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Immagine del redattoreCristina Bombelli

Come cambia il ruolo del formatore


Le tendenze organizzative attuali che si possono sintetizzare con il perseguimento di snellezza e frugalita’, rischiano prosciugare eccessivamente gli staff centrali, per alcuni momenti organizzativi che, per importanze e specificita’, devono essere presidiati all’interno dell'impresa. E ' il caso della formazione che, per muoversi in un 'orizzonte strategico, deve focalizzarsi sulle necessità reali, attraverso una profonda conoscenza delle persone, delle loro modalità cognitive, dei loro valori.

L'articolo esamina le tendenze organizzative e quelle della domanda di formazione per suggerire alcune ipotesi di assetto della funzione piu' coerenti con tali tendenze.


1. Premessa

L’evoluzione che le imprese stanno attraversando verso una crescente complessità rende sempre più evidente la dimensione strategica costituita dalle persone. Inoltre il prosciugamento attuato dalle tecnologie degli aspetti “poveri” del lavoro, le turbolenze di mercato, i cicli di vita sempre più brevi, le risposte organizzative che le imprese attuano, tendono a modificare sempre più rapidamente le competenze e le abilità richieste alle persone stesse.

Il riconoscimento del fattore umano come centrale nell’interpretare il cambiamento, come esiziale per il futuro delle organizzazioni è pressoché unanime. Da questo riconoscimento all’individuazione di strumenti di gestione del personale e di assetti organizzativi coerenti, il passo non è semplice.

In primo luogo una osservazione d’insieme: a partire dagli anni ‘70 si è assistito ad un progressivo ampliarsi delle competenze di direzione del personale e ad un continuo specializzarsi dei diversi strumenti (Boldizzoni, 1989 - Actis Grosso, 1992)

Nella selezione, così come nella valutazione della posizione o del potenziale, le tecniche utilizzate sono diventate via via sempre più complesse e sofisticate anche con l’inserimento in azienda di figure professionali un tempo estranee come gli psicologi.

Un esempio per tutti potrebbe essere riconosciuto nella valutazione del potenziale. Il fatto che le imprese abbiano attuato una inversione di rotta passando, sia in ingresso che negli sviluppi di carriera, da una valutazione legata alla posizione ad una valutazione più legata al potenziale ha portato a sofisticare a tal punto alcuni strumenti, quali ad esempio l’assesment center, che la loro gestione è stata delegata a specialisti (interni o esterni) con un conseguente rischio di esclusione della linea.

In diverse realtà questa tendenza della Direzione del Personale all’accentramento e alla specializzazione ha portato ad una sorta di frattura con il cliente interno, la linea ultimo e solo fruitore della qualità dei servizi erogati.

Riprendendo l’esempio della valutazione del potenziale la difficoltà organizzativa non è consistita tanto nell'individuare strumenti di rilevazione del potenziale stesso, quanto di socializzarli con la linea e con coloro che 1i subivano, in modo che l’organizzazione nel suo insieme potesse far tesoro degli elementi conoscitivi che gli strumenti stessi fornivano.

Spesso il potenziale valutato non veniva utilizzato coerentemente dai decisori di linea che, per incompetenza o per cultura radicata, preferivano continuare con altri criteri, empirici o specialistici, nello sviluppo delle carriere. In questo modo poteva venir meno una importante opportunità nel tema della gestione delle carriere, tema che necessita viceversa di una particolare attenzione per l‘impiego piu' coerente delle persone dal punto di vista dell'impresa e per una maggiore possibilità di espressione della propria identità lavorativa da parte delle persone. (Salvemini, 1992)

Questa progressiva distanza cliente- fornitore interno, con il conseguente grave dispendio di risorse e di know-how da un lato e di poca qualità del servizio dall’altro, ha portato ad un ripensamento globale delle modalità di progettazione/utilizzo degli strumenti di gestione delle persone.

La gestione del personale, nella configurazione di “Direzione e sviluppo delle risorse umane” (Costa 1992) tende a diventare “pervasiva e despecializzata”. Questo significa concretamente che sacrifica una parte della specializzazione accumulata negli anni precedenti per avvicinarsi alla linea, facendo in modo di trovare una integrazione con il cliente interno, più “a valle” verso i luoghi dove concretamente si lavora.

Lo spostamento di assetto globale provoca delle ripercussioni sulle configurazioni organizzative così come sulla suddivisione delle competenze tra linea e staf e sulla loro successiva integrazione.

Ciò ovviamente non significa gettare al vento il grande patrimonio specialistico accumulato in questi anni, quanto lavorare sull’integrazione tra domanda e offerta di servizi interni.

]] presente lavoro intende analizzare l’ambito della formazione del personale suggerendo alcune ipotesi di assetto istituzionale della funzione che potrebbero rispondere in modo più puntuale alle esigenze emergenti.


2. L'evoluzione organizzativa delle imprese e della domanda di formazione

Le tendenze della domanda di formazione si inscrivono nei più generali processi di cambiamento organizzativo in atto.

In estrema sintesi gli anni 90 sono caratterizzati da alcune macrotendenze organizzative :

  • la snellezza e la frugalità

  • il superamento della logica funzionale

  • la riscoperta e lo studio dei processi come chiave di rilettura organizzativa globale (BPR) (Manzolini, Soda, Solari - 1994; - Racheli, Perrone - 1995)

Tali tendenze portano a dei cambiamenti interni che devono essere considerati ai fini delle riflessioni che si intendono proporre.

In primo luogo la tendenza allo snellimento ha un effetto immediato sulle unita' di staff centrali (Perrone, 1996) e quindi anche sulla Direzione del Personale. Estremizzando le logiche di outsourcing connesse si possono evidenziare logiche di esternalizzazione complessiva della funzione formazione con dei rischi che di seguito si evidenzieranno.

In secondo luogo il superamento delle barriere funzionali e la conseguente reinterpretazione organizzativa per processi, modificano sostanzialmente le competenze richieste, sia a livello manageriale che a livello periferico.

Questa riformulazione dei profili, d'altro canto non può prescindere dalla necessità di coniugare due aspetti professionali tradizionalmente visti come antitetici: un bisogno generalizzato di managerialità intesa come capacità di leggere l'azienda in modo complessivo , dal particolare al generale e Viceversa, ed una necessità di competenze specialistiche sempre più approfondite in alcune aree disciplinari .


Queste esigenze che a livello di impresa venivano soddisfatte contando su diversificazioni nette tra profili professionali gestionali e specialistici (Vaccani, 1992), oggi devono trovare soluzioni organizzativamente più adeguate.

Inoltre il sapere manageriale nei contesti che evolvono verso una complessità crescente, deve orientarsi alla sperimentalità e all'apprendimento, rifuggendo da soluzioni etero costruite. Ciò rimanda ad una capacità diffusa di leggere la situazione specifica e di declinare soluzioni ad-hoc. (Di Bernardo, Rullani - 1990)

Altre novità legate ai cambiamenti organizzativi in atto, emergono dall'analisi delle competenze (Ratti, 1989; Camuffo, 1996). Queste nuove modalità di lettura dei diversi soggetti all'interno dei contesti organizzativi pongono il problema di una ridefinizione delle modalità di analisi (Varchetta, 1993) e di gestione del lavoro.

Da questo contesto, sommariamente tratteggiato, scaturisce un cambiamento della domanda di formazione. La necessità di contestualizzazione sopra rilevata fa richiedere alle imprese servizi più individualizzati e specifici (Salvemini, 1987).

