zangrandi, 1994) hanno portato all’introduzione di normative che avranno una vasta ricaduta gestionale e organizzativa. Dopo anni di lamentazioni riguardanti le carenze manageriali si sta passando alla fase di individuazione di strumenti concreti che diano spazi reali di gestione ai dirigenti pubblici.

Da questo punto“ di vista il legislatore sta lavorando con coerenza portando avanti alcune tendenze trasversali. I nodi centrali di questi cambiamenti riguardano:

  • La separazione delle responsabilità politiche da quelle gestionali. L’aver segnato con più precisione questi confini è condizione indispensabile per poter praticare la managerialità. Definire responsabilità, ambiti decisori, costruire ruoli è la precondizione per poter richiedere impegni concreti. Questo percorso non può ritenersi concluso. Nella pratica quotidiana vi è ancora molta commistione tra il ruolo politico e quello tecnico. Le abitudini consolidate, peraltro legittime nel passato, hanno avuto scarsa attenzione nel disegnare confini di ruolo. Se da un lato gli Amministratori ancora oggi invocano la scarsa professionalità presente a cui devono — obtorto collo - supplire, dall’altro la dirigenza spodestata dal potere decisionale ha avuto buon gioco nel non riconoscersi responsabile rispetto all’andamento delle aziende pubbliche. Una maggior chiarezza di ruolo, insieme all’introduzione di strumenti di gestione, con la conseguente individuazione di responsabilità, è di grande importanza per l’avvio di una gestione consapevole.


  • L’introduzione di strumenti di monitoraggio e controllo della gestione, nonché l’individuazione di responsabilità precise della tutela del rapporto costi benefici. E’ questa la strada maestra per sviluppare attenzione ai risultati economici e per spingere alla ricerca di soluzioni organizzative che tengano legati obiettivi - risorse - risultati (Zangrandi, 1994). Questo percorso in essere a diversi livelli nei diversi comparti della PA. Mentre nella Sanità la legge di riordino finanziario è stata organizzativamente assunta dalle aziende, negli Enti Locali il decreto 77/95 sta lentamente passando alla fase attuativa (Collevecchio, 1995) . Nella scuola l’individuazione e l’affinamento degli strumenti di controllo delle risorse economiche richiedono ancora molta progettualità. I programmi di autonomia scolastica tanno lavorando in questa direzione, ma essendo molteplici e distanti i livelli istituzionali erogatori di risorse che confluiscono sul singolo istituto, ancora non esiste la possibilità di accentrare un livello di controllo che possa almeno monitorare il rapporto costi - benefici.


  • L’inserimento di strumenti decentrati di gestione del personale. Con l’affermarsi dei contratti di diritto privato e con l’introduzione di quote di salario variabile, si sta imboccando una direzione irreversibile di attenzione alla prestazione. Questo aspetto è ancora semplicemente abbozzato e non privo di contraddizioni (Rebora, 1994), con diverse entità nei diversi comparti. E’ questo in ambito sul quale non è possibile non operare, in quanto ogni intento organizzativo può essere vanificato senza una coerente gestione delle persone.


E’ in questo scenario che si collocano per la formazione nuovi compiti. Da un lato alcuni degli strumenti de- critti forniscono i contenuti delle attività formative oggi prevalenti. Si pensi ad esempio all’introduzione dei Piani Esecutivi di Gestione negli Enti Locali che per la loro attuazione necessitano di diffuse capacità logiche e metodologiche ad ogni livello nel personale, dall’altro questi tipi di cambiamenti, che sono diversi e specifici per ogni azienda pubblica, esigono - come vedremo successivamente - una formazione tagliata “su miura” per la singola realtà.


  1. L’utilizzo della formazione nel recente passato: criticità e problemi

La formazione nella PA nel recente passato è stata utilizzata in modo esteso. Nonostante ciò la dimensione quantitativa secondo una ricerca del CNEL del 1996 è ancora di dimensioni poco rilevanti considerata in confronto ad altri paesi europei.

Quello che appare qualitativamente significativo è una scarsa connessione dei risultati formativi con le linee strategiche di cambiamento. Nella dimensione qualitativa, valutata come poco soddisfacente, si intendono sottolineare alcune incoerenze tipiche nell’utilizzo dello strumento formazione che rischiano di vanificarne gli effetti.

