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  • Immagine del redattoreCristina Bombelli

Piemonte in Cina: Giovani e mobilità

Emigranti, espatriati o viaggiatori?


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Sono partita per la Cina forte dei miei studi universitari. Ho studiato la storia cinese, in particolar modo quella antica. Il Confucianesimo, Lao Tze e, soprattutto, la lingua.

Nulla mi aveva preparato al primo impatto con Shanghai,

Sul taxi che mi portava dall’aereoporto di Pudong al centro città non potevo credere ai miei occhi. Il traffico, i grattacieli, le insegne pubblicitarie. La Cina che mi ero immaginata era completamente diversa, forse superata dagli eventi o forse mai neanche esistita.


Valentina, 21 anni, al suo primo viaggio in Cina




Nell’immaginario collettivo dei piemontesi il termine emigrante evoca una quadro solitario e un po’ malinconico: un uomo od una famiglia in partenza verso le americhe in attesa di una nave nel porto di Genova o di Nizza, con i beni di una vita stipati in un’unica valigia di cartone.

Un destino che si trova nella storia di molte famiglie piemontesi ed italiane più in generale.

Un viaggio, sicuramente avventuroso e verso una situazione sconosciuta, che parte dall’idea che in qualche altra parte del mondo vi siano opportunità maggiori, sicuramente economiche, ma soprattutto di sviluppo personale e di mobilità sociale.


Oggi le valige non sono più di cartone e le persone che aspettano un aereo che le porterà lontano non sono più i contadini e manovali del secolo scorso, spesso hanno una laurea, frequentemente anche un dottorato. La realta’ dell’emigrazione permane più che mai attuale anche nel contesto moderno dell’economia globalizzata. Cambia il lessico, ci si definisce espatriati e non emigranti, cambiano le motivazioni e le destinazioni, ma aumenta il numero delle persone che per periodi più o meno lunghi, devono modificare le proprie abitudini, i loro stili di vita e fare i conti con un cambiamento ancora più sostanziale, quello della loro personale identità. Ogni viaggio in un mondo diverso comporta il fare i conti con le proprie radici. Sono proprio questi nuovi viaggiatori che vivono in prima persone le antinomie e le contraddizioni tra locale e globale.


Le prospettive legate all’attuale situazione migratoria sono tutt’altro che marginali e si pongono alla base di nuove dinamiche sociali ed organizzative. Dal brain drain – la fuga di cervelli - allo stanziamento permanente in nuove aree quali l’estremo oriente, si assiste a nuove tipologie migratorie che seppur contenute a livello quantitativo possono lasciar presagire future contaminazioni culturali e nuove dinamiche sociali. Queste nuove migrazioni, verso l’Estremo Oriente e la Cina in particolar modo, sono caratterizzate da una fascia sociale ben definibile per eta’, occupazione e formazione scolastica. Sono i giovani e soprattutto il segmento dei trentenni quarantenni piemontesi a caratterizzare le nuove schiere migratorie. Single, con un buon livello scolastico, intraprendono da soli il viaggio nel pianeta Cina. Prioritariamente affrontano il tema del lavoro e della stabilizzazione professionale e, solo successivamente, quello della famiglia. In una situazione tendenzialmente cosmopolita la scelta del compagno o della compagna di vita non cade necessariamente su un connazionale. Si formano con frequenza coppie miste, con persone provenienti da culture completamente diverse.


Dal punto di vista delle destinazioni, se un tempo la frontiera era soprattutto l’America, sempre presente nelle canzoni popolari come destinazione mitica, in cui poter finalmente sviluppare le proprie potenzialità, oggi, in questo contesto di economia globalizzata, l’Estremo Oriente risulta un attrattore di talenti esteri e di persone in cerca di un nuovo eldorado, un nuovo american dream. Realta’ come Shanghai, Beijing (Pechino) e Tokyo suscitano sogni ed investimenti emotivi completamente diversi da un passato in cui prevaleva esclusivamente l’aspetto esotico.


Le migrazioni attuali non solo si differenziano dalle precedenti per età, ma risultano anche meno politicizzate e divincolate dalla retorica cui e’ ancorata l’ondata legata alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ciascuna situazione, sia sociale che individuale, è ovviamente legata ad un preciso momento storico, ed è quindi inutile proporre paragoni. E’ interessante però gettare uno sguardo sulla dimensione quantitativa delle comunità piemontesi nel mondo e alle loro tendenze numeriche .


Ad oggi vi e’ un mondo d’italiani all’estero cui forse solo ora si inizia a prestare la dovuta e meritata attenzione. Le nutrite comunita’ piemontesi in Argentina e Brasile ne sono un palese e lampante esempio. Il lavoro di connessione che sta sviluppando l’Associazione Piemontesi nel Mondo mette in luce il formarsi di nuovi nuclei, come quello di Shanghai, di Tokyo e di San Pietroburgo. E’ interessante notare il diverso modo, ad esempio, che le persone di questi contesti hanno di definirsi. Chi arriva in estremo oriente tende a definirsi espatriato e non migrante e, generalmente, si situa in una dimensione temporale di breve periodo, pensando al soggiorno all’estero come una parentesi prima di un rientro definitivo in Italia. Questo intervallo si e’ spesso dilatato di giorno in giorno, arrivando a decenni, con un lento ed inesorabile radicamento nella realta’ locale, verificabile in alcuni elementi simbolici precisi: i figli utilizzano meglio i bastoncini che non la forchetta e il coltello, l’italiano come lingua marginalmente usata nella giornata, amici di nazionalità disparate.


