Indice
1. Obiettivi
2. Il contesto legislativi e di contesto in atto
3. La situazione della gestione del personale nella P.A.
4. Le caratteristiche delle organizzazioni di servizi
5. Un nuovo paradigma nella gestione del personale
6. Gestire le persone: le coerenze necessarie
7. Gli strumenti di gestione del personale
8. Conclusioni
Obiettivi
Il presente lavoro ha l’obiettivo di analizzare le problematiche connesse alla gestione del personale nella Pubblica Amministrazione, situandole nel contesto temporale attuale.
Tale momento è caratterizzato da due aspetti che hanno influenza sul tema in esame : da un lato le tendenze legislative che a partire dalla legge 142 del 1990, tracciano un iter coerente di tendenze in atto nella pubblica amministrazione ; dall’altro la necessità da parte delle singole organizzazioni di rivedere le modalità di relazione con il proprio personale.
E’ in questo scenario che la riflessione va situata..
Un secondo e non meno importante obiettivo è quello di definire i contorni della gestione del personale nella pubblica amministrazione, facendo tesoro di elaborazioni di ricerca rispetto al tema della gestione delle risorse umane. Da questo punto di vista si cercherà di partire con un approccio olistico alla gestione delle risorse umane per poi approfondire l’uso di diversi strumenti concretamente utilizzabili.
Infine si cercherà di adattare tali strumenti alle organizzazioni di servizi quali prevalentemente quelle della P.A., utilizzando le elaborazioni prodotte per aziende di questo tipo, ma di proprietà privata.
I cambiamenti legislativi e di contesto in atto
Per situare la riflessione che stiamo conducendo occorre soffermarsi sui grandi cambiamenti in atto nella pubblica amministrazione (Leonardi, Boccia 1997). In questi anni, a partire dal 1990, il legislatore sta operando con coerenza sia sul fronte istituzionale (compiti e responsabilità dei diversi livelli) sia su quello gestionale affermando alcuni principi, ma soprattutto introducendo nuovi strumenti.
Dal punto di vista istituzionale le logiche a cui si ispirano i cambiamenti possono sintetizzarsi con due parole d’ordine : federalismo e sussidiarietà. Come concretamente queste due parole d’ordine vengano poi attuate nei diversi comparti della pubblica amministrazione, non è materia di questo lavoro. E’ importante invece, per definire le tendenze in essere, cogliere come il federalismo, pur nelle molteplici forme che può assumere, risponde ad un bisogno di contestualizzazione locale della problematiche dello sviluppo economico. Il passaggio dal fordismo al post fordismo, la diaspora della grande impresa nella piccola e media ancorata ai distretti industriali, necessita di un reticolo qualitativo fornito dalla pubblica amministrazione, che non può che essere, parafrasando Mintzberg, “adhocratico “ (Bonomi, 1996, 1997).
Il principio di sussidiarietà, dal suo canto, afferma la scelta di avvicinare il più possibile all’utente finale, al cittadino, il riferimento istituzionale necessario nei rapporti con lo Stato. Questo significa un ridimensionamento delle strutture operative centrali, a favore di un decentramento, in diverse materie, mantenendo a livello centrale solo la parte riguardante la programmazione generale e i controlli di risultato.
A queste filosofie di fondo bisogna aggiungere le tendenze ai cambiamenti di paradigma gestionale per quanto riguarda le imprese pubbliche. Sotto la spinta del contenimento del debito pubblico e sulla scorta di una visione europea della finanza pubblica, si è progressivamente affermato, sia in termini di principio che di strumenti, il tema della economicità delle aziende pubbliche. Nei diversi comparti questo ha significato l’introduzione di norme di controllo più legate alla gestione operativa e con una responsabilità definita. (Zangrandi, 1995)
Sul fronte degli strumenti, anche qui in modo diversificato nei diversi comparti, possiamo parlare di una introduzione di sistemi di monitoraggio economico per centri di costo (Sanità ed Enti Locali), di una separazione più precisa della materia politico strategica da quella gestionale, dell’affermarsi dei contratti di diritto privato quale strumento di responsabilizzazione. (Rebora, 1993)
Come si vede il legislatore ha operato in modo coerente. Le leve che sono state azionate riguardano il disegno dei contenitori organizzativi. Ora si tratta di operare affinché i dettati legislativi che aprono prospettive di cambiamento siano assunti a livello decentrato - livello che abbiamo visto essere il perno della filosofia federalista e del principio di sussidiarietà - per trasformare le norme in opportunità. Di questo cambiamento potenziale una delle chiavi di volta risiede nell’introduzione di politiche coerenti e di strumenti aggiornati in tema di gestione del personale.