Anche la formazione si contestualizza non solo, come è più scontato, rispetto aglimobiettivi generali e didattici, ma anche rispetto ai metodi e alle formule progettuali (Fiocca, Slavemini, 1992). Ancora rispetto alla domanda i filoni contenutistici e gli obiettivi prevalenti scaturiscono anch'essi dalle tendenze sopra delineate, con particolare riguardo al general management e all'internazionalità‘ (Ortini, 1995). La domanda è anche sempre elevata in relazione alle abilità relazionali e di gestione della comunicazione inter personale. Nelle strutture organizzative sempre meno definite e più trasversali devono crescere comportamenti più cooperativi, di disponibilità e fiducia reciproci, con una "femminilizzazione" delle modalità relazionali (Bombelli, 1994). Su questi aspetti è richiesto alla formazione di giocare un ampio ruolo.

Si assiste inoltre ad una evoluzione di richieste "su misura" che si sostanziano nella necessità di superare delle modalità di progettazione formativa tradizionalmente lineari, per avviare delle modalità sperimentali con contaminazioni di ruolo reciproche tra committenti e consulenti eventuali (Ortini, 1994)


3. L’organizzazione della funzione formazione

a. Come usare la formazione

La formazione necessaria a sostenere i cambiamenti delineati si muove in una dimensione strategica.

Nella fase di “Direzione e sviluppo delle risorse umane” (Costa 92) la funzione formazione dovrebbe riuscire a:

  • integrare degli obiettivi generali dei diversi interventi formativi con le strategie dell’impresa

  • pianificare degli interventi formativi su un orizzonte temporale consistente.

L’integrazione tra formazione e strategie rimanda all’assetto più generale della Direzione del personale. E’ precondizione per questa forte coerenza l’assunzione della Direzione del Personale nella direzione strategica (Boldizzoni,1989).

Questo aspetto può essere schematizzato con due possibili estremi:

Definizione strategie —> Adeguamento delle politiche del personale

Analisi del personale esistente <=> Definizione strategie <=> Adeguamento delle politiche del personale

La prima situazione schematicamente delineata concepisce la politica sulle persone, formazione compresa, come uno strumento “sicuro” per allineare le aspettative dell’impresa sulle persone stesse, in modo sequenziale e rigido.

Questa accade prevalentemente quando l'impresa si trova a dover affrontare grandi cambiamenti di rotta nei quali si tenta di adeguare rapidamente al nuovo le risorse umane presenti in azienda.

La seconda impostazione invece si pone, proprio per la conclamata strategicità delle risorse umane, una analisi precisa delle potenzialità professionali e culturali delle persone come precondizione per la definizione strategica.

Questa impostazione parte dall’assunto della assai parziale modificabilità delle persone attraverso qualsiasi strumento di gestione, formazione compresa.

Nei sogni sostenuti da vasta e superficiale letteratura, esistono solo persone perfette, committed, empowered, coinvolgibili senza limiti di tempo, devote e fedeli. La realtà invece è sempre più complessa e diversificata. Le persone hanno dei fisiologici limiti di apprendimento, sono resistenti in diversa misura al cambiamento, hanno una disponibilità diversa all’adesione all’azienda.

Conoscere a fondo la cultura prevalente, leggere i climi aziendali, fare corrette analisi di fabbisogno formativo contribuiscono a definire il cambiamento sostenibile dell’impresa. Viceversa, la forzatura sulla persone, il sogno irrealizzabile della perfezione condanna ad un insostenibile cambiamento.

Questa seconda impostazione, pur nella rigidità espositiva dello schema, vorrebbe affrontare in modo più sistemico (Senge, 1990) il legame esistente tra le strategie e le competenze esistenti o da formare. Per pianificare le attività formative sotto forma di programmi e necessario integrare le tradizionali analisi del fabbisogno formativo (Quaglino,1981) con una attenzione più marcata alle caratteristiche culturali delle persone e quindi dell’organizzazione.

E’ in questa ottica che l’integrazione della direzione del personale nel board a pieno titolo diventa un momento indispensabile anche nella definizione di strategie compatibili sia con l’assetto presente che con quello prevedibile delle risorse umane.

Il secondo indicatore rimanda ad una capacità di pianificazione di tipo strategico rispetto alle attività formative. Questo aspetto, insieme al livello di outsourcing di cui tratteremo successivamente, fornisce alcuni elementi per la misura della qualità dei servizi erogati (Ondoli, Simonetta, 1992).

La pianificazione dei risultati attesi della funzione formazione non significa strutturare una gabbia rigida che sarebbe in contrasto rispetto alla turbolenza dell’ambiente e alle esigenze di flessibilità. Significa avere la capacità di articolare dei progetti su segmenti diversi di popolazione - partendo dal top— all’interno di una missione chiara e che attraversa trasversalmente le diverse iniziative.

Si tratta, quindi, di integrare le modalità tradizionali di analisi del fabbisogno formativo con due grandi campi di indagine: gli stili cognitivi prevalente esistenti nell'organizzazione e l'analisi culturale. Entrambi questi campi di indagine sono indispensabili per la necessità di contestualizzare il più possibile gli interventi e per le coerenze necessarie tra competenze distintive presenti e quelle perseguite. L'insieme dei risultati raggiunti consentirebbe di identificare il livello di plasticità esistente e quindi di prefigurare obiettivi sostenibili.

L' analisi che sarebbe interessane condurre riguarda le modalità condivise con cui si affronta il tema della conoscenza. In parole semplici ogni individuo costruisce attraverso la sua storia personale e professionale, delle mappe cognitive di osservazione e interpretazione del mondo circostante. (Huff, 1990 - Moretti,1995)

Tali mappe, prendendo in considerazione soprattutto l'ambito organizzativo che qui stiamo analizzando, riguardano la classificazione dell'universo (quelle di osservazione) e delle relazioni di causa - effetto (quelle di interpretazione).

Se volessimo esemplificare un manager alle prese con un problema di non raggiungimento di risultati, si interrogherebbe sulla causa di questo problema, dopo aver cercato di individuare le con-cause possibili.

Queste mappe cognitive costantemente usate dai diversi soggetti, sono il più delle volte lasciate implicite e possono essere un ostacolo alla reciproca comprensione. Tale campo è stato approfondito nel filone della psicologia culturale attraverso anche l'individuazione di metodologie che possono disoccultare cio' che normalmente viene lasciato implicito. (Fabbri, 1990 - Fabbri, Formenti 1992)

La messa fuoco e la comprensione di tale campo d'indagine è ciò che consente di identificare ciò che fino ad ora è stato definito il cambiamento sostenibile. Altri (Vicari, Troilo, 1996) hanno inoltre messo in evidenza come tale cambiamento non è preconizzabile in modo logico lineare. Viceversa esistono una pluralità di cambiamenti la cui praticabilità definisce il Possibile di una organizzazione.

Quindi, non tutti i cambiamenti sono ipotizzabili, ve ne sono di possibili all'interno della capacità cognitiva dell'organizzazione in esame. Il capitolo che non si può qui aprire, ma che sarebbe di estremo interesse per il formatore e per gli agenti di cambiamento in genere, riguarda l'aspetto metodologico, ossia come concretamente portare avanti una analisi del fabbisogno di tale entità.

