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  • Immagine del redattoreCristina Bombelli

Management delle differenze: gestire il genere

Indice


  1. Premessa

  2. Differenze di genere tra stereotipi, ricerche scientifiche e prassi organizzative

  3. I segnali del mercato del lavoro

  4. I segnali dal contesto sociale

  5. Identità lavorativa maschile e femminile

  6. Cosa accade in azienda

  7. Gestire il genere

  8. Conclusioni




  1. Premessa


Il management del futuro si trova di fronte a situazioni molto diverse dal passato. Se un tempo le categorie d’analisi da utilizzare per comprendere le persone che in azienda prestano manualità ed intelligenza potevano essere semplici ed accorpate, oggi una gestione del personale all’altezza delle sfide del mercato presuppone capacità più sofisticate nel leggere competenze, nel comprendere bisogni che nel tempo si sono differenziati e nel tessere reti di premio più articolate.


Le differenze di genere sono una delle possibili chiavi di lettura da utilizzare per progettare strumenti e comportamenti di gestione del personale che possono costituire una dimensione innovativa nelle modalità di gestione. Inoltre l’ottica del genere diventa tanto più importante in quanto le tendenze del mercato del lavoro descrivono una femminilizzazione spinta ed irreversibile.


Il lavoro seguente si propone di affrontare questo tema - con una focalizzazione esplicita sul genere femminile e sul segmento manageriale - mettendo innanzitutto in guardia rispetto alle letture affrettate che possono ingenerare stereotipi e proponendo un lettura culturale come equilibrio possibile tra la negazione delle differenze e l’irrigidimento delle caratteristiche del maschile e del femminile.


L’attenzione verrà concentrata sulle tendenze del lavoro femminile dal punto di vista quantitativo e sulle domande emergenti dal punto di vista qualitativo. La tesi centrale del lavoro consiste nel proporre dei margini di scambio tra il segmento manageriale femminile e le organizzazioni utilizzando schemi di lettura diversi dal passato. Ciò significa per le organizzazioni riconoscere, ove necessario, le competenze femminili come valore aggiunto nel quadro delle tendenze organizzative in essere, ripensando l’articolazione dei sistemi premianti in funzione di diverse esigenze emergenti, sia in relazione al genere, che ad altre possibili angolature di differenza.







  1. Differenze di genere tra stereotipi, ricerche scientifiche e prassi organizzative


Il tema delle differenze di genere non è consueto nella letteratura manageriale italiana. Spesso le persone ai vertici aziendali, sia uomini che donne, guardano con fastidio e sospetto a questo tema.

Bisogna partire da questo disagio per comprendere come impostare una riflessione che, lungi dall’avere un obiettivo precostituito di natura rivendicativa, possa dare un contribuito al concreto benessere degli uomini e delle donne in azienda.

Viceversa in alcuni paesi, in particolare negli Stati Uniti e nel Nord Europa, questo è un tema molto dibattuto e oggetto di ricerche, seppur con il taglio specifico, storicamente e contestualmente situato, adottato nelle diverse realtà. Questa produzione non ha impedito di considerare la letteratura organizzativa a tutt’oggi sorda e cieca rispetto al genere, nel senso che questo elemento viene raramente considerato come degno di attenzione nelle prassi organizzative (Wilson, 1996).


In premessa dobbiamo sottolineare che per differenza di genere si intende non un derivato immediato delle diversità biologiche, ma la costruzione dei significati che ogni soggetto dà alla propria esistenza in relazione ad altri soggetti ed al contesto di riferimento (Weick, 1995). Il genere è quindi costruito culturalmente (Gherardi,1995). Come già osservava M. Mead (1949) le attribuzioni delle competenze al maschile e al femminile nella organizzazione sociale variano in diversi contesti culturali. Questo significa che i compiti sociali, le potenzialità, le richieste che la società pone agli uomini e le donne, cambiano nelle diverse culture.


E’ questa un prima affermazione forte da cui partire per comprendere da un lato la relativa indeterminatezza del concetto di genere, dall’altra la necessità di contestualizzare qualsiasi ricerca ad esso riferita, all’interno di una dimensione culturale di cui bisogna disegnare i confini. Quindi le ricerche e le riflessioni relative al genere devono essere sviluppate con una attenzione puntuale al legame con il contesto di riferimento. Da questo punto di vista colpisce che il lavoro più esaustivo sullo stato dell’arte della letteratura su questo tema, recentemente pubblicato, prescinda completamente dalla situazione italiana. (Monaci, 1997)


La premessa relativa alla dimensione culturale del genere fa comprendere come questa riflessione si muova su un sottile crinale da cui si può facilmente scivolare in due dimensioni opposte, entrambe poco costruttive. Su di un versante ritroviamo lo stereotipo delle differenze sessuali : le donne “maestre” del lavoro di cura, hanno sentito spesso ritorcere questa competenza contro il loro permanere nel mercato “pubblico” del lavoro. Le donne abili tessitrici di rapporti interpersonali, le pietre angolari del focolare domestico : lo stereotipo della differenza, profondamente ancorata in una cultura rigida e separata, produce nostalgie delle famose 3 K - Kuche, Kirche, Kinder - con tutto quello che ne può conseguire. Non si può allora che comprendere come molte delle energie della ricerca delle donne siano state spese per riprendere una cittadinanza sociale, per introdurre le donne ad una legittimità che solo “una stanza tutta per sé e un tot di sterline di rendita” (parafrasando Virginia Woolf) avrebbero garantito.(Hess, Marxferee, 1987)


Da qui alla caduta nell’altro estremo il passo è necessariamente breve : la paura dello stereotipo, il rischio del modello, del confine ristretto in cui non ci si può identificare, produce l’apoteosi dell’uguaglianza. E’ interessante notare come il percorso legislativo italiano segua questo sviluppo culturale. Dalla logica della protezione di un segmento debole del mercato del lavoro, si passa alla logica della parità che si concretizza con la legge 903 del 1977 e solo successivamente si inizia ad accettare la logica delle differenze (Ballestrero, 1979). Lo stereotipo della donna mamma calda e onnipresente, si converte in azienda nello stereotipo della fredda calcolatrice, a tutto disposta pur di fare carriera (Crichton, 1993)

L’apoteosi dell’uguaglianza, rivendicata e utilizzata contro la penalizzazione confinante dell’appartenenza al genere femminile, rischia di ritorcersi contro le donne stesse, ormai asessuate e prive di qualsiasi specificità e competenza legata al genere.


Non è facile, in questa materia mantenere un equilibrio che ponendosi nell’ottica della valorizzazione delle differenze, non ricada negli stereotipi.