La situazione della gestione del personale nella pubblica amministrazione
“Volendo esprimere una valutazione generale sull’attuale stato dell’arte della gestione e politica del personale nel settore pubblico del nostro paese, non sembra particolarmente arrischiato costatare ciò che appare sotto gli occhi di tutti : le amministrazioni pubbliche non sono state sinora in grado di elaborare e condurre, nel loro insieme, e nemmeno ciascuna per conti suo una politica del personale degna di questo nome, o comunque vicina a ciò che normalmente si intende con questa espressione di derivazione aziendalistica.” (Rebora, 1995)
L’affermazione di Rebora, peraltro sostanziata da diversi altri studi citati, descrive in sintesi la situazione attuale in cui versa la gestione del personale nella pubblica amministrazione. Volendo osservare le tendenze, dobbiamo rilevare che il legislatore offre alcuni cambiamenti che possono utilmente essere interpretati a livello decentrato per iniziare a costruire delle politiche del personale.
Si allude a :
l’introduzione in alcuni comparti (Sanità ed Enti Locali) del controllo di gestione per centri di costo. L’attuazione di questo elemento complessivo dei sistema organizzativo è una condizione necessaria per la responsabilizzazione della dirigenza in relazione agli obiettivi di gestione ;
le norme sulla trasparenza (in particolare la legge 241/90, reiterata dalla Bassanini del 1997) e sulle responsabilità di procedimento . Entrambi questi aspetti introducono, con strumenti concreti, delle logiche di responsabilità ;
l’attuazione di un controllo di gestione consente anche di trasferire la logica del controllo stesso dagli atti ai risultati. Il rischio di una attuazione pedissequa della responsabilità di procedimento rischia di orientare a “curare le condizioni affinché i singoli procedimenti siano ben curati nelle loro fasi, senza riuscire ad arrivare alla qualità dell’esito di ogni specifico iter procedimentale”. (Costa, 1991)
la privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego e l’introduzione di quote si salario variabile legate alla produttività (Rebora, 1995)
le recenti riforme dei trattamenti previdenziali equiparano fortemente il dipendente pubblico a quello privato cambiando le basi delle logiche di scambio che sono state agite negli anni passati.
E’ in questo scenario che si inserisce con una urgenza sempre crescente la necessità di costruire i contorni di una nuova gestione del personale. (Ruffini, 1992). Questo significa innanzitutto identificare i soggetti che devono formulare le politiche di gestione e coloro che le devono attuare attraverso la progettazione di strumenti concreti (Costa, De Martino, 1985). Facendo tesoro dell’esperienza del settore privato è necessario che il pubblico transiti dalla fase di Amministrazione del personale a quella di Gestione per dirigersi rapidamente verso la Direzione e Sviluppo delle Risorse Umane. (Costa,1992)
Tale processo è molto differenziato nei diversi comparti. Negli Enti Locali e nella Sanità l’introduzione di responsabilità di vertice (City manager e Direttori Generali) fa si che esistano i luoghi organizzativi deputati alla progettazione delle politiche. Diverso è il caso della attuazione e quindi della progettazione degli strumenti concreti. La Direzione del personale, in quanto tale, è presente solo in alcuni Comuni di rilevanti dimensione, mentre spesso nella Sanità è accorpata alla Direzione Amministrativa. In questi comparti, anche se ancora agli albori, la strada appare tracciata.
Nella scuola, infine, ciò che è stato descritto come pre condizione per il cambiamento, non è stato ancora assunto in termini chiari dal legislatore. Alcuni principi di fondo quali la trasparenza e la privatizzazione del rapporto di lavoro sono stati affermati, mancano viceversa alcuni tasselli importanti per concretizzare una autonomia e una responsabilità reali.
Dal punto di vista economico non esiste nessun controllo del rapporto costi/benefici in quanto i soggetti erogatori di risorse sul singolo istituto sono molteplici e senza alcun passaggio informativo tra loro. Se non è pensabile di riaccorpare la responsabilità economico - gestionale tout court su una figura, plausibilmente quella del Capo di Istituto, si può almeno intervenire in virtù del principio della trasparenza, ad aggregare i costi in un’unica gestione, anche se l’Ente pagatore risulta poi un altro. Si tratta quindi di creare un bilancio reale della singola scuola su cui confluiscano i costi che oggi rimangono occulti, perché attributi a diversi soggetti istituzionali per competenza (Ministero Pubblica Istruzione, Ministero Tesoro, Province e Comuni). Mancando questo quadro informativo di sintesi non esiste nessun soggetto né istituzionale, né organizzativo responsabile del monitoraggio dei costi. Questa negligenza a cascata pervade tutto il personale della scuola.