E’ difficile ricostruire in termini aggregati la diaspora piemontese in Cina, un paese grande ed in una dinamica di sviluppo accelerato. Ad oggi le maggiori concentrazioni come per quasi tutti i casi di espatrio straniero sono legati alle grandi metropoli: Shanghai, Pechino, Canton e Nanchino sede degli investimenti diretti del gruppo FIAT.

I processi che hanno caratterizzato la strutturazione di realta’ piemontesi sono riconducibili essenzialmente alla delocalizzazione imprenditoriale a seguito dell’apertura della Cina agli investimenti diretti esteri (IDE). La congiuntura economica dall’ultimo ventennio cinese con una crescita del PIL annuo superiore al 10% ha accelerato questo processo stanziale sia nel volume dei flussi, sia nelle permanenze stabili. La necessità di investimenti in tecnologie e capitali della Cina negli anni 90’ ha lasciato posto ad oggi all’impellente bisogno di soft skills e di capitale umano per sopperire alle carenze strutturali delle aziende cinesi e delle joint ventures (J.V. societa’ in parternariato tra una azienda straniera ed una locale) in termini di capacita’ manageriali e tecniche. Ad oggi la collettivita’ piemontese stanziale in Cina svolge un ruolo importante nelle dinamiche economico commerciali in essere tra i due paesi.



Verso la Cina


Il flusso di espatriati verso la Cina è crescente da tutte le parti del mondo.

Gli anni ’90, la mitica età dell’oro dei primi investitori descritti nei libri di esperienze di insediamento oltre la grande muraglia, sono distanti pochi anni reali, ma anni luce in termini di cambiamento.

Ancora più impressionante è l’esperienza descritta da coloro che sono arrivati in Cina prima dell’attuazione della politica di apertura di Deng Xiao Ping, quando le auto erano una rarità ed eserciti biciclette occupavano da padrone le strade. Difficile, in quell’epoca, intendersi: trovare qualcuno che parlasse inglese era quasi impossibile. Critico era trovare un ristorante, noleggiare un’auto, organizzare uno spostamento.

Ancora oggi la barriera linguistica è notevole e la prima cosa che un viaggiatore impara in Cina è di dotarsi di indirizzi scritti in caratteri cinesi per poter prendere un taxi, altrimenti non c’è possibilità di comunicazione.

Dei miti che circondano lo sviluppo cinese forse il più simbolicamente rappresentativo rimane lo skyline di Pudong, la nuova area urbana di Shanghai al di la’ del fiume Huangpu. E’ facile pensare a Deng che indica le risaie di Pudong e immagina una nuova Manhattan, con i nuovi grattacieli che fanno a gara tra di loro per il primato mondiale in altezza. Dieci anni dopo il sogno è una realtà persino superiore alle aspettative. Oltre alle impressionanti architetture i nuovi edifici sono la destinazione di due flussi che si alimentano a vicenda: da un lato i crescenti investimenti esteri, dall’altro stranieri che arrivano e si insediano nei palazzi di acciaio e vetro del nuovo potere economico. Tra i migliaia di grattacieli di Shanghai svettano il Jinmao Tower di 87 piani ed il recente Shanghai World Financial Center, il grattacielo piu’ alto della Cina e secondo al mondo con 101 piani.


Questi fenomeni concomitanti, lungi dall’essersi esauriti, caratterizzeranno il futuro in modo costante. La Cina, quindi, ancora per molto tempo sarà meta di personale espatriato e sede di stanziamento semi permanente.


Possiamo, in primo luogo, distinguere tre grandi filoni che danno origine alla scelta dell’espatrio. Il primo legato all’offerta che viene fatta da un’azienda, spesso quella in cui si lavora, di supportare l’insediamento di una nuova realtà produttiva, quindi eteriferito. Il secondo legato ad una scelta individuale, o collegabile ad un interesse personale verso la cultura cinese e alla scelta dello studio della lingua, oppure successiva, come possibilità di lavoro o sviluppo di carriera. Infine il terzo, legato alla moda ed alla casualita’, con la Cina e l’Estremo Oriente come meta futuribile e sulla bocca di tutti, dalle Olimpiadi di Pechino all’Expo Universale del 2010 di Shanghai; basta esserci per divenire protagonista.