Il quadro ricavato dall'analisi degli stili cognitivi esistenti dovrà necessariamente essere integrato con l'altro grande campo di indagine, quello culturale. Se "i modelli culturali sono prodotti di strategie di comunicazione individuali e collettive attraverso cui si creano e si diffondono le conoscenze all'interno dell'azienda" (Bodega, 1991) la connessione tra il campo precedentemente evidenziato e quello culturale risulta evidente. L'indagine necessaria riguarda essenzialmente i valori prevalentemente presenti nell'organizzazione. Essi sono concepiti come gli assunti di base, anch'essi occulti dentro la quotidiane transazioni, che pervadono i tessuti organizzativi. (Schein,1983).

La lettura culturale consente di individuare il grado di plasticità, e quindi di sostenibilità del cambiamento, delle culture presenti. I programmi, allora, che potranno scaturire da una analisi del fabbisogno formativo completa delle diverse dimensioni, saranno programmi realistici, in grado di prefigurare cambiamenti possibili, senza enfasi su strategie completamente ipotetiche.

I programmi che si possono concretamente delineare riguardano tre grandi ambiti :

  • la modifica culturale: sono quelle attività che coagulandosi attorno a grandi parole d’ordine - qualità, orientamento al cliente - lavorano su diversi segmenti di popolazione cercando di disoccultare e di mettere in discussione le singole strategie di gestione del ruolo esistenti nell’organizzazione per orientarle al cambiamento;

  • la manutenzione professionale: aggreghiamo in questo capitolo tutti gli interventi formativi e di addestramento che lavorano su campi specifici - siano essi cognitivi o di abilità - di gestione del ruolo professionale;

  • la formazione - intervento: questo capitolo potrebbe sussumere gli altri due quando si attuano grandi (o piccoli ma approfonditi) cambiamenti organizzativi che costringono ad una ridefinizione dei ruoli che può essere vista sia in termini culturali che di cambiamenti contingenti dell’erogazione professionale.


b. Il livello di outsourcing

Lo spettro di attività che la formazione deve erogare rende impossibile una completa internalizzazione di tutti i segmenti del processo. Ad onor del vero osservando le diverse realtà aziendali si possono individuare dei comportamenti anche diametralmente opposti. Alcune grosse realtà con alti volumi di erogazione formativa hanno fatto la scelta di creare vere e proprie scuole al servizio dell’azienda. All’opposto realtà piccole e medie comprano sul mercato iniziative in modo flessibile rispetto alle diverse esigenze.

Si è osservato come globalmente la domanda di formazione stia transitando dal catalogo a “su misura” (Ortini 95). Questa tendenza denuncia una maggiore consapevolezza delle specificità del contesto organizzativo e una maggiore ricerca di coerenza attraverso una formazione che, pur partendo da contenuti frequentemente univoci, sia finalizzata ad obiettivi specifici e contestualizzati. Si intende di seguito cercare di definire il livello di outsourcing che è precondizione per una programmazione ed una progettazione formativa di qualità.

Descrivendo schematicamente il ciclo della formazione:

Censimento competenze @ definizione strategie

Definizione obiettivi strategici Progettazione dei programmi

---------------- livello di outsourcing-—-—----—-—

Definizione obiettivi didattici Progettazione delle attività

Esecuzione attività

Verifica dei risultati strategici e delle singole attività



Il primo punto di questo processo, il censimento delle competenze e la conseguente definizione di strategie sostenibili concretamente, passa attraverso una fase di consapevolezza organizzativa che, attraverso l'indagine culturale e una riflessione sugli stili cognitivi prevalente esistenti, colga la plasticità della realtà.

Lo spessore metodologico e la conoscenza profonda ed estesa delle caratteristiche delle persone e dell'organizzazione rendono questo momento inesportabile all'esterno. Coloro che all'interno presidiano questa fase potranno avvalersi di spezzoni di competenze ma l'intera fase dovrebbe essere coordinata ed essere oggetto di trasparenza e restituzione all'intero board, proprio per poter raggiungere una consapevolezza ed un apprendimento organizzativi.

Analogamente la seconda fase che riguarda la definizione degli obiettivi strategici e la progettazione dei programmi non può essere delegata in quanto strettamente legata e conseguente alla prima. Questo auspicio teorico viene sostanziato dalle tendenze rilevate (Ortini, 1995).

Cambia all'interno di queste tendenze la relativa sovrapposizione dei ruoli tra azienda committente e consulenti. In realtà anche nella fase successiva, quella delle definizione degli obiettivi didattici e della progettazione delle singole attività, il consulente eventuale deve essere posto in condizione di conoscere compiutamente le realtà su cui andrà a lavorare.

Le situazioni migliori sono quelle in cui si instaurano delle sinergie di partnership coni consulenti anche nelle fasi precedenti con una conseguente fidelizzazione dei consulenti stessi che diventano profondi conoscitori delle situazioni in cui operano (Ortini,1995)

Devono, quindi, rimanere dentro l’azienda gli aspetti politico strategici sia di definizione obiettivi e relativa programmazione, sia la verifica dei risultati.


In conclusione la diagnosi del livello di outsourcing, così come è stata descritta, può diventare un indicatore di qualità del servizio interno erogato.


c. Il possibile assetto organizzativo e i ruoli necessari

Se l’organizzazione utilizza coerentemente lo strumento formazione come individuatomprecedentemente, il presidio dei momenti politici del ciclo formativo - analisi del fabbisogno e verifica dei risultati - diventa molto importante.

E’ a questo presidio che bisogna offrire strumenti concreti per possano avvicinare le distanze esistenti tra fornitore e cliente interno.

Abbiamo visto come l' analisi del fabbisogno necessita di un cambiamento di approccio e di strumenti e che è necessario, per la complessità che le è propria, che rimanga all'interno dell'azienda.

La domanda è ora quali sono le figure professionali che concretamente possono svolgere questa fase, tendendo conto della necessità precedentemente sottolineata, di evitare eccessivi accentramenti specialistici che possono condurre alla frattura con il cliente interno.

Concretizzando con un esempio possiamo descrivere una situazione di una azienda di ingegneria mono prodotto e mono cliente che, in seguito ad una privatizzazione, decide strategicamente di muoversi su un mercato più ampio in termini di prodotti a know- how simile e quindi di aprirsi ad una clientela differenziata.

Il corso che è stato commissionato e stato un classico corso di “Project management” per coordinatori di progetti.

Il ruolo del formatore nell’analisi del fabbisogno si muove su almeno tre livelli:

  • quello che possiamo definire macro organizzativo dove si tratta di evincere quale è l’assetto organizzativo matriciale concreto in cui opera l’azienda. Questo definisce il ruolo richiesto a livello macro al P.M., le sue aree di responsabilità, i tipi di rapporti con le funzioni e così via. Si tratta quindi di individuare il ciclo di vita dell’organizzazione, il suo assetto reale, la cultura effettivamente diffusa di project managing. L’errore in questa analisi potrebbe essere fatale. Il corso potrebbe proporre una figura di P.M. irrealizzabile in quel contesto concreto. Gli utenti del corso uscirebbero disillusi dall’aula, poco capaci di recuperare all’interno del corso indicazioni operative utili perché si sono formati una barriera all’ascolto dovuta alla sensazione diffusa di scarsa praticabilità dei modelli proposti;

  • definizione concreta, specialistica del profilo. Chi è e cosa deve fare questo PM.? Esiste a questo livello un problema di competenze specialistiche, rispetto agli oggetti dei diversi progetti, esiste l'analisi delle abilità necessarie rispetto ai diversi interlocutori interni ed esterni con cui il PM. deve entrare in contatto. Il formatore, agendo su questo livello, si trova spesso nell’imbarazzo di essere essenzialmente un metodologo e di non avere dimestichezza con i contenuti specialistici che si vanno a proporre. Questo potrebbe in parte spiegare perché i corsi hanno a tutt’oggi una prevalenza metodologica e poco si muovono sul versante dell’integrazione tra metodologie e ambiti specialistici particolari. Su questo versante il formatore dovrà avvalersi di competenze di linea, come proporremo successivamente, che cooperino nel progetto formativo;

  • analisi, infine, della concreta utenza potenziale del corso. Questo aspetto completa il quadro: dopo aver decodificato le coordinate organizzative e il profilo atteso si tratta di individuare quelli che sono stati definiti come spazi di cambiamento sostenibile. Questo dato è leggibile partendo dalle persone concrete e riguarda sia gli stili cognitivi che i dati culturali prevalentemente esistenti nel gruppo oggetto della formazione.