Seguendo la tendenza in atto negli altri comparti è inevitabile attribuire tale responsabilità ad una figura gestionale “alta” che potrebbe configurarsi con il Capo di Istituto che ha in gestione una certa “massa critica”, così come prefigurato dalle norme sul riassetto dei plessi scolastici, che identificano le dimensioni degli istituti per gestire i quali sarà riconosciuta la dirigenza.
Il comparto scuola mantiene anche una caratteristica peculiare rispetto al personale : il fatto che reclutamento, selezione e allocazione siano gestiti centralmente senza nessuna influenza sul processo del singolo istituto. Questo processo è lungo, costoso, farraginoso, poco efficiente. Le proposte di ridisegno della dimensione di responsabilità su questi aspetti, nei diversi soggetti istituzionali, sono troppo complessi per essere liquidati in poche battute. L’evidenza è di una dimensione da superare : con quali responsabilità rispetto alla singola scuola è materia di riflessione. Certo che, rovesciando il ragionamento, non è più pensabile in un ottica di autonomia la totale assenza del dirigente diretto superiore nella fase di selezione ed inserimento.
Le caratteristiche delle organizzazioni di servizi
Dal punto di vista organizzativo le organizzazioni pubbliche che erogano servizi presentano della caratteristiche che è opportuno sottolineare per non effettuare una trasposizione meccanica degli strumenti di gestione del personale da organizzazioni, quelle produttive ad esempio, che presentano, problematiche differenti.
Stiamo qui parlando in particolare delle organizzazioni che forniscono servizi erogati da persone e diretti a persone. Ad esempio, la sanità, la scuola o gli ambiti comunali di servizi alla persona.
Queste realtà sono dei sistemi organizzativi caratterizzati da una forte valenza professionale. “In questo caso la professionalità degli operatori rappresenta l’elemento centrale di attenzione per le politiche del personale ; ci si riferisce alla professionalità considerata in senso allargato, comprensiva quindi non solo delle capacità tecniche in senso stretto, ma anche degli aspetti riferiti alla capacità di interazione con l’utenza e di collaborazione nell’ambito di un sistema organizzativo.” (Rebora, 1995)
Gli insegnanti, insieme con i medici, sono tra gli esempi usati da Mintzberg per delineare la burocrazia professionale (Mintzberg, 1979). Con questa configurazione si descrive una situazione in cui dei professionisti devono diagnosticare una situazione per decidere quale delle strade possibili seguire. Tali strade vengono codificate dall’organizzazione attraverso procedure e/o protocolli che contengano l’area di discrezionalità dei singoli. La crucialità professionale consiste quindi nell’identificare quale è tra i diversi possibili il pattern di azione utile in quella circostanza, di circoscriverlo da un repertorio e, quindi, di seguirlo. Da qui la coniugazione di un termine quale burocrazia con un altro di segno opposto, professionale.
Una affermazione ovvia, ma forse non sufficientemente metabolizzata e quindi assunta dalle strutture organizzative pubbliche, riguarda la centralità delle persone, in particolare in una organizzazione di servizi, nel determinare la qualità del servizio erogato.
L’affermazione “il vero patrimonio delle imprese sono le persone” è facilmente riscontrabile anche in elaborazioni riguardanti le organizzazioni produttive (Guatri 1985, 1989, Itami, 1987). A maggior ragione tale consapevolezza deve pervadere le organizzazioni di servizi che sono erogati da persone e diretti a persone.
Nelle organizzazioni di servizi è frequente incontrare professional che hanno le seguenti caratteristiche :
Si ritengono membri di gruppi di pari. La gerarchia e la leadership viene accettata solo se accompagnata da una competenza professionale riconosciuta
Respingono la burocrazia vista come una inutile ingessatura al cuore del mestiere che il momento di erogazione del servizio (Salvemini, 1988)
Sono fedeli alla professione
Ricercano l’autonomia
Sono gratificati dal rapporto con gli utenti / clienti (Pennarola, 1990)
Il quadro tracciato in realtà non si adatta completamente alle organizzazioni pubbliche. La costruzione dell’identità professionale è molto più casuale e frammentata rispetto ad altre figure di professional classiche. Si pensi ad esempio ai medici o ai giornalisti che hanno un loro ordine professionale e il cui apprendistato avviene il più delle volte seguendo un professionista affermato.