Le tre modalità comportano una diversissima situazione di contesto. Nel primo caso generalmente una situazione molto tutelata, soprattutto se si lavora in una azienda strutturata dal punto di vista organizzativo, con un supporto nella ricerca della casa e nel processo di inserimento, supporto soprattutto legato al relazionamento con la locale burocrazia bizantina, per il disbrigo delle pratiche legate al permesso di soggiorno per lavoro ed a tutta la modulistica ed esso connessa. Mentre la situazione del secondo e terzo caso può variare considerevolmente in relazione alle competenze del singolo, ed anche alla fortuna. Molti giovani oggi possono vivere in un limbo economico per diverso tempo, con difficoltà a trovare una sistemazione abitativa con standard occidentali. Insomma, una situazione non molto dissimile dai loro nonni all’arrivo nel nuovo continente.

Nel capitolo quarto, attraverso alcune recenti storie di vita, si tratteggieranno le diverse forme di espatrio in Cina, caratterizzando le tipologie di migrazione sia dal punto di vista temporale sia nel contesto dell’economia cinese.


Dal punto di vista lavorativo possiamo distinguere diverse forme d’espatrio, collegate a periodi più o meno lunghi e più o meno strutturati di permanenza in Cina, guidati dalle aziende.



  • di breve durata (massimo un anno di permanenza consecutiva) una formula flessibile che permette di trasferire in modo rapido le conoscenze e le abilità necessarie al contesto cinese. La missione di breve durata richiede minor tempo e minore preparazione. Abitualmente la persona incaricata non lascia il suo posto di lavoro nella società d’origine e torna alla sua attività precedente alla fine della missione. Non è previsto lo spostamento della famiglia e si compensa l’assenza da casa con ritorni più frequenti. In termini economici, le missioni non comportano un pacchetto di benefici pari a quello degli espatriati.


  • di lungo termine (dall’1 ai 3/4 anni ) è la formula classica di espatrio generalmente prevista dalle multinazionali, che articolano i percorsi di carriera individuali, e quindi di occupazione delle posizione, su periodi temporali di 3 / 4 anni. E’ previsto lo spostamento della famiglia e un pacchetto di benefici che prevede supporto nel reperimento dell’abitazione, contributo all’affitto, contributo alle rette scolastiche dei figli, assicurazione globale su malattie e infortuni propri e dei familiari. In alcune aziende sensibili al tema delle famiglie a doppia carriera si supporta il coniuge, ove richiesto, in una ricollocazione lavorativa.


  • espatrio permanente o localizzazione: al termine di un espatrio di lungo termine, l’impresa e il lavoratore possono optare per un espatrio permanente. Il contratto non è più di espatrio, ma si assimila alla situazione locale con una trattativa privata circa il mantenimento di eventuali benefici concordati precedentemente. L’azienda sceglie questo tipo di soluzione solo per posizioni particolarmente rilevanti o ritenute chiave nell’organizzazione. La scelta soggettiva è solitamente legata ad una forte integrazione con la cultura locale, attraverso ad esempio un matrimonio misto o ad un particolare sintonia con la cultura del paese ospitante.


  • trasferte: si tratta generalmente di persone esperte in un determinato campo o tecnologia che supportano i locali nell’apprendimento del mestiere. Stanno sul posto per periodi più o meno lunghi a seconda del ciclo di vita dell’investimento e della tipologia di problema da affrontare. Nelle piccole e medie imprese sono molte all’inizio della delocalizzazione produttiva poi diminuiscono via via che il personale locale diventa autonomo.


  • pendolarismo internazionale: viene attuato dalle persone che devono supervisionare o coordinare alcune attività gestionali con tra la delocalizzata e il quartier generale.


Il pendolare internazionale tipico passa la sua settimana lavorativa sempre nello stesso paese, diverso dal proprio, per rientrare durante il fine settimana, compatibilmente con la distanza, l’esistenza effettiva dei collegamenti e il budget a disposizione. Si tratta di veri e propri spostamenti di luogo di lavoro, a volte si tratta di una rilocalizzazione de facto che può essere gestita senza dover spostare la famiglia e senza dover prevedere alcun rientro al paese d’origine.

Il fenomeno è consolidato e acquista nuove dimensioni; legato all’opportunità in aree di business regionali, si sta diffondendo un po’ in tutto il mondo: in Europa, con la creazione di unità a respiro pan-europeo, in Nord America grazie al Nafta e in alcuni settori economici dell’Asia Pacifico.