Vediamone alcuni:

  • Incoerenza tra i messaggi chiave sottolineati nei momenti formativi e i sistemi di premio/ sanzione vigenti all’interno del contesto. E’ questo uno dei punti cardine di coerenza spesso purtroppo poco considerati dagli stessi formatori. I soggetti che attraversano i momenti formativi possono essere sottoposti ad una specie di schizofrenia organizzativa: da un lato in aula vengono veicolati messaggi di cambiamento, dall’altro nei luoghi di lavoro questi stessi messaggi vengono disattesi da coloro che dovrebbero essere i committenti primi dell’attività formativa. Questa dimensione rimanda ad un necessario impegno interno che, se anche non sarà esteso e totale, deve almeno coinvolgere i soggetti più rappresentativi in termini simbolici dell’organizzazione. La mancata cura di questa coerenza, almeno a livelli minimi, rischia di vanificare i risultati di ricaduta organizzativa dell’attività formativa in quanto la quotidianità risulta molto più rinforzante i comportamenti della saltuaria attività d’aula.


  • Poca coerenza tra la formazione e gli altri strumenti di gestione del personale. La strada di avvicinamento tra l’universo pubblico e quello privato nella gestione del personale è solo tracciata. Il cammino da questo punto di vista è ancora molto lungo e non può essere evitato. Se prendiamo a riferimento le tre tappe delineate da Costa(1992) la Direzione del Personale nel pubblico si trova prevalentemente nella prima fase di Amministra- zione. Per uscire da questa situazione e per configurare una Direzione del Personale che possa essere davvero co—autrice delle politiche organizzative occorre lavorare su diversi fronti: su quello legislativo per costruire concreti strumenti di autonomia gestionale che diminuendo l’aspetto impositivo procedurale ampli le aree di responsabilità dei singoli sottosistemi mantenendo dal centro il controllo sui risultati; su quello contrattuale aumentano contemporaneamente la parte di retribuzione variabile ed ampliando i margini di autonomia; su quello delle singole realtà organizzative creando un pool di competenze che lavorino contemporaneamente sull’amministrazione, sulla gestione e sull’organizzazione. (Ruffini, 1992)


I due punti sopra tratteggiati sono allo stesso tempo causa e risultato della mancanza di identità delle organizzazioni e, conseguentemente, delle persone che in essa lavorano. Più che parlare di identità rifiutata (Rebora,1995) che rimanda ad una volizione dei soggetti, si dovrebbe parlare di identità negata in un coacervo sistemico tra le persone e le organizzazioni. Il tema dell’identità è allora un tema importante che riassume le situazioni sopra descritte. E’ probabile che il più chiaro disegno dei ruoli, l’impegno più focalizzato al rapporto costo-benefici conduca ad un commitment maggiore da parte dei dirigenti. Questo aspetto deve poi essere completato con le logiche di gestione delle persone che aumentino l’equità percepita dai singoli. Ciò costituisce la base per la potenziale costruzione di significato che unisca le persone all’organizzazione. In questo processo di “costruzioni di significati” individuali e quindi di identità organizzativa, la formazione può essere un potente alleato.


  1. Condizioni organizzative di successo della formazione


  1. Definizione delle strategie

Un primo aspetto di importanza fondamentale consiste nella integrazione della formazione con le strategie organizzative. Dalla ricerca CNEL solo il 50% del campione esprime la convinzione che i programmi di formazione abbiano contribuito a perseguire gli obiettivi strategici. Per realizzare tale raccordo è necessario definire a livello strutturale le competenze di Direzione del Personale, integrandole nelle competenze di direzione complessiva dell’azienda.

Da questo punto di vista la situazione attuale è differenziata nei diversi comparti ed è opportuno soffermarci brevemente su queste diversità.

Nella sanità l’istituzione di un ruolo di direzione generale ha molto focalizzato l’integrazione di vertice su di un board ristretto in parte sottovalutando, dal punto di vista strutturale, la direzione del personale. Molto più diffusa è la pratica - spesso rivendicata dagli stessi formatori - di porre la sola formazione in staff al Direttore Generale, sancendo in questo modo una sorta di esclusione degli altri strumenti di gestione. Questa scelta se da un lato riconosce un grande valore simbolico alla leva della formazione, dall’altra rischia di congelare una situazione di esclusione della direzione del personale.

Negli Enti Locali esiste una tradizione più consolidata di strutture e ruolo di Direzione del personale, anche se molto ancora definibile come “amministrazione del personale”. (Costa, 1992— Ruffini, 1992 b). Dal punto di vista della integrazione di vertice le scelte si sono polarizzate su due forme organizzative: il city manager e il Comitato di Direzione. Nel primo caso, come per aziende sanitarie si è preferito una responsabilità precisa, assunta con contratto di diritto privato e fiduciaria del Sindaco e della Giunta, nel secondo caso la responsabilità è diffusa su un board di vertice responsabile di Aree o Dipartimenti su cui insistono diversi settori.