Un nuovo paradigma nella gestione del personale
Tenendo conto delle caratteristiche dei diversi comparti della P.A. è possibile tracciare delle linee guida per l’introduzione di politiche e di strumenti di gestioni del personale che sviluppino la coerenza necessaria a gestire una delle risorse chiave per lo sviluppo delle organizzazioni: le persone.
L’elemento di “coerenza” è una dimensione chiave per progettare qualsiasi aspetto organizzativo. Essa si deve riscontrare a diversi livelli, nella composizione dei diversi aspetti che compongono la globalità organizzativa:
strategia organizzativa
situazione organizzativa, in particolare equilibri tra aspetti di disegno organizzativo e sistemi operativi
culture prevalenti all’interno dell’organizzazione
La Pubblica amministrazione, abituata da sempre ad operare su atti e procedure, rischia di perdere il perdere il significato del proprio agire.
Spesso manca quella che in gergo aziendale viene definita la “missione”, ovvero la dimensione alta, di senso generale, dell’esistere organizzativo. Una strategia inesistente non è comunicabile e quindi non fornisce il contenitore di significato collettivo a cui ancorarsi per sviluppare un significato soggettivo professionale. (Bodega, 1988)
Il presupposto per sviluppare una politica organizzativa e per progettare coerenze conseguenti sta nella definizione di una opzione strategica, opzione che, pur essendo situata all’interno di un mandato istituzionale definito dalle leggi e dai regolamenti, sviluppi una contestualizzazione specifica territoriale.
Questo vale in modo diverso nei diversi comparti. Probabilmente l’Ente Locale è quello più costretto, anche per sviluppare una politica riconoscibile, a definire una strategia. La Sanità, all’interno dei processi di ristrutturazione da cui è attraversata, deve necessariamente costruire una dimensione strategica per ricostruire i contenitori di significato delle nuove realtà che si vengono configurare.
Nella scuola la definizione strategica è necessaria anche a livello decentrato perché non è possibile oggi sviluppare una politica formativa centrale senza tenere conto delle profonde differenze locali.
L’antinomia tra globale e locale, come sottolineano alcuni autori (Bonomi, 1997) non si risolve a favore di uno dei due poli : la constatazione della globalizzazione in atto a livello economico non porta come conseguenza un appiattimento a livello locale. Viceversa è proprio dall’integrazione economica, culturale e politica da cui scaturisce l’eccellenza di alcuni distretti. La P.A. non può essere un soggetto assente dall’osservazione e dall’interpretazione delle dinamiche locali, con la conseguente necessità di dare un proprio contributo in termini di culture generali e professionali.
La definizione strategica, oltre ad essere un aspetto fondante l’identità dei diversi soggetti della P.A. sul territorio, è la base su cui costruire :
un assetto organizzativo, dei ruoli e dei sistemi operativi coerenti
una comunicazione chiara ed efficace sia verso gli utenti/clienti potenziali che verso il personale interno.
Passando dalla definizione di una strategia allo sviluppo di una politica del personale a supporto, bisogna porre attenzione a non cadere in una trappola di progettazione lineare che può essere schematizzata nel seguente modo :
Definizione strategie → Adeguamento delle politiche del personale
Questo approccio dà per scontata una possibilità di intervento sulle persone immediato, a casualità lineare. Non tiene conto della fisiologica resistenza al cambiamento e, soprattutto, parte da una visione astratta delle persone. L’impostazione che si suggerisce, viceversa, disegna il risultato su ciò che esiste, facendo tesoro delle competenze accumulate, e tracciando il delta di cambiamento possibile tra ciò che è auspicabile in astratto e ciò che è già possibile a risorse date.
Schematizzando la situazione risultate è questa :
Analisi delle competenze ⇔ Definizione strategie ⇔ Progettazione politiche del personale
E’ dalla interazione sistemica di questi momenti che è possibile sviluppare le coerenze necessarie per operare un cambiamento sostenibile (Bombelli, 1997).