E’ interessante notare come moltissima parte della cosiddetta letteratura W.I..M. (Women in management) abbia contribuito a dimostrare che nella gestione del genere vengano utilizzati una serie di stereotipi che confinano la gestione del personale femminile in alcune categorie ristrette (per una esaustiva rassegna, Monaci 1997). Questa enfasi sulla rigidità delle differenze analizzate si appella spesso ad un inesistente stato di natura, che non può che ancorarsi esclusivamente alla dimensione biologica. Con questo non si vogliono giudicare negativamente i tentativi di mettere in discussione l’operatività concreta degli stereotipi. La loro negazione non può però arrivare ad assumere una realtà soggiacente unica e appunto “naturale” che deve essere scoperta.


La riflessione culturale che qui si propone assume un prospettiva costruttivista (Fabbri, Munari 1984) in cui il soggetto non può che vedere nella realtà ciò che egli contiene sia dal punto di vista cognitivo che dei valori a cui è vincolato. Il problema è di aiutare il soggetto, in questo caso il manager, ad avere un collegamento costante con la realtà, per aggiornare e modificare gli schemi utilizzati per comprendere ed interpretare il contesto in cui opera nel suo dinamico divenire (Neisser, 1981).


Il tema delle differenze di genere, più di altri, ma insieme alle aspettative e ai valori delle giovani generazioni, ad esempio, può essere indagato attraverso diverse angolature disciplinari. E’ necessario approfondire la dimensione sociale del cambiamento delle attese e dei modelli di riferimento ; il passaggio dell’organizzazione del lavoro al post-fordismo, la frammentazione dei valori e della ricerca di senso ; contemporaneamente è necessario indagare la dimensione psicologica soggettiva delle donne che lavorano e che costruiscono la loro identità attraverso i luoghi in cui abitano e producono .


Per questo bisogna mantenere una grande attenzione a ciò che è in essere a livello sociale e nelle imprese, per sintonizzarsi via via su come le differenze di genere rappresentino dei diversi significati negli attori sociali implicati nei differenti scenari. In altre parole, non avendo la lettura di genere una radice obiettiva, ma essendo costruita socialmente e culturalmente, essa cambia con il cambiare del tempo. In una stessa epoca essa può assumere significati differenti, sia in relazione alle dimensioni geografiche, ma anche nei sotto sistemi organizzativi che sviluppano una loro coerenza, condivisa collettivamente, rispetto al significato di appartenere all’uno o all’altro sesso.


La premessa metodologica al tema delle differenze di genere si riassume quindi nella ricerca di un continuo equilibrio tra la stereotipizzazione dei tratti e la negazione delle differenze, attuata attraverso un costante alimento con la realtà sociale e organizzativa.


Date queste premesse, per costruire una riflessione che faccia il punto sulla relazione esistente tra il genere femminile e cultura organizzativa, è necessario partire dalle differenze biologiche che sono la base imprescindibile sui cui si costruiscono le differenze culturali di genere.


La prima distinzione, portatrice di significati personali fondanti l’identità personale, riguarda la procreazione. La maternità segna profondamente la vita di una donna e costituisce una svolta di identità personale imprescindibile. Essa rappresenta un cambiamento profondo nella scala di interessi e priorità tanto da costituire un momento di ricostruzione ontologica. Le donne sono consapevoli di questo tanto da paventare il momento della maternità come una svolta decisiva di cui è difficile anticipare le conseguenze in relazione ai percorsi di vita e di carriera (Nogara, 1997).


E’ importante nei dibattiti sulle differenze non dimenticare questo dato biologico spesso tanto sottointeso da essere sottovalutato. La maternità è un dato imprescindibile, ma anche un dato “pericoloso” per le donne in relazione al mondo del lavoro. Come è noto una legislazione molto attenta ai diritti delle donne madri ha prodotto nelle imprese ostilità e diffidenze rispetto ai costi aggiuntivi che essa produce. Questo dato di fatto ha sortito, soprattutto nei segmenti femminili alti del mercato del lavoro, un presa in carico “privata” del problema. Le donne, soprattutto quelle in carriera, non vogliono “far pesare” la loro maternità ai contesti organizzativi in cui operano, con il rischio di vivere questo momento in solitudine e cercando, con una fatica soggettiva estrema, di essere veramente “uguali”, ovvero ugualmente affidabili. Questo è un dato culturale diffuso molto diverso dall’epoca della rivendicazione, in cui la consapevolezza dei diritti produceva comportamenti opposti.



Altre differenze biologiche, particolarmente indagate, sono conseguenti allo sviluppo che hanno avuto negli anni recenti le neuroscienze. In particolare lo sviluppo della tecnologia connessa a questi studi ha consentito di mettere in luce delle differenze cerebrali interessanti. La prima riguarda le abilità linguistiche. “La nostra ricerca ha messo in rilievo una sorprendente differenza tra uomini e donne nella localizzazione della rappresentazione fonologica della lettura. Negli uomini la rappresentazione fonologica impegna il giro frontale inferiore sinistro, mentre nelle donne attiva anche il giro frontale inferiore destro. (...) I nostri risultati costituiscono la prima prova concreta delle differenze di genere nell’organizzazione cerebrale di una funzione cognitiva. Il fatto che il cervello delle donne tenda ad avere una rappresentazione bilaterale spiega molte osservazioni che risultavano sconcertanti : perché, ad esempio, dopo una lesione del lato sinistro del cervello nelle donne è meno probabile che si verifichi un significativo calo delle abilità linguistiche, e perché le donne compensano la dislessia più facilmente degli uomini”. (Shaywitz, 1997)


La seconda differenza, in parte legata a quella già sottolineata, riguarda l’integrazione e la differenziazione dei due emisferi cerebrali. Si è osservato come la struttura del corpo calloso, che funge da integratore dei due emisferi, sia di dimensioni più estese nelle donne con un utilizzo relativamente prioritario dell’emisfero destro, per suo natura olistico e qualitativo (Mendoza, 1997).


I temi delle differenze biologiche, di cui sentiremo parlare ancora molto nei prossimi anni, sfumano quando si osservano le differenze cognitive. E’ fuori di dubbio che le ricerche confermano dei filoni di differenze interessanti, dove le donne hanno una maggiore competenza nell’accesso rapido e nel recupero delle informazioni in memoria e gli uomini nella capacità di mantenere e manipolare una rappresentazione mentale (Ajello, 1992 - Kimura, 1986). Quanto poi queste abilità differenti siano legate ad una dimensione biologica piuttosto che alle esperienze ambientali, costituisce il nocciolo di un dibattito infinito, e probabilmente senza soluzione possibile.


Approfondendo ulteriormente la riflessione sulle differenze ci si inoltra negli ambiti psicologici, per loro natura epistemologicamente ancora più discutibili. E’ opportuno riprendere comunque alcuni stimoli di riflessione che possono rivelarsi utili nell’approfondimento delle differenze di genere nelle organizzazioni. Un primo aspetto interessante riguarda la differenza nella formazione della identità personale nei maschi e nelle femmine che ha origine nel processo di differenziazione dalla figura materna (Mahler, 1978).