Entrambe queste scelte lasciano poi spazio ad una definizione più articolata della figura del Direttore del Personale con l’auspicio che tale figura venga cooptata all’interno della “strategic room”. L’obiettivo è che la Direzione del Personale diventi portatrice di conoscenza approfondite relative alla situazione quali e quantitativa delle risorse presenti.

Nella scuola la situazione relativa alla gestione delle risorse umane è ancora fortemente accentrata. Nei passaggi di autonomia previsti ancora poco si configura una discrezionalità operativa di gestione del personale a livello di istituto. E’ probabile, ancorché auspicabile, che con il riassetto su dimensioni critiche più ampie, le figure gestionali della scuola si troveranno progressivamente a gestire spazi di manovra sulle leve di gestione delle persone, più articolati.


  1. Integrazione con altre leve di gestione del personale

La necessità di transitare da una fase di Amministrazione ad una di Gestione e Sviluppo del personale deve essere sottolineata con enfasi. Il richiamo continuo all’efficacia e all’efficienza della Pubblica Amministrazione, l’attenzione necessaria ad un contenimento della spesa, non possono essere concretizzate senza una diffusa articolazione di competenze intorno alla gestione delle persone. Nella articolazione del dibattito sul contenimento della spesa e sul ridimensionamento del welfare spesso sembra mancare una più cogente attenzione al tema dell’efficienza - per lo più invocata in termini astratti ma poco connessa allo stato generalizzato di abbandono in cui hanno versato le politiche di gestione del personale. Queste osservazioni diventano tanto più pregnanti quando si consideri che molti dei servizi erogati (educazione, sanità, assistenza e così via) sono servizi di persone a persone. Servizi che per loro natura sono soggetti ad una altissima discrezionalità soggettiva ed in cui l’assenza di politiche di gestione ha ancora più ampie ricadute chein altri contesti proceduralizzabili ed in cui la qualità e la motivazione del personale non risulta esiziale. (Norman, 1985)

Mintzberg (1979) sottolinea come nelle organizzazioni abitate da professionisti l’efficienza e il controllo non possono che essere perseguiti con la standardizzazione delle professionalità che viene assicurata dalle regole di accesso alla professione, dal titolo di studio, dalla formazione sul lavoro. Nella consapevolezza che sulle regole di accesso poco si sta lavorando rimangono alcuni ambiti di gestione da cui non si può prescindere.

Gli strumenti su cui è necessario lavorare concretamente perché integrati coerentemente con la formazione sono:

  • Segmentazione delle famiglie professionali

E’ questo un punto di estrema importanza per aiutare la pubblica amministrazione a riflettere su sé stessa dal punto di vista organizzativo. Lo strumento tradizionale - le piante organiche – sono composte dalle categorie contrattuali che poco rendono giustizia delle reali competenze necessarie a rivesti- re diverse posizioni organizzative.

In realtà la situazione organizzativa, come è stato sottolineato, è in questo momento in forte cambiamento. Questo significa che l’approccio ai contenuti delle mansioni deve tenere conto di una dinamica evolutiva in cui si possa connettere la pianificazione organizzativa e la segmentazione di nuove famiglie professionali (Manzolini, 1992).

Una lettura attenta delle modifiche in essere aiuta a definire con maggiore chiarezza la situazione ed i fabbisogni futuri costituendo anche un momento di analisi del fabbisogno formativo.

E’ inoltre dalla evoluzione organizzativa che nascono figure totalmente nuove per i contesti che stiamo esaminando. Esempi possono essere riscontrati nei componenti i nuclei di valutazione e nei “controller” degli enti locali oppure nelle nuove figure di sistema nella scuola. Dalle normali classificazioni e segmentazioni non si colgono né le evoluzioni né le nuove famiglie professionali.

Starà allora alle diverse Direzioni del Personale trovare delle tassonomie congrue che distinguendo attitudini da conoscenze e abilità si integrino con lo strumento formazione. (Vaccani, 1992)


  • Gestione delle piante organiche e mobilità

La capacità di analizzare le professionalità necessarie uscendo dalla sclerosi della pianta organica può aiutare a gestire con più coerenza percorsi di mobilità. Se la dimensione di sviluppo carriere interna è sottoposta ai vincoli del concorso pubblico (nei casi più fortunati con riserva di posti agli interni), la dimensione di sviluppo orizzontale delle professionalità può essere presidiata attraverso l’analisi del lavoro che, uscendo dagli schematismi contrattuali, si ancori alle competenze erogate.