Gestire le persone : le coerenze necessarie
Lo sviluppo di una politica del personale deve tenere presente che gli ambiti in cui organizzativamente si sostanzia la gestione delle persone sono tre :
aspetti strutturali : essi riguardano sia il gioco dei ruoli rispetto alla gestione delle persone - il chi fa cosa tra la Direzione del Personale e la linea delle imprese private, sia la descrizione dei copioni organizzativi dei diversi soggetti ;
aspetti di regole, o sistemi operativi, che formalmente e ufficialmente costituiscono il framework in cui si opera
le culture organizzative che possono a loro volta distinguersi in stili di leadership o di direzione e culture organizzative diffuse, intendendo con questo termine ciò che è “accettabile” o addirittura auspicato nella coscienza collettiva dell’organizzazione in esame
Gli aspetti strutturali vanno affrontati nelle due direzioni delineate. In primo luogo si tratta di rispondere alla domanda : chi costruisce politiche e strumenti di gestione.
Nella P.A. vi è una carenza “in organigramma” di ruoli a cui affidare la gestione del personale. La figura del Direttore del Personale è rintracciabile solo in alcuni comuni di notevoli dimensioni. Negli altri si amministra il personale e la gestione può essere assunta da qualche assessore di buon cuore o desideroso di trovare dei “do ut des” politico organizzativi con cui gestire clientele.
Nella Sanità non è previsto un Direttore del Personale, tra l’altro la risorsa più critica in assoluto, e solo alcuni Direttori Generali particolarmente illuminati si stanno ponendo il problema accogliendo la gestione nel loro staff.
Una seconda direzione non marginale su cui vale la pena di riflettere riguarda la stretta connessione tra politiche organizzative e politiche del personale (Manzolini, 1992). In uno sviluppo integrato di queste due dimensioni, che costruiscano “l’anello mancante” tra persone e organizzazione, il piano da sviluppare dovrebbe essere costituito dalle seguenti fasi :
Individuazione dei comportamenti strategici aziendali. E’ la fase che precedentemente abbiamo sottolineato essere di importanza fondamentale ;
Pianificazione dei fabbisogni organizzativi prevedibili, identificazione dei fabbisogni futuri di conoscenze, capacità e stili cognitivi delle risorse umane aziendali ;
Composizione e integrazione delle due categorie di fabbisogni in un sistema pianificato di famiglie professionali
Adeguamento delle competenze necessarie sia a livello quantitativo che qualitativo.
La riflessione riguardante l’ “anello mancante” è molto importante in quanto suggerisce la necessità di mantenere integrate e coerenti le pianificazioni organizzative e del personale. Questa pianificazione integrata è il frutto di una organizzazione vitale, che si interroga sul proprio significato di esistenza e sul proprio futuro. Una organizzazione che ha un vertice che si ferma a pensare e ad osservare mette in atto un apprendimento organizzativo, che altrimenti sarebbe impossibile (Argyris, Schon, 1978). E’ questa purtroppo una realtà molto diffusa della P.A:, dove gli errori che si commettono, anche se al momento provocano delle crisi e dei problemi, non vengono capitalizzati in apprendimento.
I sistemi operativi come già sottolineato costituiscono gli aspetti formali e condivisi dai membri dell’organizzazione. Essi riguardano tutte le norme che regolano la vita organizzativa. Per quanto riguarda la gestione del personale si è abituati, soprattutto in ambito pubblico, a considerare come ufficiale le norme amministrative e contrattuali, decise da altri al di fuori dell’organizzazione, e applicate in modo privo di discrezionalità a livello decentrato.
In realtà oltre le norme generali, deve poi esistere una applicazione decentrata che contestualizzi e quindi renda efficiente norma stessa.
Per fare un esempio un contratto collettivo descrive le posizioni organizzative di massima. Ogni singola realtà dovrà poi adattare lo schema proposto dal contratto alla propria realtà, percorrendo un itinerario di definizione dei ruoli che non piò prescindere dalla realtà specifica.
Quindi i sistemi operativi accentrati descrivono una serie di regole generali entro cui è possibile, se non indispensabile, operare una contestualizzazione.
Le culture organizzative possono essere definite come l’insieme di “assunti di base e convinzioni condivise dai membri dell’organizzazione, che agiscono inconsciamente e che definiscono la visione “scontata” che una azienda ha di sé stessa e del suo ambiente” (Schein, 1985).
Per opportunità di comprensione dividiamo la cultura relativa agli stili di direzione esercitati, dalla cultura diffusa dei collaboratori. In realtà queste due dimensioni sono complementari e reciprocamente influenzantesi.
Lo stile di leadership attuato dai ruoli gerarchici è un tassello fondamentale nella gestione del personale. In prima battuta è sufficiente considerare se esiste, come percezione collettiva, qualcuno che “si prende cura” del personale.