Questo processo potrebbe avvenire in modo diverso per i due sessi in virtù del rapporto di identificazione con la madre che, più forte nel caso delle femmine, conduce ad una separazione più lenta e meno precisa. (Chodorow, 1974). E’ nella diade madre - figlia che si elabora una “specularità che non ammette posizioni gerarchiche” (Vegetti Finzi, 1990) e che contiene in sé una ambivalenza tra la vicinanza e la lontananza, tra l’amore e il rancore.


E’ da queste radici che si struttura una identità personale femminile molto ancorata alla vicinanza e alla relazione con l’altro che a sua volta porta ad elaborazione diversa dell’identità lavorativa nel maschile e nel femminile.


Un altro spunto che è opportuno riprendere riguarda la dimensione dell’etica del lavoro con la contrapposizione dovuta a Gilligan (1982) tra quella più radicata nei diritti, più maschile, e quella radicata nelle responsabilità, più femminile. La Gilligan nell’analisi dell’universo relazionale al maschile e al femminile usa delle metafore - la gerarchia e la rete - che hanno una immediata ricaduta organizzativa. “Le immagini della gerarchia e della rete informano due modalità di autoaffermazione : il desiderio di essere solo al vertice della scala e la conseguente paura che gli altri si facciano troppo appresso e il desiderio di trovarsi al centro della rete e la conseguente paura di essere spinte troppo ai margini”(pag.69).


Ancora, e per completare il quadro, si possono evidenziare le differenze esistenti nella costruzione delle relazioni personali analizzate attraverso il linguaggio (Tannen, 1992). Appaiono delle differenze nella costruzione dei significati relazionali che vedono una centratura maschile sull’indipendenza ed una femminile sull’intimità. In questa ottica gli uomini e le donne partono da bisogni relazionali diversi, valorialmente diversi, che si ripercuotono sulle quotidiane negoziazioni di identità. Questa dimensione della prevalenza relazionale del genere femminile è messa in evidenza anche attraverso ricerche attuate nei contesti organizzativi in cui si evidenzia un bisogno femminile di positività affettiva del luogo in cui si presta la propria opera ( Avallone, 1989).


Conclusioni diverse sono tratte dalle ricerche di Moss Kanter (1977) la quale sottolinea come non sono le differenze di sesso a generare comportamenti diversi, bensì i contesti organizzativi che con le loro regole, esplicite e implicite, producono degli stili manageriali. E’ questa una riflessione interessante che però riguarda le donne che hanno superato il “soffitto di cristallo” e che, probabilmente, hanno strutturato dei comportamenti premiati nell’organizzazione di appartenenza, omologati al maschile.


Si possono quindi evidenziare due diverse competenze potenzialmente di genere femminile : una sostanzialmente affettiva che evidenzia nelle donne una prevalenza della dipendenza e del riconoscimento personale all’interno di una relazione positiva con gli altri ; l’altra legata alla dimestichezza maggiore del genere femminile con le strutture di ruolo non gerarchiche, a network o di servizio.


A osservazioni simile giunge Hofstede (1989) che in una ricerca relativa alle differenze culturali nel management definisce l’indicatore della mascolinità e della femminilità organizzativa come un elemento utile per cogliere diversità di stili di gestione. Per definire gli elementi costitutivi della mascolinità e della femminilità nel lavoro egli utilizza delle domande in relazione al lavoro ideale che le persone auspicano. Le conclusioni lo portano ad affermare che ciò che è importante per gli uomini è avere buone possibilità di accedere a posti di livello più elevato, avere un salario elevato, avere possibilità di imparare e perfezionarsi, tenersi al corrente delle evoluzioni tecniche. Mentre per le donne le priorità riguardano : lavorare in un’atmosfera amichevole ; avere la sicurezza di non essere trasferite in un posto meno appetibile, avere buone condizioni materiali di lavoro, avere buoni rapporti con il diretto superiore e una buona collaborazioni con i colleghi .


Possiamo concludere il censimento delle differenze biologiche, cognitive e relazionali sottolineando che, senza pretesa di esaustività, esse possono essere utilizzate come delle possibili chiavi di lettura per leggere e progettare la dimensione del rapporto tra le organizzazioni lavorative.

Dal panorama delle differenze reali - biologiche - e potenziali - cognitive e culturali, si possono trarre delle utili indicazioni che, come sempre, possono essere sia vincoli che risorse per le organizzazioni. E’ dalla capacità di massimizzare le opportunità e minimizzare i vincoli, oltre che dalla flessibilità di lettura della realtà, che trae origine un management delle differenze.


  1. I segnali del mercato del lavoro

I dati quantitativi che evidenziano ex post le dinamiche sociali confermano un grande cambiamento in atto.

Prima di affrontare il mercato del lavoro è opportuno sottolineare che i giovani che si presentano in ingresso sono molto cambiati dal passato, in particolare nella ripartizione maschi / femmine. Questo significa che profondi mutamenti sono avvenuti, e sono in corso, rispetto al rapporto con la scuola e con l’istruzione.


La percentuale di donne sul totale dei laureati è passata dal 45,4 % del 1984 al 50,7% del 1992 (fonte ISTAT). E’ avvenuto quindi un “sorpasso” che non potrà lasciare immutati gli equilibri nel mercato del lavoro. (Erlicher, 1989) Questa tendenza riguarda tutti i paesi europei ad eccezione della Germania (Grecchi, 1995).


Nella scuola secondaria superiore si è verificato un mutamento significativo della fisionomia di genere : l’indice di scolarizzazione femminile che nel 1972 era inferiore di ben 12 punti a quello maschile, nel 1995 è di circa due punti superiore. Contemporaneamente si va assottigliando la tendenza alla segregazione di genere che permane nel corso di laurea in ingegneria .


Le tendenze relative alla scolarità sono un primo importante dato di scenario da cui partire per le riflessioni successive. L’incidenza del lavoro femminile è, di conseguenza, tendenzialmente in aumento. Se si osserva il triennio dal 1993 al 1996 (rapporto ISTAT) l’incidenza dell’occupazione femminile cresce in modo più sensibile nel lavoro dipendente (+ 1,5%) che in quello autonomo.


“All’interno del lavoro indipendente si osserva complessivamente una forte ridistribuzione dei lavoratori per posizione professionale, con un aumento dei liberi professionisti e degli imprenditori e una parallela riduzione dei lavoratori in proprio e dei coadiuvanti. Tale trasformazione coinvolge sia gli uomini che le donne, ma tra queste ultime l’incremento delle libere professioniste e delle imprenditrici è più ampio, così come è più consistente la riduzione delle coadiuvanti. L’aumento dell’incidenza delle imprenditrici è diffuso in tutti i settori (+ 2% dell’industria, + 5,4 nell’agricoltura, + 1,3 nei servizi), mentre quello delle libere professioniste è limitato all’industria e ai servizi.(......) Lo sviluppo dell’occupazione femminile, autonoma e dipendente, dimostra come lo donne, non solo stiano approfittando di una domanda di lavoro ad esse più favorevole, ma si propongano sempre più sia in posizioni di maggiore e diretta responsabilità, come libere professioniste e imprenditrici, sia in qualifiche più elevate del lavoro dipendente.