Inoltre la pianta organica nella sua definizione dovrà essere legata alla dimensione dei costi in modo da quantificare gli organici sugli obiettivi previsti, e quindi sulle attività, dei singoli sotto sistemi.

Ancora oggi nel pubblico la dimensione allocativa delle persone risponde più a criteri soggettivi e personalistici legati alle “grammature” di potere interno che non a dati trasparenti sulle dimensioni effettive degli output organizzativi. A questa esigenza non hanno risposto normative poco finalizzate quali quelle sui carichi di lavoro.


  • Valutazione delle prestazioni

L’introduzione della valutazione della prestazione è stata per molti anni ostacolata - ed in alcuni comparti, come la scuola, lo è ancora - da una cultura diffusa contraria alla valutazione.

Nell’applicazione dell’istituto di valutazione della produttività ad esempio “politici, dirigenza e sindacati si sono trovati d’accordo che tale valutazione doveva scaturire dall’applicazione di criteri oggettivi definiti da uffici organizzazione adeguatamente professionalizzati” (Rebora, 1995). Questo spesso per evitare di affrontare direttamente e responsabilmente un tema diffusamente impopolare.

D’altro canto è indubbio che il coerente utilizzo di questo strumento collega i risultati individuali, con quelli di sottosistema e complessivi dell’Ente (Rebora, 1987). In particolare questo può avvenire attraverso il sistema di gestione per piani di lavoro (Ruffini, 1992) che può essere a sua volta collegato al controllo di gestione.

Su questo aspetto è necessario lavorare a livello decentrato conferendo reale autonomia e formando i manager pubblici ad un utilizzo coerente dello strumento. Lavorare su questa dimensione significa affrontare una delle più pericolose incoerenze: quella trai modelli proposti dalla formazione e le modalità di lavoro concretamente premiate (sia livello esplicito, ma anche implicitamente dalle culture prevalenti).

Quando questa schizofrenia viene praticata la formazione si delegittimata alla base diventando un poco convincente “belletto” organizzativo.

  1. La struttura organizzativa della funzione formazione


  1. Come usare la formazione

La formazione necessaria a sostenere i cambiamenti delineati si muove in una dimensione strategica. In questa dimensione essa dovrebbe riuscire ad integrare gli obiettivi generali dei diversi interventi formativi con le strategie dell’impresa e a pianificare gli interventi formativi su un orizzonte temporale consistente.

L’integrazione tra formazione e strategie rimanda all’assetto più generale della Direzione del personale. E’ precondizione per questa forte coerenza l’integrazione lella direzione del personale nella direzione strategica. (Boldizzoni, 1989)

Nel rapporto tra strategia e politiche del personale posiamo schematizzare un possibile nesso temporale:

Definizione strategie -> Adeguamento delle politiche del personale

Questa situazione concepisce la politica sulle persone - formazione compresa - come uno strumento “sicuro” per allineare le aspettative dell’impresa sulle persone stesse, in modo sequenziale e rigido.

Questo accade prevalentemente nelle ristrutturazioni e nelle situazioni di grandi cambiamenti in cui si tenta di adeguare rapidamente le persone presenti.

Una seconda impostazione può essere così schematizzata:

Analisi delle competenze <- -> Definizione strategie <- -> Adeguamento politiche del personale

Essa parte proprio dalla conclamata strategicità delle risorse umane per effettuare una analisi precisa delle potenzialità professionali e culturali come precondizione per definizione strategica. Questa impostazione parte dall’assunto di una parziale modificabilità delle persone pur gestite con strumenti coerenti e ben costruiti. Le persone hanno dei fisiologici limiti di apprendimento, sono resistenti in diversa misura al cambiamento, hanno una disponibilità diversa a lasciarsi coinvolgere dal lavoro.

Conoscere a fondo la cultura prevalente, leggere i climi aziendali per fare corrette analisi di fabbisogno formativo: tutto ciò contribuisce a definire il cambiamento sostenibile dell’impresa. Viceversa la forzatura sulle persone, il sogno di una irrealizzabile perfezione condanna ad un insostenibile cambiamento.