- Stranieri assunti come locali Vi è un ultimo gruppo citato precedentemente che potrebbe essere definito degli stranieri assunti a condizioni locali, secondo le norme applicate ai residenti. Questo caso e’ in continuo aumento sia per la concomitante crisi della vecchia Europa che vede salari inadeguati all’incremento del costo della vita, sia per la percezione delle aziende cinesi che vedono gli occidentali stanziati in Cina come una risorsa umana a costi più bassi rispetto a quelli assunti con contratti internazionali. Per la legge cinese, ed in particolar modo per la convenzione tra Cina ed Italia atta ad evitare doppie imposizioni, vi è la possibilità (per alcuni tipi di contratto di impiego) di scegliere il paese dove pagare le proprie tasse personali. In questo caso il personale italiano con contratto locale solitamente percepisce uno stipendio di gran lunga maggiore ai propri omologhi cinesi, ma non gode di quei benefici che caratterizzano i contratti per espatriati. Questi oneri aggiuntivi possono avere un valore uguale alla retribuzione, in quanto essenzialmente comprendono quelle spese che fanno della Cina, e soprattutto delle grandi citta’ costiere, un posto estremamente caro dove vivere: affitto di casa, assicurazione medica internazionale per la famiglia, scuola internazionale per i figli e trasferta di ritorno annuale verso il paese di provenienza sono costi che portano città come Pechino e Shanghai tra le prime del mondo. Dal 2007 ed ancor piu’ a seguito della recente recessione economica un numero crescente di giovani da tutta l’Europa si riversa nelle metropoli cinesi senza una precisa idea di sviluppo di carriera e senza un bagaglio di conoscenze idoneo alle necessita’ delle aziende cinesi. Uno dei primi risultati e’ stato quello di far crollare gli stipendi per neo assunti occidentali che per la prima volta si posizionano addirittura ad un livello inferioriore a quello della controparte locale. Rispetto a solo un quinquennio addietro la sola “faccia” occidentale non e’ piu’ un vantaggio posizionale nel mondo del lavoro se non si parla cinese oltre all’inglese.


Zhong Guo


Se affrontare una diversa cultura è sempre un elemento di grande sfida, trasferirsi in Cina significa confrontarsi con una diversità radicale.

Il primo elemento, magari banale, è che i cinesi non chiamano il loro paese Cina, e nemmeno si definiscono cinesi. Il nome è stato attribuito dagli occidentali e così è rimasto, senza - finora – rivendicazioni nazionali orientate ad una rinomina, come è accaduto in altri paesi come per alcune città indiane o la Birmania. Il nome cinese è Zhong Guo e la sua popolazione Zhong guo ren di etnia prevalentemente Han.


Molte le sorprese che colgono gli occidentali. In primo luogo l’affollamento. Nelle città cinesi, soprattutto nelle ore di punta, non solo le strade sono inondate di auto, moto, biciclette e veicoli di diverso tipo, ma anche i marciapiedi sono densi di una umanità che non si allarma quando si urta, si intralcia, o si spinge. Gli occidentali, abituati ad una prossimità spaziale più ampia, ma soprattutto usi a cortesie reciproche di non invasione delle proprie e altrui soggettività, prima si stupiscono e poi si spazientiscono.


Nei momenti formali invece prevale un’etichetta che agli occhi europei, e soprattutto americani, appare desueta, quasi servile verso l’autorità, orientata a mantenere la distanza invece che avvicinare.

Per gli italiani, dopo qualche tempo di permanenza, spesso il cibo diventa fonte di sofferenza. Oggi nelle principali città è possibile acquistare prodotti stranieri e vi è quindi la possibilità di cucinare secondo le tradizioni del paese d’origine, ma in alcune zone periferiche non è ancora possibile. Da qualche anno in Shanghai e’ possibile trovare tartufo grigio d’Alba di stagione, ovviamente a prezzi due o tre volte superiori all’omologo consumato in Piemonte!


La comunicazione è limitata da una lingua di estrema difficoltà sia nella lettura che nella pronuncia. Per leggere le insegne dei negozi o i titoli di un quotidiano è necessario memorizzare svariate migliaia di caratteri, mentre nella lingua parlata, anche per le semplici frasi di circostanza, bisogna comprendere la musicalità di quattro toni che rendono uno stesso fonema diverso solo dall’accentazione.


Zhong Guo è un paese affascinante, ma estremamente difficile, che può sedurre, ma anche deludere con estrema rapidità.

Le aspettative sovradimensionate, l’utilizzo di stereotipi desueti e la facile presunzione della superiorità occidentale portano un espatriato non abituato alla vita in Cina a confrontarsi con una realtà ostica e difficilmente penetrabile. Quello che risulta maggiormente risibile agli occhi di managers internazionali avvezzi ad interagire con il mondo degli affari cinese, è la richiesta a volte accompagnata da atteggiamenti presuntuosi, di voler comunicare o ricevere testi scritti in lingua non cinese. Come se in Italia un’azienda tedesca volesse vendere i propri prodotti fornendo il manuale di istruzione solamente in tedesco. Se episodi di questo tipo possono far sorridere in Italia, in Cina è comune sentire espatriati che si lamentano perché appena fuori Shanghai le indicazioni stradali sono solo in lingua cinese. Molti iniziano corsi di lingua, ma la difficoltà iniziale d’apprendimento accompagnata dalla notevole mole di lavoro fanno sì che la quasi totalità degli espatriati che non abbiano un background da orientalista, inizino e terminino una carriera anche decennale in Cina conoscendo solo tre o quattro frasi di circostanza, spesso neppure pronunciate correttamente.