Pur permanendo a tutt’oggi un divario nelle probabilità di ingresso e di uscita dall’occupazione a svantaggio delle donne, il differenziale si è andato riducendo nel tempo : il processo di ricambio generazionale, l’innalzamento del livello di istruzione femminile e la maggiore disponibilità delle donne all’ingresso nel mondo del lavoro sono tutti fattori che, insieme a profondi mutamenti di ordine culturale, concorrono a riequilibrare la composizione del l’occupazione”(pag.46).


La presenza strutturale delle donne nel mercato del lavoro si esprime attraverso un paradosso : il contemporaneo aumento di occupazione e disoccupazione. Ciò sta a dimostrare che, nonostante molta parte della offerta di lavoro delle donne venga assorbita, essa è talmente in aumento da rimanere senza soddisfazione. Questo fenomeno, mentre ha delle divergenze fisiologiche al Nord, rischia di diventare esplosivo al Sud dove il divario è molto alto e al mutare delle aspettative delle persone non vi è un riscontro concreto da parte della imprese (Saraceno, 1996).


Possiamo quindi affermare che in questo momento è in atto un inserimento massivo e non transitorio delle donne nel mercato del lavoro. Come vedremo successivamente questo dato quantitativo deve essere compreso nei cambiamento qualitativi che sono ad esso connaturati, cambiamenti sociali per quanto riguarda gli assetti familiari e cambiamenti di identità lavorativa e personale al maschile e al femminile.


Se consideriamo inoltre che un aumento considerevole dell’occupazione femminile avviene nei servizi, settore decisamente in espansione, ci rendiamo conto di come le dinamiche occupazioni femminili non possono che avere un trend fortemente positivo. E’ facile inoltre ipotizzare che il settore dei servizi dovrà dotarsi di strumenti e di culture di gestione particolarmente coerenti con questo elevato grado di femminilizzazione.


Un’altra osservazione che riguarda i segmenti alti del mercato del lavoro femminile si riferisce ad un aumento tendenzialmente maggiore nelle libere professioni e nell’imprenditoria che nelle dirigenti d’azienda. Una lettura possibile di questo dato riguarda la relativa rigidità di tempi e di spazi che offre il lavoro in azienda. Le donne professionalizzate, che intendono coniugare sviluppo professionale e flessibilità, si rivolgono a professioni e a ruoli che possano loro consentire una autonomia decisoria nella allocazione dei tempi. E’ interessante notare come spesso queste persone non lavorino meno dei colleghi maschi. La differenza sta invece nel fatto che lavorano con modalità e intensità diverse nei diversi archi temporali.


Concludendo, le riflessioni relative alle lettura delle dinamiche del mercato del lavoro ci fanno comprendere come occuparsi di differenze di genere oggi non sia un esercizio accademico disancorato dalla realtà. Viceversa la realtà lavorativa è profondamente intessuta di differenze, tra cui quelle di genere, di cui è necessario tenere conto. Se questa è una considerazione che vale per il momento attuale, ancor più avrà importanza per il futuro.




  1. I segnali dal contesto sociale

Più volte è stato sottolineato come la dimensione del maschile e del femminile non possa essere letta se non in una prospettiva culturale. Questo significa riuscire a cogliere i segnali concreti del cambiamento in essere, tenendo conto che gli indizi su cui possiamo basare la nostra lettura, non sono netti ed univoci come un tempo, ma piuttosto variegati, contraddittori e quindi suscettibili di diverse interpretazioni. Nel passaggio di secolo che stiamo vivendo i bisogni ed i comportamenti dei soggetti hanno abbandonato convergenze forti per segmentarsi in una molteplicità spesso poco comprensibile, soprattutto quando si è alla ricerca di tendenze su cui sviluppare delle progettualità. (Bonomi, 1996).


Possiamo affermare che “dietro al cambiamento del modello di partecipazione al lavoro delle donne ci sia non tanto , o non solo, un cambiamento della domanda, ma un fenomeno culturale di grande portata” (David, Vicarelli 1994 pag,16) .

E’ necessario mettere in evidenza come le ricerche sul genere e sulla famiglia si siano centrate prevalentemente sul femminile (Saraceno, 1996) escludendo indirettamente l’altro polo, quello relativo alle tendenze in essere per quanto concerne il genere maschile. E’ questo un dato da sottolineare : se lo scopo di questo lavoro è di fornire categorie nuove di analisi delle differenze di diversi segmenti di persone all’interno dell’azienda, è necessario osservare i cambiamenti di valori di aspettative sia degli uomini che delle donne.


La riflessione sulla costruzione sociale del genere non può che collegarsi alla evoluzione dei modelli familiari e alle situazioni di “doppia - presenza” (Balbo, 1979). Il dato quantitativo che è stato sottolineato precedentemente relativo ad una tendenza inequivocabile di femminilizzazione del mercato del lavoro, porta con sé una modifica dei modelli culturali delle famiglie e quindi dei comportamenti di genere maschili.


Queste considerazioni insieme alla presenza sempre più alta di famiglie a “doppia carriera” , fanno pensare ad una cambiamento dei comportamenti familiari che portano ad un riequilibrio del lavoro domestico un tempo “maldiviso” (Saraceno, 1980). E’ anche la paternità che si trova coinvolta nel processo di trasformazione della famiglia. Pur “ all’interno di una divisione del lavoro per sesso ancora fortemente squilibrata, proprio le attività di cura e di rapporto con i figli, in particolare con i più piccoli, sembrano non solo accettate, ma in parte rivendicate come proprie dai padri più giovani”, soprattutto da quelli a elevata scolarità. Un ulteriore dato sottolineato dai giovani riguarda la parità dell’attribuzione di poteri e responsabilità e la negazione di ogni valore alla dimensione del sacrificio entro il matrimonio (Saraceno, 1996; pag. 164)


La ridistribuzione del lavoro di cura all’interno della coppia potrà gradualmente portare ad una rivalutazione di questa attività oggi, e più ancora nel passato, socialmente svalutata (Hakim, 1996) Il riferimento ai giovani ci fa comprendere che, se si vogliono ulteriormente approfondire i segnali provenienti dal contesto sociale è necessario operare una ulteriore disaggregazione del maschile e femminile in cluster di età. I bisogni, le aspettative e quindi i comportamenti variano a seconda delle età e, per la riflessione che stiamo cercando di sviluppare, per la scolarità e di conseguenza per la tipologia di lavoro.