La funzione formazione deve inoltre pianificare su un orizzonte temporale consistente. Questo non significa strutturare una gabbia rigida che contrasterebbe con la turbolenza dell’ambiente e le naturali richieste di flessibilità. Significa saper articolare progetti su segmenti diversi di popolazione — partendo dal top — all’interno di una missione chiara che attraversa trasversalmente le iniziative. (Ondoli, Simonetta, 1992)

Per conoscere il potenziale umano presente si propone di integrare le modalità tradizionali di analisi del fabbisogno formativo con due grandi campi di indagine: gli stili cognitivi prevalentemente esistenti nell’organizzazione e l’analisi culturale. Entrambi questi campi di indagine sono molto fecondi per la necessità di contestualizzare il più possibile gli interventi e per le coerenze necessarie tra competenze distintive presenti e quelle perseguite. L’insieme dei risultati raggiunti consentirebbe di individuare il livello di plasticità esistente e quindi di prefigurare degli obiettivi sostenibili.

L’analisi che sarebbe interessante condurre riguarda le modalità condivise con cui si affronta il tema delle conoscenza. In parole semplici ogni individuo costruisce attraverso la sua storia personale e professionale, delle mappe cognitive di osservazione e interpretazione del mondo circostante. (Huff, 1990- Moretti, 1995).

Le mappe cognitive costantemente usate dai diversi soggetti, sono per lo più implicite e possono costituire un ostacolo alla reciproca comprensione. Questo campo è stato approfondito nel filone della psicologia culturale attraverso l’individuazione di metodologie che possono disoccultare ciò che normalmente viene lasciato implicito (Fabbri, 1990 - Fabbri, Formenti 1992). La messa a fuoco e la comprensione di tale campo d’indagine è ciò che consente di identificare ciò che è stato definito il cambiamento sostenibile. Altri (Vicari, Trolio, 1996) hanno messo in evidenza come tale cambiamento non è preconizzabile in modo logico-lineare; viceversa esistono una pluralità di cambiamenti la cui praticabilità definisce il possibile di una organizzazione. Quindi non tutti cambiamenti sono ipotizzabili, ve ne sono di possibili all’interno delle capacità cognitive dell’organizzazione in esame.

Un obiettivo che esula dal presente lavoro, ma che sarebbe di interesse per il formatore, riguarda l’aspetto metodologico per portare avanti una analisi di fabbisogno con queste caratteristiche. Il quadro ricavato dall’analisi degli stili cognitive esistenti dovrà essere integrato con una analisi culturale. Se i “modelli culturali sono prodotti di strategie di comunicazione individuali e collettive attraverso cui si diffondono le conoscenze all’interno dell’azienda” (Bodega, 1991) la connessione tra il campo precedentemente analizzato e quello culturale risulta evidente. L’indagine necessaria riguarda essenzialmente i valori presenti nell’organizzaione. Essi sono concepiti come gli assunti di base, anch’essi occulti dentro le quotidiane transazioni, che pervadono i tessuti organizzativi (Schein, 1983).

I programmi che potranno scaturire da una analisi del fabbisogno formativo completa delle diverse dimensioni, saranno programmi realistici in grado di prefigurare cambiamenti possibili, senza enfasi su strategie completamente ipotetiche.

Questi programmi possono riguardare tre grandi ambiti:

  • la modifica culturale: sono quelle attività che coagulandosi intorno a grandi parole d’ordine — qualità, orientamento al cliente - lavorano su diversi segmenti del personale cercando di disoccultare e di mettere in discussione le singole strategie di gestione del ruolo all’interno dell’organizzazione per orientarle al cambiamento;

  • la “manutenzione professionale”: aggreghiamo in questo capitolo tutti gli interventi formativi e di addestramento che lavorano su campi specifici - siano essi cognitivi, di abilità e di gestione del ruolo professionale specialistico o gestionale;

  • la formazione — intervento: questo capitolo potrebbe comprendere gli altri due quando si attuano cambiamenti organizzativi che costringono ad una ridefinizione e dei ruoli e delle modalità organizzative dei singoli sotto sistemi.


Attraverso queste chiavi di lettura sarà più facile effettuare una segmentazione originale delle famiglie professionali esistenti nell’organizzazione.


  1. Livello di outsourcing e controllo dei fornitori

Lo spettro di attività che la formazione deve erogare rende difficile una completa internalizzazione di tutti i segmenti del processo. Si è, inoltre osservato come globalmente la domanda di formazione stia passando dal catalogo a “su misura”(Ortini, 1994, 1995).

Questa tendenza rilevata denuncia una maggiore consapevolezza delle specificità del contesto organizzativo e una maggiore ricerca di coerenza attraverso una formazione che, pur partendo da contenuti frequentemente simili, sia finalizzata ad obiettivi specifici e contestualizzati.


