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  • Immagine del redattoreCristina Bombelli

Delegare per sopravvivere

Nella vita lavorativa esiste un paradosso che riguarda coloro che intraprendono la cosiddetta “carriera” e che contiene un pericolo potenziale: appena sai far bene una cosa, ti propongono di farne un’altra.

Partiamo da una storia: un ingegnere viene assunto per fare dei calcoli strutturali, è bravo, motivato, molto preciso. In breve si guadagna la stima dei colleghi e dei superiori. Dopo qualche tempo al nostro protagonista viene offerta la possibilità di un primo passaggio di carriera: il coordinamento del gruppo dei progettisti. Accettando la posizione nuova egli abbandonerà il lavoro per cui era riconosciuto competente per affrontarne un altro, spesso completamente diverso, le cui competenze di base non sono più ancorate al calcolo ed ai modelli matematici e specialistici che lo sostengono, ma alla capacità di comunicazione, di delega, di motivazione, di controllo e coordinamento, ovvero all’essenza del mestiere gestionale.


La storia può mutare le etichette professionali, possiamo parlare di uno specialista di laboratorio, di un esperto della formazione, piuttosto che di un cuoco, ma il paradosso non cambia.

Esso può essere gestito in modo positivo dall’azienda che lo offre e che potrà valutare la persona non solo per quello che fa, ma anche per quello che potenzialmente potrebbe fare e che, sopratutto, fornirà supporti formativi al cambiamento.

Le persone però devono essere consapevoli dell’esistenza di questo paradosso ed imparare a districarsi in uno dei primi esercizi manageriali: la gestione della delega.

Questo vale naturalmente per uomini e donne. L’esperienza però mi dice che al femminile questo passaggio è più faticoso, quasi che il delegare fosse di più difficile apprendimento nelle pratiche professionali delle donne.


Se analizziamo il processo di delega nel dettaglio possiamo evidenziare come esso contenga alcuni elementi tipici della fatica femminile nei luoghi di lavoro.

Per delegare occorre innanzitutto organizzare il lavoro, nel senso di dividerlo ed integrarlo. Questa è una parte tutto sommato facile, che necessita di colpo d’occhio sulle situazioni lavorative e di intuito rispetto alle persone che possono farsi carico del segmento di lavoro individuato.


La parte difficile invece arriva nel momento di dover chiedere alla persona di farsi carico del pezzo di lavoro a lei delegato e nel successivo momento del controllo.

In questo processo esistono due “sofferenze” al femminile.

La prima è proprio quella di “chiedere”. Gli uomini hanno una lunga tradizione, che si trasforma in competenza, nel saper ordinare ad altri di fare un lavoro. Ma le donne?

Alcune, le famose “virago”, comandano. Spesso questo comportamento è più dettato dalla paura che dalla convinzione, ma il risultato è lo stesso: una cattiva imitazione di uno stile non proprio.

L’estremo opposto sono le donne che lo “chiedono per favore”, così come si chiederebbe ad una amica un prestito o una sostituzione in una incombenza gravosa. In questo caso si usa la relazione per ottenere il risultato, scordando che è diritto / dovere di un capo delegare una parte del lavoro. All’interno di questi due estremi vi sono le donne che stanno costruendo una identità lavorativa più precisa, che paga i suoi debiti alle competenze relazionali senza diventarne schiava.

Un comportamento di delega corretto è sicuro, senza essere insultante, è diretto, senza diventare arbitrio, è legittimo e non deve essere negoziato. Si possono invece discutere i tempi e i modi, ma le donne in posizione di responsabilità devono imparare a non sentirsi fuori posto nel momento in cui chiedono ai propri collaboratori o colleghi una parte dei risultati.


La seconda sofferenza è quella della valutazione. Se torniamo all’esempio introduttivo, il giovane ingegnere di cui abbiamo seguito i primi passi di carriera era probabilmente molto bravo nel suo lavoro. Quando controllerà quello dei colleghi si renderà conto dei loro errori, ma anche delle imperfezioni e dei dettagli negli aspetti formali.

Due sono i pericoli che si incontrano a questo punto.

Il primo: se si fa fatica a chiedere, quanto si riesce a far correggere un lavoro? L’impulso femminile a questo punto è di sostituirsi. Il comportamento ha anche radici familiari: la donna che non accetta gli errori di un marito volonteroso, ma non uso alle faccende domestiche, condanna sé stessa a svolgerle per il resto della vita.

Il secondo, strettamente connesso, è quello per cui il controllo “al femminile” può diventare maniacale quando insegue un ideale perfetto che può diventare perfezionismo. E’ un rischio che abbiamo già affrontato, ma che necessita di una continua attenzione.


La tolleranza al tempo di apprendimento, ma anche a modi diversi di produrre il risultato, porta con sé la moltiplicazione dello sforzo.

E’ questa anche la regola della delega. Un giorno un manager uomo, raccontandomi di come avesse superato questa fatica, diceva: “Ho capito che anche se perfetto, avrei potuto fare il lavoro di uno solo di loro. Io avevo però dieci collaboratori e anche se ciascuno di essi avesse lavorato in modo meno preciso o solerte di me, la somma sarebbe stata decisamente superiore”.


Probabilmente esistono persone che non vogliono delegare o perché troppo appassionate del loro lavoro o perché impaurite dall’idea di perdere delle competenze. Per gli altri è importante capire che la delega è come la famosa leva di Archimede: solo attraverso essa si può sollevare il mondo.


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