top of page
  • Immagine del redattoreCristina Bombelli

La difficile uguaglianza nella diversità

Affrontando pubblicamente il tema delle differenze al maschile e al femminile rimango sempre colpita dal rifiuto che questo argomento spesso incontra.


Raccontavo ad una collega come in una analisi delle competenze svolta da una banca su un numero molto elevato di persone, rivisitando i dati al maschile e al femminile, emergessero delle visibili differenze. La reazione infastidita fu: “Sarebbe necessario appurare se i valutatori non abbiano utilizzato degli stereotipi nella valutazione!”.


Quando ci troviamo di fronte al tema della diversità abbiamo sempre il sospetto, che spesso peraltro si trasforma in certezza, che le differenze rilevate siano frutto di una deformazione mentale, di uno stereotipo appunto, soprattutto quando questa lettura serve a mantenere le donne in una situazione di inferiorità. Ad un recente convegno un esperto affermava: “Le donne che rientrano nel mercato del lavoro, sono le migliori operatrici dei call center!”. Ecco una bella competenza femminile che confina le donne in una posizione non certo delle migliori dal punto di vista organizzativo e, conseguentemente, retributivo.


Vorrei partire da questo fastidio spesso diffuso per sviluppare una riflessioni che ci aiuti, aiuti le donne e il sindacato, ad affrontare questo tema sempre molto complesso, dell’uguaglianza e della differenza.


Come osservazione preliminare vorrei tornare sullo stereotipo che possiamo definire come l’attribuzione di caratteristiche univoche ad un gruppo di persone. E’ evidente che segmentare un universo in uomini e donne, piuttosto che in italiani e cinesi, ingegneri e filosofi, rischia di accelerare l’attribuzione di caratteristiche. D’altro canto è inevitabile che nell’esperienza di ciascuno alcuni “gruppi” abbiano effettivamente alcune caratteristiche comuni. Le donne sembrano essere più orientate alla relazione, gli uomini al risultato. Gli italiano sono generalmente persone molto allegre, i cinesi si offendono moltissimo se qualcuno fa perdere loro la faccia. Gli ingegneri tendono ad essere molto precisi e logici nel loro lavoro, i filosofi sono spesso disordinati.


Ciascuno di noi tende a prevedere cosa gli accadrà e apprendere dall’esperienza che probabilmente uno uomo o una donna, un italiano o un cinese si comporteranno in un determinato modo, aiuta molto ad essere veloci e sintetici. Il problema sorge quanto il dato assunto dall’esperienza o frutto di una ricerca, si congela attribuendo a tutte le persone dell’universo le caratteristiche che si suppone abbia la maggioranza.


Le donne sanno intuitivamente questa cosa, come lo sanno tutti coloro che appartenendo ad una minoranza, si vedono “congelati” negli stereotipi che non cambiano nel tempo.


La lunga e mai conclusa battaglia per le pari opportunità nella società e nel lavoro che le donne hanno dovuto compiere le porta spesso a minimizzare le differenze perché temono che queste possano ritorcersi contro. La precisione e la pazienza hanno portato le donne ad occupare posizioni faticose, noiose e poco remunerate.


Che fare allora? Continuare a sottovalutare le proprie diversità per essere accettate in un gruppo, quello maschile, che manifesta, a sua volta, delle omogeneità che non appartengono alle donne?

Prendiamo ad esempio una differenza che si riscontra nei comportamenti, ma che ha una radice biologica.


Alcuni studiosi hanno messo in luce come la differente quantità di testosterone,un ormone tipicamente maschile, abbia delle ricadute sui comportamenti. Tra le molte responsabilità di questo ormone vediamone due, diverse tra loro. La prima riguarda la competenza di lettura dello spazio che esso fornisce. Credo sia esperienza comune che le donne facciano fatica a parcheggiare a lato della strada in spazi angusti, come analogamente hanno più difficoltà ad orientarsi in una città nuovo rispetto ai compagni maschi. Ancora il testosterone agisce sull’aggressività. Non solo quella negativa dell’attacco, ma anche quella positiva di difesa attiva. Gli uomini prediligono attività “aggressive”, le donne si ritraggono e cercano il compromesso.


Cosa possiamo concludere? Che le donne non debbano parcheggiare, viaggiare o negoziare?

Credo che il tema delle differenze sia da affrontare innanzitutto come consapevolezza. Invece di rifiutare gli elementi che distinguono i gruppi di persone è necessario approfondire il tema delle differenze, avendo sempre l’accortezza di tollerare gli individui che non siano omogenei al loro gruppo.


Per quanto riguarda le donne capire a fondo i propri elementi di diversità aiuta nel compiere un bilancio personale relativamente a ciò che si possiede e ciò che manca. Collegandoci all’esempio precedente se le donne hanno maggiore difficoltà a collocarsi nello spazio dovranno dotarsi di risorse, una cartina dettagliata ad esempio, o effettuare percorsi di apprendimento più mirati alla capacità di orientamento.

Sottovalutare le differenze purtroppo significa accentuare la disparità.


Il fatto che moltissime ragazze in Italia e in altri paesi del mondo (non in tutti) dimostrino difficoltà nell’apprendimento della matematica potrebbe risiedere in modalità didattiche che troppo spesso danno per scontato che tutti siano uguali e che i percorsi di raggiungimento degli obiettivi siano univoci.


Il contrario di differenza non è quindi uguaglianza, ma indifferenza, dove questo termine può essere interpretato come incapacità di cogliere ciò che distingue un individuo da un altro, un gruppo da un altro, senza che questa differenziazione sia necessariamente incapacità di stare insieme o di perseguire i proprio obiettivi.


Se così è le donne devono pensare a percorsi specifici di apprendimento: ad esempio la leadership che nelle organizzazioni viene richiesta non può essere indifferenziata. Molte donne che hanno, spesso senza nemmeno accorgersene, mutuato stili dai loro colleghi maschi, sono poi guardate con sospetto e chiamate “virago” proprio perché caricature di uno stile che non appartiene loro.


Personalmente credo in una formazione che , senza creare percorsi differenziati e improbabili ghetti, aiuti le donne, in alcuni momenti della carriera, a rivisitare le proprie competenze con occhi nuovi, chiedendosi quali bisogni, obiettivi e percorsi diversi sono necessari.


Certo anche le organizzazioni lavorative dovranno uscire, e molte lo stanno facendo, da modelli di omologazione manageriale che richiedono a tutti di usare un unico stile indifferenziato. Le modalità di gestione prevalenti non possono che essere maschili e le donne si troveranno ad essere valutate con criteri a cui non possono aderire. Quelle che ce la faranno diventeranno “un ragazzo del gruppo!”. Forse è anche per questo che, nonostante ne parliamo da tanti anni, il “soffitto di vetro” è ancora li, splendente come non mai.


bottom of page