Assumendo questa tendenza come un dato ineluttabile nel ciclo di vita del rapporto organizzazioni - formazione, possiamo cercare di definire il livello di outsourcing che è precondizione per una programmazione ed una progettazione formativa di qualità.


Descrivendo schematicamente il ciclo della formazione:

Censimento competenze <- -> definizione strategie

Definizione obiettivi strategici — Progettazione dei programmi

---------- livello di outsourcing-------——-

Definizione obiettivi didattici — Progettazione delle attività

Esecuzione delle attività

Verifica dei risultati strategici e delle singole attività



Il primo punto di questo processo - quello che tradizionalmente viene definito “l’analisi del fabbisogno formativo” (Quaglino 1981) - il censimento delle competenze e la conseguente definizione di strategie sostenibili, passa attraverso una fase di consapevolezza organizzativa che non può essere accantonata. Questo punto si collega a quello precedentemente citato riguardante la necessità di ripensare le famiglie professionali.

Gli strumenti di monitoraggio, obbligati dalla legge, quali quelli dei carichi di lavoro (Ferricchio,1994), se applicati in modo statico, rischiano di fotografare la realtà, senza diagnosticarla aprendo possibili spazi di cambiamento.

E’ necessario allora integrare le abilità di tradizionali di amministrazione del personale, con competenze di natura organizzativa che gestiscano, parallelamente ed in modo integrato, i cambiamenti organizzativi e le necessità formative.

Come abbiamo visto alla tradizionale analisi del fabbisogno bisognerebbe aggiungere una capacità da parte dei formatori di meglio conoscere gli “stili cognitivi” dei loro potenziali partecipanti. La pubblica amministrazione è un luogo povero di sistemi operativi tradizionali (Airoldi, 1980), che vengono sostituiti da pratiche implicite, condivise da gruppi più o meno ampi. Per questo è necessario che i formatori siano in grado di decodificare anche gli aspetti condivisi dalle singole “tribù” organizzative, indossando criteri di lettura di tipo culturale.

E’ attraverso la conoscenza organizzativa, soprattutto degli aspetti dinamici e delle tendenze in essere e la contemporanea attenzione alle persone concrete che si può cogliere la plasticità della realtà e formulare obiettivi didattici coerenti.

Lo spessore metodologico e la conoscenza profonda ed estesa delle caratteristiche delle persone, rende questo momento inesportabile all’esterno.

Coloro che all’interno presidiano questa fase potranno avvalersi di competenze esterne, mantenendone il coordinamento e il presidio. E’ necessario inoltre che questa fase sia oggetto di trasparenza e restituzione al board per raggiungere una maggiore consapevolezza della propria situazione e degli apprendimenti organizzativi necessari.


Analogamente la seconda fase che riguarda la definizione degli obiettivi strategici e la progettazione dei programmi, non può essere delegata in quanto strettamente legata e conseguente alla prima.

All’interno di questa riflessione, cambia anche la relativa sovrapposizione dei ruoli tra azienda committente e consulenti. In realtà, anche nella fase successiva quella della definizione degli obiettivi didattici e della progettazione delle singole attività, il consulente eventuale deve essere posto in condizione di conoscere compiutamente la realtà su cui andrà a lavorare.

Le situazioni migliori sono quelle in cui si instaurano delle sinergie di partnership con i consulenti anche nel-le fasi precedenti, con una conseguente fidelizzazione dei consulenti stessi che diventano profondi conoscitori delle situazioni in cui operano (Ortini, 1995).

Queste “avventure comuni” ripetute e condivise consentono di migliorare il controllo dei fornitori e di costituire all’interno un controllo più efficace sulla qualità dei servizi formativi proposti da consulenti esterni.


Devono, quindi, rimanere dentro l’azienda gli aspetti politico strategici, sia di definizione degli obiettivi e di relativa programmazione, sia di verifica dei risultati ai primi strettamente connessa. Da quanto affermato si può concludere che la diagnosi del livello di outsourcing, cosi come è stata descritta, può diventare un indicatore di qualità del servizio erogato.


  1. Le competenze dei formatori

Se l’organizzazione utilizza coerentemente lo strumento formazione, il presidio dei momenti politici del ciclo formativo - analisi del fabbisogno e verifica dei risultati - diventa molto importante. E’ a questo presidio che bisogna offrire strumenti concreti che possano aiutare ad avvicinare le distanze esistenti tra fornitore e cliente interno. Abbiamo visto come l’analisi del fabbisogno formativo necessita di un cambiamento di approccio e di strumenti e che, per la complessità che le è propria, è necessario rimanga all’interno dell’azienda.