E’ interessante sottolineare come uno dei problemi più sentiti nella imprese pubbliche sia questa assenza di gerarchia e responsabilità, quasi che la relativa strumentazione concreta di gestione del personale accessibile ai capi diretti, abbia indotto un abbandono anche della parte personale - e quindi culturale - di gestione. In altre parole un assunto di base vigente nei comportamenti dei dirigenti pubblici può essere tradotto in questo “Non possiamo fare niente per il nostro personale, non abbiamo nessuno strumento (economico), quindi non possiamo responsabilizzare e gestire un sistema premiante”. Da questa considerazione di base scaturiscono spesso dei comportamenti di assenza o di lassismo che rendono la presenza della gerarchia formalmente burocratica.
Questo è uno dei tasselli fondamentali per comprendere come le organizzazioni pubbliche esprimano spesso una identità rifiutata (Rebora, 1995) o addirittura una identità negata (Bombelli, 1997)
L’assenza di un ruolo di gestione, di un leader, di un punto di riferimento è la chiave di volta per disperdere il significato organizzativo.
Possiamo sottolineare come il leader abbia una funzione preminente nella creazione di una identità culturale e di progettazione di contenitori di significati, in cui le persone possano elaborare la propria identità personale e professionale.
Le identità negate, sia a livello personale che organizzativo, sono quelle prive di sensemaking, oppure con significati deboli, in cui è difficile riconoscersi. (Weick, 1997)
A livello collettivo le dimensioni culturali condivise sanciscono ciò che è appropriato nell’organizzazione in esame. L’appropriatezza riguarda moltissime forme di comportamento individuale e collettivo. Per fare degli esempi il modo di vestire, il modo di comunicare, il ritardo con cui si inizia una riunione, e così via, sono tutti ambiti che possono essere diversi nelle differenti realtà organizzative. Ciò che è accettato come normale, costituisce un utile riferimento per comprendere i valori condivisi.(Goffmann, 1971, Alvesson,Berg, 1992).
Nella nostra esperienza di “viaggiatori” all’interno delle diverse organizzazioni appare con evidenza che i regimi di appropriatezza variano nelle diverse realtà. In alcune esiste un etica del lavoro condivisa per cui vengono evitati (e sanzionati dal senso comune) comportamenti poco orientati al servizio come forme di assenteismo, prolungamenti di vacanze artificiosi, ritardi e così via. In altre realtà viceversa, questi comportamenti sono tollerati dai più che, magari non praticandoli personalmente, giustificano i colleghi che li mettono in atto. Su questo particolare aspetto abbiamo osservato come lo stile di direzione sia determinante. L’esplicitazione pubblica di ciò che è consentito e di cosa non lo è, il richiamo personale, la presenza attiva della gerarchia induce ad un confinamento dei comportamenti patologici dal punto di vista organizzativo ad un livello infimo e quindi accettabile.
Da questo punto di vista non sono gli strumenti, anche contrattualmente esistenti, i detrattori di comportamenti scorretti ma esclusivamente le culture diffuse che sono saldamente ancorate agli stili di leadership adottati (Schein, 1985).
Per concludere gli aspetti che abbiamo descritto devono essere integrati da necessarie coerenze : la divisione delle mansioni, i ruoli che il copione organizzativo riserva ai diversi abitanti dell’organizzazione - quella che è stata definita struttura di base - , le regole che governano la convivenza organizzative ed infine le culture presenti hanno un equilibrio che deve essere progettato e gestito. L’eccellenza in una di queste parti non è sufficiente per l’efficienza complessiva.
In particolare nella Pubblica Amministrazione si tratta di lavorare su tutti questi fronti, sapendo che il livello accentrato dovrà fare la sua parte modificando i sistemi di regole macro. A livello decentrato rimarrà la responsabilità di costruire un cultura di gestione delle risorse umane che riconosca nei comportamenti della gerarchia un aspetto imprescindibile della costruzione dei significati collettivi.
Gli strumenti di gestione del personale
Secondo la prospettiva che stiamo seguendo è praticamente impossibile progettare degli strumenti di gestione del personale, senza aver definito le logiche di fondo in cui gli stessi vanno inseriti. In altri termini la gestione del personale non è quasi mai un problema tecnico, ma una scelta strategica condivisa dalle direzioni organizzative.
Fatte salve, quindi, le riflessioni precedenti si vuole a questo punto passare in rassegna gli strumenti tecnici per osservare lo stato dell’arte ed avanzare alcune proposte di potenziamento.