Un atteggiamento difensivo, a volte inconsapevole, è quello di creare gruppi sia sul lavoro che al di fuori, di colleghi e conoscenti provenienti dallo stesso paese escludendo qualsiasi contatto locale. Questo processo di auto ghettizzazione porta a ridurre le possibilità di apprendimento e di inserimento nella cultura locale ed in realtà poco cosmopolite porta a pericolosi isolamenti. Pericoli che riguardano sia l’equilibrio soggettivo e lo stare bene dell’espatriato, e che incidono poi sul lavoro. I fenomeni di isolamento descritti si amplificano in caso di una famiglia di espatriati, quando le mogli si chiudono in casa, senza neppure la compagnia di una un programma televisivo in una lingua comprensibile.


Le grandi città offrono dei compound ad alta densità di espatriati, ricchi di servizi, ma che costringono ad una quasi esclusiva frequentazione di stranieri. Per i giovani espatriati invece date le iniziali ristrettezze economiche e’ giocoforza orientarsi su aree tipicamente cinesi ed a basso costo. Questa necessita; economica e’ comunque un ottimo volano di integrazione che avvicina maggiormente alla cultura locale forzando un’interazione con gli usi e costumi della vita quotidiana rispetto alla torre d’avorio dei compound. Per i giovani che “sopravvivono” a questo rito di iniziazione si ha un notevole accrescimento del proprio bagaglio culturale non solo per il prosieguo della vita in Cina ma anche per le future esperienze da espatriato in altri paesi ed addirittura per il rientro in patria.


In Cina vi è anche una grande difficoltà a gestire la salute e a mettersi in relazione alla medicina locale. Quasi tutti gli espatriati hanno una assicurazione che garantisce loro l’accoglienza in strutture di tipo occidentale, ma nei luoghi isolati è giocoforza relazionarsi con modalità diverse, completamente sconosciute.


Completamente diversa è la situazione di chi invece si trova in zone periferiche, non necessariamente remote, ma con poche possibilità di contatto con una comunità non cinese. Non esistono scuole internazionali, non vi sono possibilità ricreative e quindi la vita spesso si concentra esclusivamente nell’universo aziendale od universitario. Caso emblematico quello di una giovane coppia che dopo l’ottenimento di un MBA e’ stata assunta da una societa’ cinese di componenti elettronici sita a 4/5 ore di macchina da Shanghai. Con la possibilita’ di tornare ad immergersi nella metropoli cosmopolita solo nei fine settimana i due giovani neolaureati e neoassunti hanno iniziato ad esplorare le campagne antistanti alla fabbrica e le aree piu’ remote. Purtroppo dopo qualche tempo entrambi hanno contratto una presunta forma influenzale che si è rapidamente aggravata, rendendo necessario il trasferimento in un ospedale pubblico cinese. Diagnosi: tubercolosi. Una patologia che in Piemonte è più legata alla storia e quasi completamente rimossa dalla realtà quotidiana, in quanto debellata da tempo. Dopo una cura di varie settimane sono ritornati a Shanghai per poi rientrare definitivamente in Europa. Se citta’ come Shanghai permettono ad oggi cure mediche ,costose, ma all’avanguardia ed uno stile di vita cosmopolita da far invidia a Londra e Parigi, molte aree cinesi anche non troppo distanti risultano ancora affette da patologie endemiche quali epatite, malaria ed encefalite giapponese. Semplici accorgimenti , vaccinazioni ed una puntuale informazione rinvenibile anche su Internet permette di evitare quello che con leggerezza e noncuranza puo’ trasformare una fruttuosa permanenza estera in una spiacevole esperienza.


Come gia’ sottolineato, non bisogna sottovalutare l’impatto della burocrazia cinese nel processo di insediamento iniziale. Seguendo correttamente il regolamento per l’ottenimento di un visto permanente per lavoro e relativo permesso di soggiorno con registrazione presso l’ufficio di polizia di quartiere, risulta poi agevole il rinnovo ed una permanenza protratta nel tempo . Purtroppo un nutrito numero di giovani, ogni anno tende a prendere alla leggera le leggi in materia di immigrazione, partendo dal presupposto scorretto che la RPC sia ancora un paese arretrato ed in via di sviluppo in cui non vi sono vincoli di residenza o permanenza.

La realtà dimostra il contrario. Il visto turistico non è trasformabile in uno di lavoro costringendo chi lo volesse fare, ad uscire dal paese verso mete vicine come Hong Kong e Seul per poi richiedere correttamente un visto lavorativo. Ritardi nel rinnovo del visto implicano una multa di 50 Euro per ogni giorno di mora, pena il fermo presso l’aeroporto di uscita in caso di insolvenza. Un esempio palese delle restrizioni che e’ necessario fronteggiare è dato dalla nuova normativa sulla sicurezza stradale in essere dal primo gennaio 2008. Essa prevede che tutti i cittadini stranieri coinvolti in incidenti stradali in Cina non possano lasciare il paese prima che la controversia sia risolta. La nuova norma e' stata inserita in un provvedimento inerente agli incidenti stradali il cui regolamento attuativo e’ previsto per gli inizi del 2009. Se un incidente stradale comporta degli strascichi giudiziari - dato il numero crescente di stranieri residenti in Cina - si ha la possibilita’ di venir bloccati alla frontiera d’uscita sino a che la posizione giudiziaria non sia stata definita da un tribunale competente.