La domanda è ora quali siano le figure professionali che concretamente possono svolgere questa fase, tenendo conto della necessità precedentemente sottolineata, di evitare eccessivi accentramenti specialistici che possono condurre alla frattura con il cliente interno.

La difficoltà dei rapporti tra specialisti della direzione del personale e la linea è sottolineata da Costa (1992) che conclude con l’auspicio di una necessaria despecializzazione e pervasione degli strumenti della gestione del personale.


Nella fase di accentramento la costruzione e l’utilizzo di strumenti molto specialistici da parte delle funzioni di staff porta ad una difficoltà della linea di comprensione delle leve proposte e di coordinamento con le loro finalità.

Si pensi ad esempio ad una accurata valutazione di potenziale attraverso gli Assessment Center ed all’utilizzo concreto da parte della linea dei potenziali emersi. La condivisone dello strumento e dei criteri utilizzati costituisce una necessaria base di integrazione. E’ difficile però trovare persone di linea disponibili per oggettiva saturazione del loro tempo ad approfondire tali tematiche.

Il focus di questa osservazione che è centrata prevalentemente sul settore privato che, dopo un’epoca di grande specializzazione ed eccessivo accentramento, si sta muovendo nella direzione opposta. Il settore pubblico potrebbe far tesoro di questa esperienza evitando la fase di accentramento e specializzazione eccessiva e lavorando nell’impostazione di un decentramento operativo di molte funzioni del personale.

L’occasione potrebbe essere contestuale alla segrnentazione e formazione delle nuove famiglie professionali dirigenti che nei diversi comparti si sta compiendo.


Per quanto riguarda la formazione distinguiamo i momento dell’analisi dei bisogni in livelli logici inferiori:

  • livello macro organizzativo - è necessario per i formatori comprendere lo scenario organizzativo che caratterizza il ciclo di vita dell’impresa; conoscere le tendenze in essere e le strategie che si stanno tentando, evidenziare la natura e le modalità d’impegno della committenza;>

  • livello micro organizzativo di definizione delle famiglie professionali oggetto dell’attività, evidenziando le differenze esistenti tra lo stato reale, attuale delle competenze erogate e i punti di arrivo di una professionalità in costruzione,

  • analisi del fabbisogno sull’utenza potenziale del corso. Questo aspetto completa il quadro: dopo aver decodificato le coordinate organizzative e il profilo delle competenze attese, si tratta di individuare quelli che sono stai definiti come spazi di cambiamento sostenibile.


Nel passaggio politico successivo, quello della verifica dei risultati, ci si dovrà attrezzare su tutti e tre questi livelli, che presuppongono obiettivi diversi: il livello strategico culturale, quelli relativi alle famiglie professionali tratteggiate ed, infine, il livello più propriamente didattico.

Gli obiettivi di singola attività, composti dagli obiettivi dilattici, hanno - a loro volta - due versanti di valutazione: la valutazione di apprendimento, rivolta ai discenti e la valutazione di esportabilità/ esportazione di ciò che si è appreso all’interno del contesto organizzativo di appartenenza, due momenti sono tra loro diversi per finalità e metolologie.

La valutazione di apprendimento, quella più tradizionale effettuata dalla scuola, ha un patrimonio strumentale molto ampio. Il problema riguarda l’adattamento ad un contesto adulto, con una particolare attenzione ad una finalità che non è solo di verifica delle capacità o dell’impegno dei singoli, bensì della pertinenza della funzionalità del percorso formativo progettato, rispetto agli obiettivi.

Questa operazione consente di coinvolgere anche i discenti in una valutazione del percorso proposto, con utili feed-back di progettazione.

Infine le valutazioni di esportabilità e di esportazione riguardano la centratura eventualmente realizzata del cambiamento sostenibile. La prima è la potenzialità percepita dai partecipanti di pertinenza dei contenuti / obiettivi del corso con il proprio contesto organizzativo. La seconda riguarda l’esportazione concreta di quanto appreso nella realtà organizzativa.

Dall’analisi condotta emerge un ruolo del formatore professionalmente complesso che non sempre può essere interpretato da un’unica persona.