Possiamo individuare almeno tre grandi segmenti : i giovani che entrano nel mercato del lavoro, le persone in carriera e coloro che hanno raggiunto posizioni difficilmente superabili. Per quanto riguarda la famiglia questi segmenti si trovano in situazioni diverse. Nel primo segmento si trovano prevalentemente persone che vivono ancora nella famiglia di origine e che difficilmente si sono poste il problema dei figli - soprattutto nell’incrocio con una alta scolarità. In questo ciclo della vita gli ambiti personali e quelli aziendali non sono in conflitto.


Il secondo segmento che potremmo orientare tra i 30 e i 40 anni, comprende famiglie che hanno figli piccoli o che sono in procinto di averli e che quindi si trovano in un momento di difficile quadratura del bilancio allocativo delle energie tra settori della vita potenzialmente in conflitto. E’ noto, tra l’altro, come l’Italia sia un paese con un bassissimo livello di sviluppo demografico, dove la scelta del figlio unico è ormai estremamente diffusa.


Questo aspetto è molto peculiare anche relativamente agli altri paesi europei. Pur osservando un contemporaneo aumento del lavoro dipendente e della fecondità ridotta, è difficile tracciare tra i due fenomeni delle relazioni causali precise (Saraceno 1996). Potrebbe essere che entrambi questi fenomeni si inseriscano a pari titolarità nei cambiamenti di costume relativi alla famiglia ed alle modalità culturali di interpretare il genere, piuttosto che l’organizzazione sociale del tempo renda possibile solo un unica procreazione.


Per concludere, esistono alcuni dati quantitativi e delle segnalazioni qualitative che descrivono dei grandi cambiamenti in essere nella costruzione di modelli famigliari e nell’equilibrio tra i diversi ambiti della vita.

Se le donne si presentano in modo massivo sul mercato del lavoro, dal canto loro gli uomini sembrano aver scoperto lati piacevoli della vita famigliare un tempo rigorosamente appannaggio del femminile. I “territori dei lavori da uomo e dei lavori da donna” (Piva, 1994), stanno progressivamente perdendo i loro confini.


E’ importante prendere atto di una frammentazione di comportamenti che descrive la pluralità dei bisogni e delle aspettative soggiacenti. L’essere famiglia, così come padri e madri, passa oggi attraverso un reticolo di percorsi, che sono molto individuali, molto soggettivi. La vita diventa un percorso che ciascuno può costruire, senza troppi schemi preordinati e obbligati (Francescato, 1998).


Le considerazioni svolte fanno comprendere come i bisogni delle persone siano in mutazione e soprattutto in frammentazione. Questo è un dato importante per il management che non può ancorarsi a visioni stereotipate che presumono quale unico e fondamentale bisogno delle persone quello economico e di carriera. Spesso questa visione permea il mondo aziendale più per sedimentazione storica che per reale scelta manageriale.


Se è vero che le risorse umane sono un fattore fondamentale nello sviluppo delle imprese, se le competenze sono un bene intangibile prezioso e spesso misconosciuto, è allora necessario iniziare un dialogo profondo con i propri “clienti interni” per censire ed alimentare le nuove competenze e per conoscere e dare risposta ai nuovi bisogni.



  1. Identità lavorativa maschile e femminile


Il lavoro è parte importante della vita. Da maledizione biblica esso via via si è trasformato in un tratto costitutivo della costruzione dell’identità personale.


Per gli uomini questa constatazione è ovvia : il lavoro è fonte oltre che di reddito, di status e di legittimazione. “Il lavoro si è affermato come modalità non eludibile di realizzazione dell’identità maschile socialmente consentita e riconosciuta” (Saraceno, 1980; pag. 10)

Una impressione che si ricava dalle analisi sopra svolte è che anche per le donne il lavoro sia oramai indelebilmente inserito nella costruzione dell’identità.

“La presenza sul mercato del lavoro appare segnata da una forte consapevolezza di cittadinanza economica e non si determina più esclusivamente come necessità di un doppio lavoro in casa e fuori. Tutte si deve lavorare, tutte almeno in certi periodi della vita lo si fa.” (Bimbi, 1992; pag. 52). Simbolicamente il cambiamento del significato del lavoro nella vita della donne viene rappresentato dalla bambola Barbie che, dopo 25 anni dalla sua nascita, veste definitivamente i panni della lavoratrice fuori casa, oltre a quelli tradizionali (Powell, 1988).


La “doppia presenza” (Balbo, 1979) da esperienza di una parte dell’universo femminile, diviene la norma.

E’ a partire dalle giovani che questa consapevolezza si impone : il lavoro è atteso, cercato, costruito attraverso un percorso scolastico. Non solo : le giovani si orientano al lavoro con una centralità economica minore rispetto ai colleghi maschi e con una valenza autorealizzativa maggiore (Bimbi, 1993).

D’altro canto le stesse giovani rifiutando la casa come luogo di occupazione non rifiutano il ruolo di compagna e, soprattutto, di madre.


Esiste, viceversa, una rivalutazione di questo ruolo che pone uomini e donne di fronte al desiderio di vivere consapevolmente e il più possibile liberamente il ruolo di genitori. Se un tempo vi è stata la richiesta estensiva di servizi ad integrazione di questo ruolo oggi vi è una diffusa consapevolezza dell’impossibilità di utilizzare sostituti genitoriali per troppe ore al giorno. Possiamo concordare che tra i bisogni emergenti nelle nuove generazioni vi sia quello di vivere la procreazione, spesso programmaticamente unica, come un momento importante della vita.


In particolare per le donne il nodo della maternità è centrale. E’ a partire da esso che si modifica la scala dei valori implicita con cui ogni donna considera il mondo.

La procreazione rappresenta un momento di svolta in cui si viene a configurare un mondo in cui si concretizzano valori altri rispetto al mondo precedente. Si può affermare che nel ciclo di vita, questo momento rappresenta per le donne, ma sempre più spesso anche per gli uomini, un cambiamento di identità personale.


Nelle donne questo ulteriore mondo parallelo che si viene a creare può essere fonte di confusione. “La continua oscillazione tra valori e norme difficilmente conciliabili, provoca un disagio diffuso, che scivola in malessere, in comportamenti ambivalenti, in sottovalutazione di sé stesse nei processi produttivi e nel mercato” (Bergamaschi, 1995)


Una tesi possibile è viceversa che proprio a partire da una pluralità di mondi con cui la donna convive - il lavoro, la famiglia, la maternità, ma anche il “tempo per sé” (Piazza, 1991) - si sviluppi una identità personale pluriancorata, che si appoggia ad ogni elemento ma che in nessuno si esaurisce.

E’ questo un dato molto diverso rispetto al maschile che ancora, perlomeno nelle persone che occupano un posto elevato nella gerarchia aziendale, fonde profondamente ed esclusivamente, la propria identità personale con quella lavorativa.