Nonostante questo l’attitudine verso gli stranieri, e gli occidentali in particolare, si e’ molto evoluta nell’ultimo decennio. Basti pensare che dalla fondazione della RPC (1949) sino agli anni 80 ai forestieri era consentito vivere solo in aree ristrette nelle maggiori citta’; la mobilita’ era ridotta al minimo e solo se accompagnati da una guida cinese qualificata. La stessa moneta, il Renminbi o Yuan era appannaggio esclusivo dei locali mentre gli stranieri potevano sino agli anni 90’ convertire dollari americani in FEC (Foreign Exchange Currency) ed utilizzarli solamente in appositi negozi di stato per qualsivoglia tipologia di acquisto. Dal 1995 in poi si assiste ad una piu’ completa apertura del paese ai flussi turistici internazionali ed al soggiorno per periodi a lungo termine e permanente di forestieri. Dal 2003 risulta anche possibile risiedere in quasi tutti gli appartamenti mentre precedentemente i cittadini non cinesi potevano affittare alloggi solo in determinati palazzi riconosciuti dal governo. Ad oggi risulta anche possibile comperare una casa , o meglio il diritto di usufrutto per 60/70 anni , in quanto non vi e’ la proprieta’ privata del terreno su cui e’ edificato l’immobile. In citta’ come Shanghai vi sono pero’ delle restrizioni atte a scoraggiare investimenti nel settore immobiliare, quella che coinvolge i forestieri implica la possibilità di acquisto di un solo immobile e solo dopo un anno di residenza continuativa nella RPC.


Shanghai: specchio della Cina del futuro?


Con 300 mila cittadini stranieri registrati ufficialmente a Shanghai, e’ palese come la Cina attragga giovani motivati in cerca di fortuna e di quelle occasioni di cui la Vecchia Europa rimane avaramente restia a cedere. Mobilita’ sociale, easy money ed un ritmo di vita che il Piemonte ha vissuto dallo stato Sabaudo ad oggi solo durante le settimane olimpiche del 2006, sono le ricette vincenti delle megalopoli cinesi. Quel ritmo incalzante di eventi, di effervescenza e vitalita’ del quotidiano di cui Torino si e’ resa orgogliosamente protagonista nelle giornata olimpiche e’ presente costantemente a Shanghai.

Si vive con la sensazione di essere insersiti in una corsa all’oro, a cui finanzieri londinesi delle City ed americani di Wall Street accorrono per sviluppare fondi di investimento asiatici, registi convergono per nuovi film e lucrativi spot pubblicitari. Chiunque sembra poter tentare qui la propria fortuna. In nessun luogo d’Europa e tantomeno dell’Italia, si può avere questa impressione di essere al centro dei percorsi della globalizzazione. La recente recessione ha anche sottolineato come la Cina sia in posizione di vantaggio per poter ridurre l’impatto della crisi nella propria economia nonche’ giocare un ruolo di primaria importanza nell’economia internazionale con un fondo di investimento sovrano di 1.9 trilioni di dollari americani a disposizione.

Essere parte del trend in ascesa e’ uno dei motivi dominanti dell’attrazione verso la Cina. Ma queste prospettive dorate nascondono un altro lato della medaglia non solo legato a problematiche di adattamento e cross culturali, ma a questioni intrinseche al sistema paese ed ad uno sviluppo radicale ed estremamente veloce. I vent’anni di incremento del PIL a due cifre hanno lasciato scompensi enormi nella differenziazione del reddito tra i ceti, con una forbice salariale sempre piu’ ampia. Lo sviluppo industriale legato sino all’ultimo quinquennio a produzioni intensive a basso costo ha introdotto scompensi ambientali legati ad un incremento dell’inquinamento ed ad un corrispondente abbassamento della qualita’ della vita nelle megalopoli. Lo stesso stato sociale che garantiva scuola, cure ospedaliere e pensione si sta’ riposizionando su scelte di mercato lasciando scoperti i ceti piu’ deboli. Anche gli espatriati, sul fronte dello stato sociale, devono adattarsi a soluzioni costose. Scuole ed ospedali nelle megalopoli cinesi offrono servizi moderni ed efficaci ma a prezzi superiori a quelli gia’ cari del mercato americano.

Queste problematiche di contesto hanno riflessi diversificati a seconda del tipo di espatrio. Mentre le persone inviate da aziende medio grandi, con politiche di gestione degli espatriati consolidate, sono tutelate anche su questo fronte, coloro che si muovono autonomamente, oppure inseriti in realtà medio piccole, devono pensare a delle soluzioni assicurative .