La verifica dei risultati , l'altro momento politico del circuito della formazione , si deve muovere verificando i diversi livelli di obiettivi delineati: quelli strategici o culturali, quelli generali di singola attività, quelli didattici.

A livello culturale e strategico sarebbe opportuno uscire dall’ottica del “committente” quale altro da se a cui riferirsi. Se la Direzione del Personale ha raggiunto un grado di maturità strategica, se siede nel board a tutti gli effetti, la formulazione dei piani strategici di formazione si dovrebbe muovere in un sistema non dato, ma che si è contribuito a creare. In questa direzione la valutazione strategica è della Direzione nel suo insieme, compresa la Direzione del Personale.

Gli obiettivi di singola attività, composti dagli obiettivi didattici, hanno due versanti di valutazione. La valutazione di apprendimento rivolta ai discenti e la valutazione di esportabilità/esportazione di ciò che si è appreso all'interno del contesto organizzativo di appartenenza.

I tre momenti sono tra loro diversi per finalità e per metodologie. La valutazione di apprendimento, quella più tradizionale effettuata dalla scuola, ha un patrimonio strumentale molto ampio. Il problema riguarda l'adattamento ad un contesto adulto con una particolare attenzione ad una finalità che non è solo di verifica delle capacità o dell'impegno dei singoli, bensì della pertinenza del percorso formativo progettato rispetto agli obiettivi.

Questa operazione consente di coinvolgere anche i discenti in una valutazione del percorso proposto con utili feed-back di progettazione.

Infine le valutazioni di esportabilità e di esportazione riguardano la centratura eventualmente realizzata del cambiamento sostenibile. La prima è la potenzialità percepita dai partecipanti di pertinenza dei contenuti/obiettivi del corso con il proprio contesto organizzativo. La seconda - che può essere fatta solo a distanza di tempo - riguarda l'esportazione concreta di quanto appreso nella realtà organizzativa.

Il presidio di questi due momenti politici del circuito della formazione di analisi del fabbisogno e della verifica dei risultati può essere attuato solo costruendo la pervasività e la despecializzazione della formazione attraverso figure di interfaccia tra la direzione del personale e la linea.

La proposta organizzativa, attuata in alcune esperienze concrete, potrebbe essere di creare un gruppo di formatori di supporto provenienti dalla linea che cooperino con il servizio formazione nella tutela dei momenti di analisi del bisogno e di verifica dei risultati.

Concretamente queste persone possono svolgere il ruolo di riempire di contenuti i metodi proposti dai formatori, verificando poi nella realtà organizzativa decentrata i risultati reali, le ricadute organizzative, dei percorsi formativi realizzati.

Tali figure dovrebbero essere formate attraverso la socializzazione delle logiche di formazione degli adulti e con competenze di analisi culturale e degli stili cognitivi. La diffusione di queste competenze all'interno dell'azienda aiuterebbe ad aumentare il grado di consapevolezza diffuso circa la concreta realtà aziendale. Questa dimensione aiuterebbe concretamente a sviluppare un coerente apprendimento organizzativo.

La creazione di gruppi di interfaccia potrebbe essere proposto anche in altri ambiti dove la distanza tra la competenza dell’erogatore del servizio interno è molto distante dalla competenza diffusa del fruitore del servizio interno. L’esempio più eclatante sono i sistemi informativi che nella esponenzialità dell’innovazione tecnologica, rischiano di diventare sempre più incomprensibili ai clienti interni. E’ opportuno allora pensare di creare degli esperti di sottosistema - ad esempio l’informatico del personale – che integrino gli staff coni fruitori costruendo mappe cognitive di interfaccia e diventando i terminali di analisi di fabbisogno e di manutenzione dei risultati raggiunti.

Dalle riflessioni condotte precedentemente si evincono diverse figure possibili all'interno del circuito della formazione, figure che declinano in modo diverso quello che nella letteratura è sempre stato definito il formatore.

Tali figure presidiano diversi momenti del circuito della formazione:

  1. La dimensione politica e culturale

Il ruolo in questione, poterebbe essere il Direttore del personale o il responsabile della formazione a seconda del tipo e delle dimensioni dell’impresa, presidia l’integrazione strategica. E’ nel board o a stretto contatto, contribuisce alla definizione delle strategie e dei cambiamenti sostenibili conoscendo nel dettaglio le persone che lavorano nell’impresa, le loro competenze e le loro potenzialità.


  1. La dimensione di pianificazione e di verifica dei risultati

La declinazione operativa in piani di formazione presuppone una competenza didattica intesa come conoscenze e abilità relative alla sfera dell’apprendimento degli adulti.

Questo ruolo è lo snodo tra le strategie e l’aula, deve quindi essere in grado di capire cosa avviene in aula per poter definire piani e attività realizzabili. Per poter pianificare e per poi progettare le singole attività ci si potrebbe avvalere di un gruppo di formatori operanti nella linea che contribuiscono ad analizzare il fabbisogno nelle dimensioni sopra descritte.


  1. La dimensione di progettazione didattica e di esecuzione

Siamo nella formazione tradizionalmente intesa. L’aggancio da stabilire è fortemente centrato sull’apprendimento possibile e sui contenitori (tempi, metodologie didattiche, progetti sul campo) migliori per raggiungere tali obiettivi. Questa è la dimensione in cui potrebbe avvenire il coinvolgimento di consulenti che attuino poi concretamente la erogazione dei corsi.


Da tali dimensioni si evincono delle capacità diverse che i diversi profili devono possedere per raggiungere degli obiettivi integrati. Il formatore tradizionalmente inteso è tutto ciò. Probabilmente chiedere ad una sola figura professionale di assommare in sé competenze così estese diventa impossibile. E' allora necessario articolare delle diverse competenze ed integrarle attraverso una logica di progetti.


Conclusioni

La leva della formazione è una leva strategica nel contribuire ad aiutare le persone che abitano i contesti organizzativi ad evolvere in modo professionale coerentemente con i risultati attesi.

Nelle tendenze all'organizzazione snella esiste la possibilità di pensare ad un decentramento totale delle attività formative. Tale decentramento è rischioso perché' esistono fasi inesportabili, quali l'analisi del fabbisogno, per le peculiarità profonde delle singole organizzazioni.


Può essere utile, di conseguenza, ripensare l'organizzazione interna della funzione formazione, con un gruppo di persone di linea supporto/integrazione delle attività di analisi del bisogno e verifica dei risultati. In questo modo l'impresa manterrebbe all'interno gli aspetti strategici aumentando la sensibilità e la cultura diffusa rispetto all'utilizzo dello strumento formazione.