E’ con questa ottica che si possono rileggere alcuni dati quantitativi. Innanzitutto, come abbiamo osservato le tendenze parlano di un sostanziale mantenimento delle percentuali di dirigenti donne a fronte di un aumento di imprenditrici e libere professioniste. E’ inoltre nell’esperienza soggettiva di molte consulenti incontrare donne che ad un certo punto della carriera “restituiscono la chiave del potere” e intraprendono nuovi percorsi professionali al di fuori dell’univoco mondo aziendale.


Viceversa è frequente incontrare, in questa epoca turbolenta dal punto di vista delle configurazioni aziendali, uomini che, perdendo lo status di una posizione non riescono a trovare strade alternative sia professionali che personali, andando incontro a momenti di grande difficoltà.

Queste osservazioni non intendono contrapporre un modo femminile “positivo” ed uno maschile “negativo” del rapporto con il potere. Semplicemente si vuole introdurre uno spunto di riflessione relativamente alla familiarità con il potere che non sembra essere appannaggio dell’universo femminile. Questa chiave di lettura supera l’approccio rivendicativo e descrive una probabile mutua esclusione tra le donne ed il potere.


Le riflessioni svolte non possono che indagare un particolare momento temporale della realtà. Le identità personali sono socialmente mutuate ed alla dimensione sociale rilasciano nuovi elementi. Per questo è necessario mostrare una continua attenzione a ciò che avviene perché i cambiamenti in essere oggi sono più numerosi e veloci che in epoche passate.



  1. Cosa accade in azienda

Molta parte della riflessione sul genere in azienda, sviluppandosi da una radice femminista, ha avuto un’ottica rivendicativa. Tale ottica non può essere sanzionata tout court. La storia insegna come spesso le minoranze abbiano dovuto usare modalità rivendicative per far sentire al propria voce. Nelle donne d’oggi è diffusa la consapevolezza di un debito verso le proprie antenate per quanto riguarda la “cittadinanza” che è stata ottenuta.


I luoghi aziendali dove viene adottata un’ottica di genere, segnatamente al femminile, sono luoghi segnati dalla volontà del legislatore : dall’Unione Europea per quanto riguarda i corsi ad utenza femminile finanziati dal Fondo Sociale Europeo e le Azioni Positive finanziate dal Ministero del Lavoro attraverso la legge 125/91. A questi, fuori dall’azienda, si sono aggiunti i sostegni all’Imprenditoria Femminile del Ministero alle Pari Opportunità.


Come dire luoghi altri rispetto alla gestione aziendale.


In particolare una lettura, anche sommaria, dell’applicazione delle Azioni Positive, porta a due constatazioni di fondo (Grecchi,1995 - Coordinamento CISL 1991): esse non hanno inciso sugli strumenti e sulle culture generali di gestione del personale nelle aziende dove sono state applicate  e non hanno riguardato segmenti alti (quadri e dirigenti) perché implicitamente ritenute uno strumento adatto a personale “sindacalizzato”. Inoltre, dove hanno dato risultati in altri paesi (Monaci, 1997) creando posizioni “separate” dalle modalità consuete di gestione del personale, hanno spesso fornito un potere esclusivamente formale ed il pregiudizio diffuso di un vantaggio dovuto all’appartenenza a una minoranza protetta.


Ma cosa accade fuori dai luoghi deputati istituzionalmente ad occuparsi di donne ?

Nel segmento manageriale - che è quello prevalentemente oggetto di attenzione in questo lavoro vi sono segnali che meritano attenzione. Innanzitutto la progressiva femminilizzazione precedentemente sottolineata arriva anche ai livelli dirigenziali : in valore assoluto le donne dirigenti sono passate dalle 214 mila unità stimate nel 1981 alle 294 mila del 1995. Il dato percentuale delle donne dirigenti sul totale occupati passa dall’1,4 % del 1981 all’1,9 del 1995. (Fonte : stime su dati ISTAT - Nogara, 1997). Nei diversi settori le donne dirigenti diminuiscono dal 10,9 % del 1993 al 10,8 del 1996 nell’industria, mentre nei servizi aumentano dal 31,4 % al 32,8 % negli stessi anni (ISTAT, 1997).


La progressione quantitativa può avvalersi di una lettura qualitativa attraverso il confronto tra le posizioni relative tra gli uomini e donne attuata applicando il metodo Hay. La ricerca, commissionata dalla CEE nel 1995, ha analizzato 4.983 posizioni dirigenziali, di cui 479 occupati da donne. Una presenza relativamente marcata delle donne è rilevabile tra i 500 e 700 punti (18%), vale a dire in corrispondenza delle posizioni riferibili a quadri e dirigenti di prima nomina (Lamanda, Provenzano 1995).


Una prima osservazione che deriva dalla lettura dei dati sul mercato del lavoro è che poche donne ancora attraversano il “soffitto di vetro”. Risulta quindi ancora di grande attualità interrogarsi sulle motivazioni per cui questo accade.

Una tesi possibile, suffragata dall’esperienza e dalle ricerche, riguarda - come già sottolineato - la gestione del tempo. E’ noto come le posizioni ad alto livello in azienda, nella cultura italiana, debbano dedicare un tempo pressoché totale al lavoro. E’ questo un dato culturale che non trova riscontro in tutti gli altri paesi e che, probabilmente, definisce il tempo dedicato come un indicatore di affidabilità e dedizione della persona all’azienda. Il tema degli orari, della loro flessibilità, non può essere riservato esclusivamente ai livelli operativi. E’ necessario riuscire ad affrontare i temi dell’orario superando degli assunti di base impliciti che hanno governato l’organizzazione tradizionale. I cambiamenti in atto, di competenze, di organizzazione del lavoro, di figure professionali, devono integrare al loro interno cambiamenti di regimi di orario, sia nella dimensione simbolica che in quella operativa.


Un’ulteriore tesi che vogliamo valutare, rispetto al soffitto di vetro, è che oltre ad una oggettiva non attenzione da parte delle imprese a sostenere sviluppi di carriera al femminile, può esiste una frattura tra le attitudini e i valori femminili e le proposte implicite rispetto alla carriera (Piva, 1994).


Una sensazione diffusa tra molti osservatori dei fenomeni aziendali è che da parte delle donne vi sia una forte maturità rispetto a questo tema e che la “rinuncia” alla carriera sia in realtà una scelta a favore di una migliore qualità del lavoro e della vita. In questa avversione reciproca tra posizioni manageriali e genere femminile è come se si concretizzasse una mutua esclusione valoriale : da un lato il luogo del potere, gerarchico, aggressivo, totalizzante; dall’altro il primato delle relazioni, il lavoro in rete, la gestione consapevole del tempo di vita. Gli assunti di base al femminile poco si sovrappongono ai valori diffusi nei vertici delle aziende con una relativa incoerenza che rende difficile, se non addirittura impossibile, una coabitazione. Questi valori sono viceversa più realizzabili concretamente nel caso delle donne imprenditrici e delle libere professioniste.