In relazione alla Cina si possono individuare due ondate di persone che hanno effettuato una scelta personale, non mediata da imprese italiane. Gli arrivi degli anni 80 – 90 di giovani sinologi, mossi in primo luogo dall’interesse per la lingua e della cultura cinese, che si sono trovati all’interno del processo di deflagrazione dell’economia cinese e ne hanno tratto esperienze molto significative anche sul fronte della gestione aziendale. Non è raro oggi trovarli a capo di imprese, in posizioni di prestigio che sono state raggiunte grazie alla conoscenza del cinese e ad una accumulata comprensione della dinamiche gestionali peculiari del paese.

Oggi, invece, si assiste ad una nuova ondata di emigrazione di giovani attratti dal sogno delle possibilita’ che il paese offre e non dalle effettive radici culturali e dai contenuti inerenti ed esoterici che la Cina tutt’ora offre. Le stesse persone sarebbero probabilmente pronte a partire per Dubai o Bangalore, se per un caso fortuito delle sorti economiche mondiali, gli Emirati Arabi o l’India prendessero nei prossimi anni le redini dello sviluppo.

Essi sono protagonisti di un processo parallelo a ciò che accade nei giovani cinesi. Questi ultimi, abbagliati da uno sviluppo economico apparentemente senza limiti, con offerte di lavoro pressocchè illimitate, hanno dato vita ad un fenomeno, il job hopping, ovvero il salto rapido da un posto di lavoro all’altro, seguendo incrementi salariali e dimostrando poca fedeltà al proprio datore di lavoro.

I giovani occidentali alla ricerca di avventure possono essere definiti dei country hopper, la cui velocita’ di spostamento non permette il radicamento lento e progressivo in una cultura millenaria come quella cinese, ma che produce un assottigliamento superficiale di paradigmi conoscitivi legati all’ambiente di lavoro ed ad un network relazionale internazionale e senza radici. I problemi di molti neo espatriati ventenni in Shanghai sembrano piu’ legati a trovare una connessione ADSL a banda larga per connettersi velocemente a Facebook ed a Youtube piuttosto che trovare un buon tutor per la lingua cinese. Detta velocita’ di cambiamento e di rotazione delle persone fa si che si formino due tipologie di emigrati, non permeabili fra di loro. Quelli a lungo termine e radicati nella cultura locale, magari con una moglie cinese ed una conoscenza del mandarino e quelli che dopo sei mesi di permanenza nel paese si ritengono gia’ dei tuttologi del Far East, senza aver fatto nessuno sforzo concreto per entrare in risonanza con la cultura locale.

Il secondo scontro con la realta’ locale deriva dall’incontro con i propri coetanei cinesi, completamente diversi per attitudini ed esperienza. I giovani ed i manager trentenni cinesi non solo hanno vissuto e stanno vivendo sulla propria pelle la riforma di apertura di Deng ma sono nati e cresciuti in un contesto ultra competitivo generato dalla cultura cinese antica ed accentuato dalla politica del figlio unico. Sin dall’asilo, a differenza del nostro sistema scolastico, il figlio unico cinese deve competere con i proprio vicino di banco a livello che potremmo definire di “mors tua vita mea” per un punteggio agli esami atto a garantirgli un piazzamento in una buona scuola ed in ultima analisi in una buona universita’, indispensabile premessa per un posto di lavoro qualificato ed una carriera interessante.





CAP. IV Affrontare la Cina


Cenni storici – quali radici?


La Cina è completamente estranea alla quotidianita’ occidentale, un noto sinologo Francois Jullien arriva persino alla definizione di societa’ “esterna” a causa del ceppo linguistico non indoeuropeo. Questa diversità ha uno strano effetto su coloro che l’avvicinano per la prima volta: molti non la capiscono, ne restano sopraffatti, se ne vanno rapidamente; ma moltissimi altri se ne innamorano profondamente.

Ciò che spesso sorprende è la grande diversità rispetto all’occidente e le innumerevoli contraddizioni che questo Paese esprime. Ad oggi bastano 13 ore di aereo per arrivare da Milano a Shanghai, ma i 4000 anni di differenziazione culturale permangono nonostante il processo di globalizzazione abbia concatenato mercati e permesso transazioni finanziare istantanee.


Chi parte per la Cina dovrà confrontarsi con persone completamente diverse da sé per storia, cultura, tradizioni e con le loro contraddizioni intrinseche. Lo stesso ceppo linguistico con l’utilizzo ancor oggi nella lingua scritta di caratteri derivanti da una base ideografica e’ completamente al di fuori di ogni schema legato alle nostre radici linguistiche indoeuropee. A questo divario si aggiunge spesso un’informazione frammentaria, se non addirittura colpevole per eccesso di preconcetti e pregiudizi. Le notizie che arrivano alle pagine dei quotidiani, come spesso accade per ogni paese straniero, sono in maggioranza quelle negative, che contribuiscono a creare l’idea di un paese difficile, egocentrico, poco capace di governare le grandi problematiche legate all’interazione con il mondo moderno.