BIBLIOGRAFIA

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Come cambia il ruolo del formatore

Nota didattica 1996


Le tendenze organizzative attuali che si possono sintetizzare con il perseguimento di snellezza e frugalita’, rischiano prosciugare eccessivamente gli staff centrali, per alcuni momenti organizzativi che, per importanze e specificita’, devono essere presidiati all’interno dell'impresa. E ' il caso della formazione che, per muoversi in un 'orizzonte strategico, deve focalizzarsi sulle necessità reali, attraverso una profonda conoscenza delle persone, delle loro modalità cognitive, dei loro valori.

L'articolo esamina le tendenze organizzative e quelle della domanda di formazione per suggerire alcune ipotesi di assetto della funzione piu' coerenti con tali tendenze.


1. Premessa

L’evoluzione che le imprese stanno attraversando verso una crescente complessità rende sempre più evidente la dimensione strategica costituita dalle persone. Inoltre il prosciugamento attuato dalle tecnologie degli aspetti “poveri” del lavoro, le turbolenze di mercato, i cicli di vita sempre più brevi, le risposte organizzative che le imprese attuano, tendono a modificare sempre più rapidamente le competenze e le abilità richieste alle persone stesse.

Il riconoscimento del fattore umano come centrale nell’interpretare il cambiamento, come esiziale per il futuro delle organizzazioni è pressoché unanime. Da questo riconoscimento all’individuazione di strumenti di gestione del personale e di assetti organizzativi coerenti, il passo non è semplice.

In primo luogo una osservazione d’insieme: a partire dagli anni ‘70 si è assistito ad un progressivo ampliarsi delle competenze di direzione del personale e ad un continuo specializzarsi dei diversi strumenti (Boldizzoni, 1989 - Actis Grosso, 1992)

Nella selezione, così come nella valutazione della posizione o del potenziale, le tecniche utilizzate sono diventate via via sempre più complesse e sofisticate anche con l’inserimento in azienda di figure professionali un tempo estranee come gli psicologi.

Un esempio per tutti potrebbe essere riconosciuto nella valutazione del potenziale. Il fatto che le imprese abbiano attuato una inversione di rotta passando, sia in ingresso che negli sviluppi di carriera, da una valutazione legata alla posizione ad una valutazione più legata al potenziale ha portato a sofisticare a tal punto alcuni strumenti, quali ad esempio l’assesment center, che la loro gestione è stata delegata a specialisti (interni o esterni) con un conseguente rischio di esclusione della linea.

In diverse realtà questa tendenza della Direzione del Personale all’accentramento e alla specializzazione ha portato ad una sorta di frattura con il cliente interno, la linea ultimo e solo fruitore della qualità dei servizi erogati.

Riprendendo l’esempio della valutazione del potenziale la difficoltà organizzativa non è consistita tanto nell'individuare strumenti di rilevazione del potenziale stesso, quanto di socializzarli con la linea e con coloro che 1i subivano, in modo che l’organizzazione nel suo insieme potesse far tesoro degli elementi conoscitivi che gli strumenti stessi fornivano.

Spesso il potenziale valutato non veniva utilizzato coerentemente dai decisori di linea che, per incompetenza o per cultura radicata, preferivano continuare con altri criteri, empirici o specialistici, nello sviluppo delle carriere. In questo modo poteva venir meno una importante opportunità nel tema della gestione delle carriere, tema che necessita viceversa di una particolare attenzione per l‘impiego piu' coerente delle persone dal punto di vista dell'impresa e per una maggiore possibilità di espressione della propria identità lavorativa da parte delle persone. (Salvemini, 1992)

Questa progressiva distanza cliente- fornitore interno, con il conseguente grave dispendio di risorse e di know-how da un lato e di poca qualità del servizio dall’altro, ha portato ad un ripensamento globale delle modalità di progettazione/utilizzo degli strumenti di gestione delle persone.

La gestione del personale, nella configurazione di “Direzione e sviluppo delle risorse umane” (Costa 1992) tende a diventare “pervasiva e despecializzata”. Questo significa concretamente che sacrifica una parte della specializzazione accumulata negli anni precedenti per avvicinarsi alla linea, facendo in modo di trovare una integrazione con il cliente interno, più “a valle” verso i luoghi dove concretamente si lavora.

Lo spostamento di assetto globale provoca delle ripercussioni sulle configurazioni organizzative così come sulla suddivisione delle competenze tra linea e staf e sulla loro successiva integrazione.

Ciò ovviamente non significa gettare al vento il grande patrimonio specialistico accumulato in questi anni, quanto lavorare sull’integrazione tra domanda e offerta di servizi interni.

]] presente lavoro intende analizzare l’ambito della formazione del personale suggerendo alcune ipotesi di assetto istituzionale della funzione che potrebbero rispondere in modo più puntuale alle esigenze emergenti.


2. L'evoluzione organizzativa delle imprese e della domanda di formazione

Le tendenze della domanda di formazione si inscrivono nei più generali processi di cambiamento organizzativo in atto.

In estrema sintesi gli anni 90 sono caratterizzati da alcune macrotendenze organizzative :

  • la snellezza e la frugalità

  • il superamento della logica funzionale

  • la riscoperta e lo studio dei processi come chiave di rilettura organizzativa globale (BPR) (Manzolini, Soda, Solari - 1994; - Racheli, Perrone - 1995)

Tali tendenze portano a dei cambiamenti interni che devono essere considerati ai fini delle riflessioni che si intendono proporre.

In primo luogo la tendenza allo snellimento ha un effetto immediato sulle unita' di staff centrali (Perrone, 1996) e quindi anche sulla Direzione del Personale. Estremizzando le logiche di outsourcing connesse si possono evidenziare logiche di esternalizzazione complessiva della funzione formazione con dei rischi che di seguito si evidenzieranno.

In secondo luogo il superamento delle barriere funzionali e la conseguente reinterpretazione organizzativa per processi, modificano sostanzialmente le competenze richieste, sia a livello manageriale che a livello periferico.

Questa riformulazione dei profili, d'altro canto non può prescindere dalla necessità di coniugare due aspetti professionali tradizionalmente visti come antitetici: un bisogno generalizzato di managerialità intesa come capacità di leggere l'azienda in modo complessivo , dal particolare al generale e Viceversa, ed una necessità di competenze specialistiche sempre più approfondite in alcune aree disciplinari .


Queste esigenze che a livello di impresa venivano soddisfatte contando su diversificazioni nette tra profili professionali gestionali e specialistici (Vaccani, 1992), oggi devono trovare soluzioni organizzativamente più adeguate.

Inoltre il sapere manageriale nei contesti che evolvono verso una complessità crescente, deve orientarsi alla sperimentalità e all'apprendimento, rifuggendo da soluzioni etero costruite. Ciò rimanda ad una capacità diffusa di leggere la situazione specifica e di declinare soluzioni ad-hoc. (Di Bernardo, Rullani - 1990)

Altre novità legate ai cambiamenti organizzativi in atto, emergono dall'analisi delle competenze (Ratti, 1989; Camuffo, 1996). Queste nuove modalità di lettura dei diversi soggetti all'interno dei contesti organizzativi pongono il problema di una ridefinizione delle modalità di analisi (Varchetta, 1993) e di gestione del lavoro.

Da questo contesto, sommariamente tratteggiato, scaturisce un cambiamento della domanda di formazione. La necessità di contestualizzazione sopra rilevata fa richiedere alle imprese servizi più individualizzati e specifici (Salvemini, 1987).