Le considerazioni che sono state sviluppate precedentemente sembrano far emergere un cambiamento di strategia da parte delle donne in carriera. Coloro che si sono affermate in questi anni e che sono attualmente al vertice , o comunque ai piani alti delle organizzazioni, hanno sviluppato una elevata capacità di assorbimento nella propria dimensione soggettiva delle contraddizioni e dei conflitti esistenti tra i diversi mondi abitati.


Questo assorbimento soggettivo determina un elevato stress personale che viene affrontato per sostenere una uguaglianza irrealizzabile. Le generazioni, le coorti, a cui qui ci si riferisce, hanno profondamente interiorizzato la battaglia di cittadinanza come una ricerca di uguaglianza tanto da porre in secondo piano, probabilmente come indispensabile prezzo da pagare, la fatica della compensazione soggettiva praticata . Spesso queste persone, arrivate ad un momento in cui il bilancio personale non quadra più, cedono improvvisamente ed inaspettatamente il proprio ruolo.


Le donne più giovani, già in carriera, sono completamenti coscienti di questo pericolo tanto che posticipano il momento del primo figlio interrogandosi, in modo preoccupato, sulle possibilità di coesistenza delle due dimensioni.

L’equilibrio tra il mondo aziendale e familiare è anche e sempre più, una preoccupazione maschile. I cosiddetti “nuovi padri” come abbiamo visto, auspicano una paternità più consapevole, più vicina e temporalmente dedicata.


Lo stato attuale della gestione del genere in azienda varia a seconda della cultura aziendale. In alcune aziende l’elemento del genere non viene considerato valorizzando un approccio sostanzialmente egualitario. Tale modalità di gestione, non discriminante e quindi positiva, lascia però poco spazio alla lettura delle diverse competenze e soprattutto alla identificazione di diversi bisogni. In altre realtà permane una visione sostanzialmente maschile della carriera e viene data per scontata una difficoltà delle donne a raggiungere e mantenere posizioni gerarchiche elevate. In questa tipologia di aziende non si riscontrano donne ad alti livelli. Viceversa nei servizi ed in aziende a cultura tendenzialmente orizzontale con una filosofia di orientamento al cliente è più facile riscontrare un management ad femminile conseguentemente ad una valorizzazione implicita di competenze radicate in questo universo.



  1. Gestire il genere


L’azienda è un luogo sociale dove insieme alle regole formali ed ufficiali operano degli assunti impliciti che governano i limiti di accettabilità socialmente condivisi in quello specifico contesto. Dall’utilizzo del “tu” o del “lei” nelle conversazioni quotidiane, al modo di vestire, al più profondo modo di intendere la gerarchia, tutto ciò si inscrive in regole implicite, spesso inconsapevolmente condivise dal gruppo (Schein,1990 ; Bodega 1997 ).


In relazione all’argomento trattato due assunti di base impliciti hanno attraversato le organizzazioni. Il primo, già sottolineato precedentemente si riferisce all’uguaglianza dei generi. Tale principio non riguarda principalmente il versante delle pari opportunità, quanto la dimensione delle attese relativamente alla prestazione professionale. Queste attese sono “asessuate”. In realtà essendo maschili i paradigmi su cui si sono costruiti i modelli professionali ad alto livello, essi diventano l’unico ed implicito benchmark a cui uomini e donne in carriera devono adeguarsi. Questa considerazione altro non è che il rovesciamento dell’assenza della categoria del genere nella lettura dei fenomeni aziendali.


Un secondo assunto implicito che si vuole mettere in evidenza riguarda l’univocità dei tratti salienti dei sistemi premianti aziendali : quantitativi e di status. E’ questa una dimensione di attesa prevalentemente maschile, come sottolinea Hofstede (1989). La scarsa considerazione prestata ad altre tipologie di premi - flessibilità, servizi, tempi diversificati nel ciclo di vita, autorealizzazione - implica una lettura dei bisogni del personale per macro categorie e poco differenziata. Viceversa, molte delle considerazioni svolte finora fanno comprendere come la società, e le aziende che ne fanno parte, non possono attualmente essere lette con categorie univoche, ampie, fortemente rappresentate.


Da qui nasce l’esigenza di una management delle differenze che sappia muoversi in un universo non più univoco e sappia decodificare le istanze e i bisogni di quell’ invisible assett che molti definiscono come strategico per il futuro : le persone.

Il fatto che si stia affermando nella teoria e nella pratica della gestione del personale il metodo delle competenze con lo scopo di monitorare e gestire i “talenti” di ciascuna persona in azienda, mostra una attenzione agli aspetti soggettivi, ai piccoli numeri, che un tempo era impensabile. (Varchetta, 1993 -Buttignon, 1996 Camuffo 1996).


Questa attenzione potrebbe consentire di esplicitare le competenze al femminile che più frequentemente, per loro natura relazionale e di manutenzione dei conflitti, tendono a rimanere sullo sfondo (Piva, 1994). Esse, come abbiamo visto precedentemente, riguardano :

  • una maggiore capacità di gestire situazioni ad elevato ascolto e ad alta intensità di relazione ;

  • la capacità di flessibilizzare i propri comportamenti in relazione alle diverse esigenze organizzative ;

  • la capacità di “farsi carico” della dimensione di servizio e di orientamento al cliente ;

  • la capacità di arginare la dimensione conflittuale e di gestirla in modo generativo e orizzontale qualora si proponga.


Come già ampiamente sottolineato non si intende qui elencare una serie di competenze sicuramente appannaggio del genere femminile. Si vuole invece indicare la strada dell’ascolto organizzativo e della indagine delle competenze reali come strategia necessaria per individuare le migliori coerenze potenziali nello scambio tra persone e contesti organizzativi. In questo modo è possibile scoprire che le donne in azienda possono essere portatrici di competenze originali e interessanti.



Le constatazioni relative alle differenze devono essere viste alla luce delle tendenze organizzative. Esse possono essere sintetizzate attraverso tre parole chiave : leggerezza, autonomia e cooperazione. In particolare “il fabbisogno di cooperazione che caratterizza le nuove forme dell’organizzazione si esprime in principi organizzativi del ‘lavoro e produzione di squadra’, della diffusione di ‘informazioni collettive’ , della costruzione di ‘network informali’ interni all’organizzazione e in un marcato orientamento delle persone che sposti l’attenzione prevalente dalle prescrizioni del compito alle relazioni con gli altri soggetti del sistema” (Manzolini,1994).


Possiamo aggiungere a queste tendenze interne, un costante aumento dell’esigenza esterna di offrire strategicamente sempre più servizi, questo anche nei luoghi della produzione di beni che sempre più spesso sono arricchiti da servizi aggiuntivi.