Il reclutamento e la selezione
E’ questo un ambito, come osservato precedentemente, assolutamente negletto nella scuola.
I punti di criticità più evidenti sono due :
la dimensione accentrata del reclutamento e della selezione : il giudizio che qui si esprime è innanzitutto organizzativo. In un momento contingente in cui le organizzazioni devono flessibilmente adattarsi a mutate condizioni di contesto risulta antistorico utilizzare modalità organizzative che ignorano i fabbisogni delle singole realtà. Il trasferimento sul singolo istituto delle responsabilità di reclutamento e selezione risulta attualmente difficilmente proponibile . Si traterrà di individuare delle vie intermedie tenendo presente che la tendenza da salvaguardare non potrà essere che un decentramento forte delle responsabilità. Se si osservano gli altri comparti della Pubblica Amministrazioni, ogni Ente effettua il reclutamento e la selezione, fatte salve le recenti disposizioni in materia di mobilità che consentono un risparmio considerevole. Tali disposizioni potrebbero essere utilmente estese al personale della scuola che, come vedremo successivamente, esercita una professione molto logorante che ha quindi necessità di sbocchi alternativi all’aula.
la seconda crucialità riguarda le modalità di effettuazione del concorso, sia per quanto riguarda le prove che per i criteri di valutazione delle stesse. Una prima osservazione di massima riguarda il fatto che i concorsi per insegnanti riguardano temi (contenuti) che esplorano le conoscenze delle persone, in alcuni casi si arriva ad indagare sulle conoscenze relative alle metodologie didattiche. La configurazione delle prove di selezione in questi termini esprime un duplice limite. Primo non è mai stata fatta una riflessione compiuta sulle competenze necessarie a svolgere il ruolo dell’insegnante. Secondo si assume che la selezione riguarda esclusivamente l’ambito delle conoscenze.
Per uscire dalla critica ed aprire un fronte progettuale è necessario affrontare questi due limiti. Il primo lo vedremo in un punto successivo in cui si cercherà di proporre una job decription dell’insegnante per mettere a punto una riflessione su quell’anello mancante organizzativo (Manzolini, 1992) - totalmente mancante nella scuola - che è base necessaria per costruire un itinerario coerente di selezione (Brunet, 1992 - Auteri, Busana, 1985)
Il secondo deve essere affrontato articolando le dimensioni di selezione in conoscenze, abilità e comportamenti necessari nello svolgimento del ruolo professionale identificato. Tale riflessione assume una non uguaglianza delle persone per quanto riguarda non sole le conoscenze, ma anche le attitudini a svolgere un determinato lavoro. (Vaccani, 1992)
E’ questa una dimensione rifiutata nel pubblico dove, nella maggior parte dei casi, un malinteso senso dell’egualitarismo ha impedito di affrontare il nodo attitudinale come precondizione per una prestazione eccellente.
Fatto salvo un reclutamento trasparente, la selezione ha lo scopo di identificare la miglior coerenza possibile tra prestazione attesa e persona in esame. In una situazione quale è quella scolastica dove il servizio reso è, come più volte sottolineato, erogato da persone e rivolto a persone, la dimensione attitudinale deve essere vagliata in modo competente per impedire una deformazione del servizio atteso.
E’ questa opzione di coraggio che non solo la scuola, ma tutta la pubblica amministrazione deve compiere il più velocemente possibile. Anche all’interno delle coordinate legislative esistenti è possibile attuare un processo di selezione più ancorato alle competenze da selezionare. (Bombelli, Paradiso, 1999)
Inserimento
Il momento dell’inserimento di una nuova risorsa all’interno di una organizzazione è un momento simbolico in cui si conferisce o meno un immediato significato di appartenenza. Questa semplice affermazione è sempre più patrimonio della scuola per quanto riguarda gli studenti: in molteplici forme infatti si sviluppano iniziative di accoglienza ben progettati e gestiti.
La stessa attenzione non è riservata all’insegnante di nuova acquisizione. Una spiegazione potrebbe essere trovata nella dimensione centralizzata di allocazione delle risorse umane che ha fatto radicare un’idea di fungibilità delle persone.
In realtà si trascura il fatto che la dimensione simbolica può essere utilizzata anche in modo molto semplice, ad esempio creando momenti, ufficiali o meno, in cui si presenta il collega agli altri e gli si fornisce un quadro dell’istituto nel quale si troverà ad insegnare. Questa attenzione diventa tanto più importante quanto si presentano persone destinate definitivamente o per un lungo periodo.