Anche la formazione si contestualizza non solo, come è più scontato, rispetto aglimobiettivi generali e didattici, ma anche rispetto ai metodi e alle formule progettuali (Fiocca, Slavemini, 1992). Ancora rispetto alla domanda i filoni contenutistici e gli obiettivi prevalenti scaturiscono anch'essi dalle tendenze sopra delineate, con particolare riguardo al general management e all'internazionalità‘ (Ortini, 1995). La domanda è anche sempre elevata in relazione alle abilità relazionali e di gestione della comunicazione inter personale. Nelle strutture organizzative sempre meno definite e più trasversali devono crescere comportamenti più cooperativi, di disponibilità e fiducia reciproci, con una "femminilizzazione" delle modalità relazionali (Bombelli, 1994). Su questi aspetti è richiesto alla formazione di giocare un ampio ruolo.

Si assiste inoltre ad una evoluzione di richieste "su misura" che si sostanziano nella necessità di superare delle modalità di progettazione formativa tradizionalmente lineari, per avviare delle modalità sperimentali con contaminazioni di ruolo reciproche tra committenti e consulenti eventuali (Ortini, 1994)


3. L’organizzazione della funzione formazione

a. Come usare la formazione

La formazione necessaria a sostenere i cambiamenti delineati si muove in una dimensione strategica.

Nella fase di “Direzione e sviluppo delle risorse umane” (Costa 92) la funzione formazione dovrebbe riuscire a:

  • integrare degli obiettivi generali dei diversi interventi formativi con le strategie dell’impresa

  • pianificare degli interventi formativi su un orizzonte temporale consistente.

L’integrazione tra formazione e strategie rimanda all’assetto più generale della Direzione del personale. E’ precondizione per questa forte coerenza l’assunzione della Direzione del Personale nella direzione strategica (Boldizzoni,1989).

Questo aspetto può essere schematizzato con due possibili estremi:

Definizione strategie —> Adeguamento delle politiche del personale

Analisi del personale esistente <=> Definizione strategie <=> Adeguamento delle politiche del personale

La prima situazione schematicamente delineata concepisce la politica sulle persone, formazione compresa, come uno strumento “sicuro” per allineare le aspettative dell’impresa sulle persone stesse, in modo sequenziale e rigido.

Questa accade prevalentemente quando l'impresa si trova a dover affrontare grandi cambiamenti di rotta nei quali si tenta di adeguare rapidamente al nuovo le risorse umane presenti in azienda.

La seconda impostazione invece si pone, proprio per la conclamata strategicità delle risorse umane, una analisi precisa delle potenzialità professionali e culturali delle persone come precondizione per la definizione strategica.

Questa impostazione parte dall’assunto della assai parziale modificabilità delle persone attraverso qualsiasi strumento di gestione, formazione compresa.

Nei sogni sostenuti da vasta e superficiale letteratura, esistono solo persone perfette, committed, empowered, coinvolgibili senza limiti di tempo, devote e fedeli. La realtà invece è sempre più complessa e diversificata. Le persone hanno dei fisiologici limiti di apprendimento, sono resistenti in diversa misura al cambiamento, hanno una disponibilità diversa all’adesione all’azienda.

Conoscere a fondo la cultura prevalente, leggere i climi aziendali, fare corrette analisi di fabbisogno formativo contribuiscono a definire il cambiamento sostenibile dell’impresa. Viceversa, la forzatura sulla persone, il sogno irrealizzabile della perfezione condanna ad un insostenibile cambiamento.

Questa seconda impostazione, pur nella rigidità espositiva dello schema, vorrebbe affrontare in modo più sistemico (Senge, 1990) il legame esistente tra le strategie e le competenze esistenti o da formare. Per pianificare le attività formative sotto forma di programmi e necessario integrare le tradizionali analisi del fabbisogno formativo (Quaglino,1981) con una attenzione più marcata alle caratteristiche culturali delle persone e quindi dell’organizzazione.

E’ in questa ottica che l’integrazione della direzione del personale nel board a pieno titolo diventa un momento indispensabile anche nella definizione di strategie compatibili sia con l’assetto presente che con quello prevedibile delle risorse umane.

Il secondo indicatore rimanda ad una capacità di pianificazione di tipo strategico rispetto alle attività formative. Questo aspetto, insieme al livello di outsourcing di cui tratteremo successivamente, fornisce alcuni elementi per la misura della qualità dei servizi erogati (Ondoli, Simonetta, 1992).

La pianificazione dei risultati attesi della funzione formazione non significa strutturare una gabbia rigida che sarebbe in contrasto rispetto alla turbolenza dell’ambiente e alle esigenze di flessibilità. Significa avere la capacità di articolare dei progetti su segmenti diversi di popolazione - partendo dal top— all’interno di una missione chiara e che attraversa trasversalmente le diverse iniziative.

Si tratta, quindi, di integrare le modalità tradizionali di analisi del fabbisogno formativo con due grandi campi di indagine: gli stili cognitivi prevalente esistenti nell'organizzazione e l'analisi culturale. Entrambi questi campi di indagine sono indispensabili per la necessità di contestualizzare il più possibile gli interventi e per le coerenze necessarie tra competenze distintive presenti e quelle perseguite. L'insieme dei risultati raggiunti consentirebbe di identificare il livello di plasticità esistente e quindi di prefigurare obiettivi sostenibili.

L' analisi che sarebbe interessane condurre riguarda le modalità condivise con cui si affronta il tema della conoscenza. In parole semplici ogni individuo costruisce attraverso la sua storia personale e professionale, delle mappe cognitive di osservazione e interpretazione del mondo circostante. (Huff, 1990 - Moretti,1995)

Tali mappe, prendendo in considerazione soprattutto l'ambito organizzativo che qui stiamo analizzando, riguardano la classificazione dell'universo (quelle di osservazione) e delle relazioni di causa - effetto (quelle di interpretazione).

Se volessimo esemplificare un manager alle prese con un problema di non raggiungimento di risultati, si interrogherebbe sulla causa di questo problema, dopo aver cercato di individuare le con-cause possibili.

Queste mappe cognitive costantemente usate dai diversi soggetti, sono il più delle volte lasciate implicite e possono essere un ostacolo alla reciproca comprensione. Tale campo è stato approfondito nel filone della psicologia culturale attraverso anche l'individuazione di metodologie che possono disoccultare cio' che normalmente viene lasciato implicito. (Fabbri, 1990 - Fabbri, Formenti 1992)

La messa fuoco e la comprensione di tale campo d'indagine è ciò che consente di identificare ciò che fino ad ora è stato definito il cambiamento sostenibile. Altri (Vicari, Troilo, 1996) hanno inoltre messo in evidenza come tale cambiamento non è preconizzabile in modo logico lineare. Viceversa esistono una pluralità di cambiamenti la cui praticabilità definisce il Possibile di una organizzazione.

Quindi, non tutti i cambiamenti sono ipotizzabili, ve ne sono di possibili all'interno della capacità cognitiva dell'organizzazione in esame. Il capitolo che non si può qui aprire, ma che sarebbe di estremo interesse per il formatore e per gli agenti di cambiamento in genere, riguarda l'aspetto metodologico, ossia come concretamente portare avanti una analisi del fabbisogno di tale entità.