Schematizzando possiamo riassumere:

  • ruolo di interfaccia politico / organizzativo. La dimenione strategica può essere interpretata direttamente dal Direttore del Personale;

  • ruolo di analisi dei bisogni / programmazione / progetazione delle attività formative e di verifica dei risultati. In particolare il momento di analisi dei bisogni dovrebbe essere svolto in cooperazione con la funzione organizzazione;

  • ruolo di gestione d’aula. Attualmente quello che più si avvale di professionisti eterni all’azienda.


Il presidio dei due momenti politici del circuito della formazione, analisi dei bisogni e verifica dei risultati potrebbe essere attuato costruendo la pervasività e la despecializzazione della formazione attraverso figure di interfaccia fra la direzione del personale e la linea.

La proposta organizzativa, attuata in alcune esperienze concrete, potrebbe essere di creare un gruppo di formatori di supporto provenienti dalla linea che cooperino con il servizio formazione nella tutela dei momenti di analisi del fabbisogno e di verifica dei risultati.

Concretamente queste persone potrebbero svolgere il ruolo di riempire di contenuti i metodi proposti dai formatori, verificando poi nella realtà decentrata, i risultati reali, le ricadute organizzative dei percorsi formativi realizzati.


Tali figure dovrebbero essere formate attraverso la socializzazione delle logiche di formazione degli adulti con competenze in particolare di analisi dei bisogni secondo l’ottica culturale e degli stili cognitivi. La diffusione di queste competenze all’interno dell’azienda aiuterebbe ad aumentare il grado di consapevolezza diffuso circa la conoscenza della realtà aziendale. Questa dimensione aiuterebbe concretamente a sviluppare un coerente apprendimento organizzativo.

La creazione di gruppi di interfaccia potrebbe essere utile anche in altri ambiti dove la distanza tra la competenza dell’erogatore del servizio interno è molto distante dalla competenza diffusa del fruitore del servizio interno.

L’esempio più eclatante sono i sistemi informativi che nella esponenzialità dell’innovazione tecnologica, rischiano di diventare sempre più incomprensibili ai clienti interni. E’ opportuno allora creare degli esperti di sotto sistema - ad esempio l’informatico del personale – che integrino gli staff con i fruitori costruendo delle mappe cognitive di interfaccia.


  1. le reti

Quando alcune tipologie di famiglie professionali – ad esempio i formatori - sono relativamente sole all’interno dell’organizzazione, sorge l’esigenza di creare un confronto con le professionalità analoghe operanti all’interno di altre organizzazioni simili. Nascono in questo modo coordinamenti o associazioni di categoria, riviste, luoghi di incontro quali convegni.

Per i formatori spesso si è trattato di network spontanei che hanno operato nel confronto di obiettivi e strategie.

Attività, innovazioni e contatti sono stati scambiati con l’obiettivo di fare tesoro dell’esperienza altrui e di costruire sinergie tra diversi soggetti organizzativi dispersi sul territorio. La rete raggiunge l’obiettivo di far uscire dall’isolamento formatori, integrandoli ad un livello superiore di scanbio.


Conclusioni

La formazione può essere uno strumento strategico nella implementazione del cambiamento. La pubblica amministrazione ha iniziato ad utilizzare questo strumento in modo quantitativamente diffuso. Il livello qualitativo è stato viceversa inferiore alle aspettative. Per dare pieno titolo a questo strumento è necessario operare per inserirlo all’interno dei due grandi ambiti che esso contribuisce a collegare: le modalità organizzative e la gestione del personale. In questo inserimento e necessario presidiare alcuni livelli di coerenza in assenza dei quali il rischio è di vanificarne l’uso dopo avervi destinato considerevoli risorse economiche.

Inoltre se le tendenze organizzative alla snellezza che hanno caratterizzato il settore privato in questi anni entreranno anche nel pubblico, sarà necessario stabilire con criteri professionali, quale è il livello di esternalizzazione della formazione compatibile con una formazione di qualità. A questa riflessione abbiamo cercato di rispondere analizzando il momento di analisi del bisogno nella sua complessità e nel suo radicamento necessario nell’organizzazione in esame.

Dal cambiamento complessivo dell’utilizzo della formazione scaturisce una figura di formatore molto più sfaccettata e poliedrica. L’articolazione delle funzioni che il formatore deve presidiare fa nascere la necessità di un assetto diverso della funzione che sia composta da figure professionali con orientamenti diversi: organizzative e di analisi del bisogno, specialistiche sui diversi contenuti, docenti e animatori di processi di apprendimento. Le modalità di costruzione di questi assetti devono essere specifiche per ogni realtà organizzativa, rispondendo però a delle esigenze comuni che in questo lavoro abbiamo cercato di analizzare.

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