In questo mutato contesto possono modificarsi i “vantaggi di reciproca utilità” (Bombelli, 1994) nel rapporto tra le imprese e il segmento femminile della popolazione. Un assunto di base operante ancora oggi in molte organizzazione è che le donne costituiscano un costo aggiuntivo in virtù della protezione assicurata dalla legge alla maternità. E’ importate ora vedere se è possibile individuare anche dei vantaggi in termini di competenze, derivanti dall’utilizzo di personale femminile.



Ancora il management delle differenze dovrà dotarsi di una ulteriore competenza : quella relativa alla lettura culturale delle organizzazioni. Gli attori organizzativi che diventano “viaggiatori” in altre culture possono comprendere la relativa plasticità della cultura di appartenenza. In questo senso, nell’integrazione sempre maggiore che diversi mondi aziendali hanno, si possono cominciare a evidenziare gli assunti di base relativi al genere. Il posto della donna nella società è un implicito condiviso che governa molte dinamiche all’interno dei gruppi. E’ necessario diffondere, innanzitutto tra il management e tra tutti coloro che abitano l’organizzazione, la consapevolezza dell’esistenza di questi assunti impliciti e della loro non univocità. Si potrà allora condividere il fatto che le organizzazioni fanno cultura e producono una visione particolare del genere e delle sue differenze.


Per concludere un altro aspetto importante riguarda l’obiettivo di ritessere la rete di ricompense in cui sono inseriti gli individui. Di questa rete, la gestione del tempo è il nodo centrale per l’altra metà del cielo della popolazione lavorativa. “Le donne esprimono sul tema dell’orario una precisa concezione del tempo di lavoro configurandolo, sia per l’azienda che per sé, come uno spazio per generare e produrre, come una risorsa da utilizzare e gestire che, se assume invece la forma del vincolo esterno intollerabile ed anelastico, non può non comportare conseguenze sul piano della qualità e della quantità del lavoro” (Avallone, 1989)

Se una delle parole d’ordine di questi anni è stata flessibilità, bisogna ora mettere in campo progettualità manageriali che interpretino la flessibilità in modo biunivoco, connettendo coerenze di bisogni tra persone e imprese.


Molte imprese, di diversi settori, stanno già attuando forme di orario e di lavoro originali. Si va dalla introduzione del telelavoro a forme di job sharing, a strutture di part time variamente articolate su orari e giorni della settimana ( Fondazione Seveso, Gender, in corso di pubblicazione). E’ un quadro interessante ed articolato quello che emerge con un unico denominatore : l’assenza di personale di alto livello. Questi accordi riguardano principalmente operai ed operaie e personale impiegatizio di livelli d’ordine.


Sarà interessante nel futuro verificare se le tendenze organizzative e le nuove dislocazioni fisiche del lavoro potranno aprire spazi di flessibilità anche per il segmento manageriale.


7. Conclusioni

Per concludere sviluppare un management delle differenze significa prendere in carico la dimensione culturale dei contesti organizzativi e cimentarsi nella progettazione articolata e diffusa di sistemi operativi aziendali superando logiche univoche e legate ai grandi numeri.


Il management in generale e la Direzione del Personale in particolare, da questo punto di vista, possono avere un grande ruolo nel progettare strumenti e nel diffondere culture gestionali che raggiungano gli obiettivi  sopra delineati attraverso:


  • una analisi accurata delle competenze individuali, in particolare di quelle più legate ai comportamenti organizzativi, che possono essere più segnate dall’ottica del genere. Questa esigenza aziendale di riconoscere i “talenti” e le potenzialità possedute, rimanda alla costruzione di strumenti e di comportamenti di ascolto molto diffusi, capaci di arrivare al singolo individuo.


  • ascolto dei bisogni delle persone per progettare soluzioni organizzative e sistemi premianti con un grado di coerenza più elevato tra persone e imprese. E’ questo un aspetto sottovalutato. I sistemi premianti hanno tradizionalmente il loro cardine su remunerazione, carriera e status. Poco si fa per cogliere e soddisfare bisogni più intrinseci al lavoro e, anche se estrinseci, meno tradizionali e quindi per ritessere i sistemi di premio. E’ anche questa una dimensione che, fatta salva l’equità percepita, potrebbe articolarsi su segmenti ristretti di personale, fino alla dimensione individuale. Per quanto riguarda le differenze di genere Hofstede (1898) sintetizza diverse esigenze che traduce poi in indicatori di analisi della mascolinità e della femminilità. E’ da tenere presente, inoltre, che le esigenze delle persone, in particolare delle donne, variano nel ciclo di vita. La dimensione di ascolto che si auspica è quindi continua.


  • la valutazione del tempo dedicato all’azienda, invece di essere visto come simbolo di dedizione e quindi valutato positivamente, può essere corroborata da una valutazione delle prestazioni che sia ancorata ai reali risultati. In questo modo è possibile progettare delle posizioni, anche ad elevato livello gerarchico, non necessariamente ancorate ad un tempo esteso e rigido.


  • articolazione dei tempi e dei luoghi del lavoro in una dimensione progettuale avanzata. Anche su questo versante è necessario superare la dimensione simbolica ancora fortemente operante che vede nella sede e nella giornata il luogo e il tempo in cui si presta la propria attività. In realtà, come da più parti viene affermato, lo svilupparsi di un lavoro prevalentemente legato alla conoscenza affievolisce queste necessità. Si tratta di sviluppare dei modelli organizzativi originali per ogni impresa in relazione alle tipologie di competenze e di know how impiegato, nonché in relazione alle reali necessità di integrazione organizzative. Una articolazione differenziata degli orari è un problema che si pone a livello sociale (Balbo, 1991) e a livello delle organizzazioni lavorative (Tempia, 1993). In entrambi i casi si tratta di progettare situazioni più coerenti tra fabbisogni individuali, organizzativi e sociali.


  • individuazione di strumenti di supporto individuale e di sviluppo di competenze personali nuovi, come ad esempio il mentoring (Karsten, 1994). E’ questa una dimensione interessante che può aiutare a dare legittimità a paure e preoccupazioni spesso gestite individualmente con sofferenza dalle donne, che nel mentore possono trovare un supporto professionale e personale. L’idea che qui si propone è di una donna più anziana, legittimata nel gruppo, che possa aiutare, come nella miglior tradizione archetipica, la giovane a crescere (Pinkola Estes, 1992)



Come già sottolineato la gestione delle persone in azienda è la risultante di sistemi operativi ufficiali ed espliciti e di comportamenti soggettivi che affondano le proprie radici nella cultura condivisa e nella psiche dei singoli soggetti. Un management delle differenze, oltre a strumenti adeguati, dovrà impostare una cultura attenta alla realtà, che utilizza modelli e schemi adattandoli, guardandosi dal farli diventare stereotipi non più modificabili.

Questa dimensione di cambiamento culturale e simbolico (Due Billings, Alvesson 1994), oltre a costituire un auspicio, dovrà diventare una sfida per le organizzazioni, ed i loro leader, attenti ai cambiamenti che sotto i loro occhi sono già in essere.






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