Il quadro ricavato dall'analisi degli stili cognitivi esistenti dovrà necessariamente essere integrato con l'altro grande campo di indagine, quello culturale. Se "i modelli culturali sono prodotti di strategie di comunicazione individuali e collettive attraverso cui si creano e si diffondono le conoscenze all'interno dell'azienda" (Bodega, 1991) la connessione tra il campo precedentemente evidenziato e quello culturale risulta evidente. L'indagine necessaria riguarda essenzialmente i valori prevalentemente presenti nell'organizzazione. Essi sono concepiti come gli assunti di base, anch'essi occulti dentro la quotidiane transazioni, che pervadono i tessuti organizzativi. (Schein,1983).

La lettura culturale consente di individuare il grado di plasticità, e quindi di sostenibilità del cambiamento, delle culture presenti. I programmi, allora, che potranno scaturire da una analisi del fabbisogno formativo completa delle diverse dimensioni, saranno programmi realistici, in grado di prefigurare cambiamenti possibili, senza enfasi su strategie completamente ipotetiche.

I programmi che si possono concretamente delineare riguardano tre grandi ambiti :

  • la modifica culturale: sono quelle attività che coagulandosi attorno a grandi parole d’ordine - qualità, orientamento al cliente - lavorano su diversi segmenti di popolazione cercando di disoccultare e di mettere in discussione le singole strategie di gestione del ruolo esistenti nell’organizzazione per orientarle al cambiamento;

  • la manutenzione professionale: aggreghiamo in questo capitolo tutti gli interventi formativi e di addestramento che lavorano su campi specifici - siano essi cognitivi o di abilità - di gestione del ruolo professionale;

  • la formazione - intervento: questo capitolo potrebbe sussumere gli altri due quando si attuano grandi (o piccoli ma approfonditi) cambiamenti organizzativi che costringono ad una ridefinizione dei ruoli che può essere vista sia in termini culturali che di cambiamenti contingenti dell’erogazione professionale.


b. Il livello di outsourcing

Lo spettro di attività che la formazione deve erogare rende impossibile una completa internalizzazione di tutti i segmenti del processo. Ad onor del vero osservando le diverse realtà aziendali si possono individuare dei comportamenti anche diametralmente opposti. Alcune grosse realtà con alti volumi di erogazione formativa hanno fatto la scelta di creare vere e proprie scuole al servizio dell’azienda. All’opposto realtà piccole e medie comprano sul mercato iniziative in modo flessibile rispetto alle diverse esigenze.

Si è osservato come globalmente la domanda di formazione stia transitando dal catalogo a “su misura” (Ortini 95). Questa tendenza denuncia una maggiore consapevolezza delle specificità del contesto organizzativo e una maggiore ricerca di coerenza attraverso una formazione che, pur partendo da contenuti frequentemente univoci, sia finalizzata ad obiettivi specifici e contestualizzati. Si intende di seguito cercare di definire il livello di outsourcing che è precondizione per una programmazione ed una progettazione formativa di qualità.

Descrivendo schematicamente il ciclo della formazione:

Censimento competenze @ definizione strategie

Definizione obiettivi strategici Progettazione dei programmi

---------------- livello di outsourcing-—-—----—-—

Definizione obiettivi didattici Progettazione delle attività

Esecuzione attività

Verifica dei risultati strategici e delle singole attività



Il primo punto di questo processo, il censimento delle competenze e la conseguente definizione di strategie sostenibili concretamente, passa attraverso una fase di consapevolezza organizzativa che, attraverso l'indagine culturale e una riflessione sugli stili cognitivi prevalente esistenti, colga la plasticità della realtà.

Lo spessore metodologico e la conoscenza profonda ed estesa delle caratteristiche delle persone e dell'organizzazione rendono questo momento inesportabile all'esterno. Coloro che all'interno presidiano questa fase potranno avvalersi di spezzoni di competenze ma l'intera fase dovrebbe essere coordinata ed essere oggetto di trasparenza e restituzione all'intero board, proprio per poter raggiungere una consapevolezza ed un apprendimento organizzativi.

Analogamente la seconda fase che riguarda la definizione degli obiettivi strategici e la progettazione dei programmi non può essere delegata in quanto strettamente legata e conseguente alla prima. Questo auspicio teorico viene sostanziato dalle tendenze rilevate (Ortini, 1995).

Cambia all'interno di queste tendenze la relativa sovrapposizione dei ruoli tra azienda committente e consulenti. In realtà anche nella fase successiva, quella delle definizione degli obiettivi didattici e della progettazione delle singole attività, il consulente eventuale deve essere posto in condizione di conoscere compiutamente le realtà su cui andrà a lavorare.

Le situazioni migliori sono quelle in cui si instaurano delle sinergie di partnership coni consulenti anche nelle fasi precedenti con una conseguente fidelizzazione dei consulenti stessi che diventano profondi conoscitori delle situazioni in cui operano (Ortini,1995)

Devono, quindi, rimanere dentro l’azienda gli aspetti politico strategici sia di definizione obiettivi e relativa programmazione, sia la verifica dei risultati.


In conclusione la diagnosi del livello di outsourcing, così come è stata descritta, può diventare un indicatore di qualità del servizio interno erogato.


c. Il possibile assetto organizzativo e i ruoli necessari

Se l’organizzazione utilizza coerentemente lo strumento formazione come individuatomprecedentemente, il presidio dei momenti politici del ciclo formativo - analisi del fabbisogno e verifica dei risultati - diventa molto importante.

E’ a questo presidio che bisogna offrire strumenti concreti per possano avvicinare le distanze esistenti tra fornitore e cliente interno.

Abbiamo visto come l' analisi del fabbisogno necessita di un cambiamento di approccio e di strumenti e che è necessario, per la complessità che le è propria, che rimanga all'interno dell'azienda.

La domanda è ora quali sono le figure professionali che concretamente possono svolgere questa fase, tendendo conto della necessità precedentemente sottolineata, di evitare eccessivi accentramenti specialistici che possono condurre alla frattura con il cliente interno.

Concretizzando con un esempio possiamo descrivere una situazione di una azienda di ingegneria mono prodotto e mono cliente che, in seguito ad una privatizzazione, decide strategicamente di muoversi su un mercato più ampio in termini di prodotti a know- how simile e quindi di aprirsi ad una clientela differenziata.

Il corso che è stato commissionato e stato un classico corso di “Project management” per coordinatori di progetti.

Il ruolo del formatore nell’analisi del fabbisogno si muove su almeno tre livelli:

  • quello che possiamo definire macro organizzativo dove si tratta di evincere quale è l’assetto organizzativo matriciale concreto in cui opera l’azienda. Questo definisce il ruolo richiesto a livello macro al P.M., le sue aree di responsabilità, i tipi di rapporti con le funzioni e così via. Si tratta quindi di individuare il ciclo di vita dell’organizzazione, il suo assetto reale, la cultura effettivamente diffusa di project managing. L’errore in questa analisi potrebbe essere fatale. Il corso potrebbe proporre una figura di P.M. irrealizzabile in quel contesto concreto. Gli utenti del corso uscirebbero disillusi dall’aula, poco capaci di recuperare all’interno del corso indicazioni operative utili perché si sono formati una barriera all’ascolto dovuta alla sensazione diffusa di scarsa praticabilità dei modelli proposti;

  • definizione concreta, specialistica del profilo. Chi è e cosa deve fare questo PM.? Esiste a questo livello un problema di competenze specialistiche, rispetto agli oggetti dei diversi progetti, esiste l'analisi delle abilità necessarie rispetto ai diversi interlocutori interni ed esterni con cui il PM. deve entrare in contatto. Il formatore, agendo su questo livello, si trova spesso nell’imbarazzo di essere essenzialmente un metodologo e di non avere dimestichezza con i contenuti specialistici che si vanno a proporre. Questo potrebbe in parte spiegare perché i corsi hanno a tutt’oggi una prevalenza metodologica e poco si muovono sul versante dell’integrazione tra metodologie e ambiti specialistici particolari. Su questo versante il formatore dovrà avvalersi di competenze di linea, come proporremo successivamente, che cooperino nel progetto formativo;

  • analisi, infine, della concreta utenza potenziale del corso. Questo aspetto completa il quadro: dopo aver decodificato le coordinate organizzative e il profilo atteso si tratta di individuare quelli che sono stati definiti come spazi di cambiamento sostenibile. Questo dato è leggibile partendo dalle persone concrete e riguarda sia gli stili cognitivi che i dati culturali prevalentemente esistenti nel gruppo oggetto della formazione.