I giovani in particolar modo, tendono a sottovalutare la struttura di base della Repubblica Popolare Cinese che e’ tutt’ora tuttora un’economia fortemente centralizzata, in cui le decisioni più significative ed a lungo termine, vengono prese da un gruppo ristretto di persone ed attuate con estrema determinazione. Una sorta di tecnocrazia pragmatica e paternalista che si muove con autorita’ per lo sviluppo collettivo.


Una prima riflessione di contesto, che può aiutare nella comprensione della Cina odierna, riguarda il fatto che essa si è aperta al mondo da meno di due decenni.

La chiusura verso l’esterno è un tema fondante la cultura cinese, ed è diventato uno dei principali ostacoli al cambiamento delle millenarie tradizioni. In epoche in cui gli altri paesi iniziavano le esplorazioni per curiosità e per sviluppare nuove rotte commerciali, la Cina ha sempre centellinato l’ospitalità e, soprattutto, non ha incentivato messaggeri a costruire relazioni. Impero dai vasti confini , retto da una cultura omogenea e da un’economia autosufficiente in cui i sudditi si riconoscevano a tutti i livelli. Fa eccezione in questo panorama l’unico grande esploratore cinese, Zheng He inviato dell’imperatore Yongle (1421), le cui gesta sono state oggetto di recenti controversie storiche.


Per millenni l’autosufficienza cinese è il risultato di un ferrea identità nazionale applicata all’interno di un vasto territorio protetto da stati cuscinetto e da ostacoli naturali quali deserti e catene montuose nel nord ovest e foreste e mari nel sud est. Chiusi in uno splendido isolamento dunque, ma fino alla rivoluzione industriale molto più avanti nelle scoperte scientifiche di qualsiasi popolo. Un semplice sguardo all’elenco comparativo delle scoperte (Brunori, 1988) induce gli occidentali a meravigliarsi di fronte alla competenza del popolo cinese: l’aratro a versoio con vomere in ferro introdotto in Europa nel 1700 faceva la sua comparsa in Cina nel X secolo, le dighe e le chiuse sono state introdotte nell’800 conto il 1400 dell’Europa, la porcellana ha una distanza di circa 1000 anni, così come il mulino. I cinesi hanno scoperto la polvere da sparo e inventato i caratteri di stampa. E così si potrebbe continuare.


La Cina intesa come entità politica definita può essere fatta risalire alla dinastia Qin con l’imperatore Qishi (221 - 206 AC). Sino al 1911 si mantiene la struttura di governo basato su di un esoscheletro di funzionari imperiali scelti per merito mediante severi esami basati sui classici confuciani. Sistema di cooptazione per merito che ancor oggi e’ in essere per il reclutamento di funzionari di alto rango all’interno del Partito Comunista. Anche i dominatori stranieri provenienti dalla Mongolia e dalla Manciuria, che occuparono la Cina rispettivamente nel XIII e XVII secolo, si adeguano alla cultura precedente, sinizzandosi e assorbendo con i valori confuciani anche le caratteristiche di governo e vita sociale del celeste impero.


L’isolamento cessa per opera degli europei nel XVI secolo che, se in un primo tempo si affacciano come visitatori, sempre più spingono i propri interessi in primo piano rispetto a quelli della terra che li accoglie. Dai missionari gesuiti alle Compagnie delle Indie il passo e’ breve.

Come sottolinea con ironia McGregor (2005) le negoziazioni per l’ingresso della Cina nel WTO sono iniziate nel 1793 quando Lord George Macartney approdò sulle coste cinesi con il mandato di Re Giorgio III di aprire al Regno Unito le frontiere del grande paese. Egli se ne andò convinto di aver raggiunto un ottimo risultato, ma di fatto le concessioni cinesi furono pochissime. Solo con i trattati ineguali a seguito delle guerre dell’oppio (1838-42 e 1856-60) le potenze occidentali riusciranno a strappare concessioni commerciali ed un’apertura forzata del paese.


Nel 1911 segna la svolta dall’impero millenario del dragone alla Repubblica, guidata da Sun Yat Sen. Nel turbolento periodo che segue e che vede in Europa la prima guerra mondiale, nasce il Partito Comunista Cinese che con Mao Tze Dong, influenzera’ in modo determinante la storia moderna cinese.

La seconda guerra mondiale rompe la neutralità cinese con la terribile e violenta invasione Giapponese del 1932, le cui tracce a partire dal massacro di Nanchino sono visibili ancora oggi nei rapporti tra i due paesi, nonostante il Giappone sia tra i primi investitori nella RPC e tra i primi partners in termini di valore assoluto di import export.

Dopo la guerra, le forze in campo che durante il conflitto avevano solidarizzato, si confrontano nella visione ispirata alle democrazie occidentali di Chiang Kai Shek e quella più legata al socialismo di Mao.

La vittoria di questo orientamento, attraverso la Lunga Marcia, tuttora celebrata epopea del comunismo cinese, porta il paese ad una economia fortemente centralizzata ed socialmente articolata in nuove forme di convivenza, le Gongzuo Danwei,che in occidente sono conosciute come unita’ di lavoro od ancor meglio le comuni.

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