La verifica dei risultati , l'altro momento politico del circuito della formazione , si deve muovere verificando i diversi livelli di obiettivi delineati: quelli strategici o culturali, quelli generali di singola attività, quelli didattici.

A livello culturale e strategico sarebbe opportuno uscire dall’ottica del “committente” quale altro da se a cui riferirsi. Se la Direzione del Personale ha raggiunto un grado di maturità strategica, se siede nel board a tutti gli effetti, la formulazione dei piani strategici di formazione si dovrebbe muovere in un sistema non dato, ma che si è contribuito a creare. In questa direzione la valutazione strategica è della Direzione nel suo insieme, compresa la Direzione del Personale.

Gli obiettivi di singola attività, composti dagli obiettivi didattici, hanno due versanti di valutazione. La valutazione di apprendimento rivolta ai discenti e la valutazione di esportabilità/esportazione di ciò che si è appreso all'interno del contesto organizzativo di appartenenza.

I tre momenti sono tra loro diversi per finalità e per metodologie. La valutazione di apprendimento, quella più tradizionale effettuata dalla scuola, ha un patrimonio strumentale molto ampio. Il problema riguarda l'adattamento ad un contesto adulto con una particolare attenzione ad una finalità che non è solo di verifica delle capacità o dell'impegno dei singoli, bensì della pertinenza del percorso formativo progettato rispetto agli obiettivi.

Questa operazione consente di coinvolgere anche i discenti in una valutazione del percorso proposto con utili feed-back di progettazione.

Infine le valutazioni di esportabilità e di esportazione riguardano la centratura eventualmente realizzata del cambiamento sostenibile. La prima è la potenzialità percepita dai partecipanti di pertinenza dei contenuti/obiettivi del corso con il proprio contesto organizzativo. La seconda - che può essere fatta solo a distanza di tempo - riguarda l'esportazione concreta di quanto appreso nella realtà organizzativa.

Il presidio di questi due momenti politici del circuito della formazione di analisi del fabbisogno e della verifica dei risultati può essere attuato solo costruendo la pervasività e la despecializzazione della formazione attraverso figure di interfaccia tra la direzione del personale e la linea.

La proposta organizzativa, attuata in alcune esperienze concrete, potrebbe essere di creare un gruppo di formatori di supporto provenienti dalla linea che cooperino con il servizio formazione nella tutela dei momenti di analisi del bisogno e di verifica dei risultati.

Concretamente queste persone possono svolgere il ruolo di riempire di contenuti i metodi proposti dai formatori, verificando poi nella realtà organizzativa decentrata i risultati reali, le ricadute organizzative, dei percorsi formativi realizzati.

Tali figure dovrebbero essere formate attraverso la socializzazione delle logiche di formazione degli adulti e con competenze di analisi culturale e degli stili cognitivi. La diffusione di queste competenze all'interno dell'azienda aiuterebbe ad aumentare il grado di consapevolezza diffuso circa la concreta realtà aziendale. Questa dimensione aiuterebbe concretamente a sviluppare un coerente apprendimento organizzativo.

La creazione di gruppi di interfaccia potrebbe essere proposto anche in altri ambiti dove la distanza tra la competenza dell’erogatore del servizio interno è molto distante dalla competenza diffusa del fruitore del servizio interno. L’esempio più eclatante sono i sistemi informativi che nella esponenzialità dell’innovazione tecnologica, rischiano di diventare sempre più incomprensibili ai clienti interni. E’ opportuno allora pensare di creare degli esperti di sottosistema - ad esempio l’informatico del personale – che integrino gli staff coni fruitori costruendo mappe cognitive di interfaccia e diventando i terminali di analisi di fabbisogno e di manutenzione dei risultati raggiunti.

Dalle riflessioni condotte precedentemente si evincono diverse figure possibili all'interno del circuito della formazione, figure che declinano in modo diverso quello che nella letteratura è sempre stato definito il formatore.

Tali figure presidiano diversi momenti del circuito della formazione:

  1. La dimensione politica e culturale

Il ruolo in questione, poterebbe essere il Direttore del personale o il responsabile della formazione a seconda del tipo e delle dimensioni dell’impresa, presidia l’integrazione strategica. E’ nel board o a stretto contatto, contribuisce alla definizione delle strategie e dei cambiamenti sostenibili conoscendo nel dettaglio le persone che lavorano nell’impresa, le loro competenze e le loro potenzialità.


  1. La dimensione di pianificazione e di verifica dei risultati

La declinazione operativa in piani di formazione presuppone una competenza didattica intesa come conoscenze e abilità relative alla sfera dell’apprendimento degli adulti.

Questo ruolo è lo snodo tra le strategie e l’aula, deve quindi essere in grado di capire cosa avviene in aula per poter definire piani e attività realizzabili. Per poter pianificare e per poi progettare le singole attività ci si potrebbe avvalere di un gruppo di formatori operanti nella linea che contribuiscono ad analizzare il fabbisogno nelle dimensioni sopra descritte.


  1. La dimensione di progettazione didattica e di esecuzione

Siamo nella formazione tradizionalmente intesa. L’aggancio da stabilire è fortemente centrato sull’apprendimento possibile e sui contenitori (tempi, metodologie didattiche, progetti sul campo) migliori per raggiungere tali obiettivi. Questa è la dimensione in cui potrebbe avvenire il coinvolgimento di consulenti che attuino poi concretamente la erogazione dei corsi.


Da tali dimensioni si evincono delle capacità diverse che i diversi profili devono possedere per raggiungere degli obiettivi integrati. Il formatore tradizionalmente inteso è tutto ciò. Probabilmente chiedere ad una sola figura professionale di assommare in sé competenze così estese diventa impossibile. E' allora necessario articolare delle diverse competenze ed integrarle attraverso una logica di progetti.


Conclusioni

La leva della formazione è una leva strategica nel contribuire ad aiutare le persone che abitano i contesti organizzativi ad evolvere in modo professionale coerentemente con i risultati attesi.

Nelle tendenze all'organizzazione snella esiste la possibilità di pensare ad un decentramento totale delle attività formative. Tale decentramento è rischioso perché' esistono fasi inesportabili, quali l'analisi del fabbisogno, per le peculiarità profonde delle singole organizzazioni.


Può essere utile, di conseguenza, ripensare l'organizzazione interna della funzione formazione, con un gruppo di persone di linea supporto/integrazione delle attività di analisi del bisogno e verifica dei risultati. In questo modo l'impresa manterrebbe all'interno gli aspetti strategici aumentando la sensibilità e la cultura diffusa rispetto all'utilizzo dello strumento formazione.


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