Oltre a questo vi è il problema di un inserimento in un contesto che dovrebbe avere sviluppato una dimensione strategica – il Piano Educativo di Istituto, la Carta dei Servizi – oltre che piani organizzativi specifici e figure professionali originali. Queste informazioni devono essere comunicate al nuovo inserito, altrimenti costretto a raccoglierle gradualmente e in modo frammentario nel corso della sua attività.
Un passaggio ulteriore, di più difficile attuazione, riguarda le eventuali competenze distintive, che dovrebbe avere il personale di una determinata organizzazione. Questa integrazione di competenze può avvenire attraverso due strumenti: la formazione e il tutoring. In molte aziende al personale neo assunto si propone un corso di inserimento organizzativo in cui oltre a passare le informazioni rilevanti, si lavora sugli aspetti di competenza ritenuti basilari ed irrinunciabili per far parte di quella organizzazione. Una dimensione importante soprattutto per i docenti giovani potrebbe essere un corso base sulla didattica, seguito da un affiancamento di una docente più anziano che effettua ilruolo di supervisore o di “mentore”. (Quaglino, Cortese, 1997).
La descrizione delle posizioni
Nel contratto collettivo nazionale vengono descritte sostanzialmente tre posizioni : Capi di istituto, Personale docente, Personale amministrativo, tecnico e ausiliario.
Per quanto riguarda il capo d’istituto la dizione è sintetica : “Assicura la gestione unitaria dell’istituzione scolastica nel perseguimento dell’obiettivo della qualità e dell’efficienza del servizio scolastico”.
L’ottica di progettazione delle posizioni che si vuole suggerire tiene conto del confronto tra il metodo delle posizioni e quello delle competenze. (Varchetta, 1993) In particolare sembra interessante non solo descrivere ex ante cosa dovrebbe fare una determinata posizione, ma indagare cosa concretamente fa una persona nell’ambito di una posizione organizzativa, in modo da evidenziale anche gli aspetti nascosti del lavoro. Questo approccio è dinamico e consente di rielaborare la posizione nello sviluppo organizzativo e professionale dei soggetti coinvolti.
Attualmente le competenze del capo d’istituto sono relativamente “povere” per la poca autonomia concessa a livello decentrato. Esse sono destinate ad arricchirsi con la concessione di ulteriori spazi di discrezionalità.
Le aree che la figura professionale deve presidiare sono quelle tipiche delle competenze manageriali :
area strategica : insiste su questa area la conoscenza del territorio, dei concorrenti, delle tendenze in atto con una definizione conseguente di strategia di scuola ;
gestione delle risorse :
economiche. Sic stantibus rebus esistono poche possibilità di aumentare le risorse in ingresso e di attuare una pianificazione e un controllo di tipo finanziario e di gestione. E’ comunque un’area ineludibile nella prospettiva dell’autonomia. Saranno da definire tempi e modi : in ogni caso le responsabilità economiche aumenteranno
strumentali. Con una progressiva autonomia economica sarà sempre più competenza della figura gestionale attuare dei piani di investimento che assicurino una adeguata quantità e qualità delle risorse strumentali in genere (edifici, tecnologia etc.)
umane. La definizione di una parte di salario accessorio inizia a dare al capo d’istituto una responsabilità concreta di gestione. Questa è solo una parte, come già trattato precedentemente, della responsabilità in merito alla gestione delle persone. A questo si aggiunge la capacità di motivazione, di creazione di un buon gruppo, di offerte formative di scuola che aggiungano competenze professionali specifiche.
Area organizzativa : in questo ambito vengono inserite le competenze di diagnosi e riprogettazione organizzativa necessarie per mantenere aggiornata una organizzazione complessa
Il personale docente. Il contratto recita : “Il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze disciplinari, pedagogiche, metodologiche - didattiche, organizzativo - relazionali e di ricerca, tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano ed approfondiscono attraverso il maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio, di ricerca e di sistematizzazione della pratica didattica”.
Anche in questo caso per uscire dalle secche di una descrizione che poco aiuta a definire con chiarezza le competenze necessarie ad un docente proviamo a proporre una nuova classificazione che rilevi le competenze oggi erogate.
L’attività del docente di muove in alcuni ambiti definiti, che possono essere visti come tre livelli logico, il successivo superiore a quello che lo precede:
Nella didattica dove si possono distinguere le attività di progettazione, esecuzione e verifica di un percorso formativo;
Nella dimensione di integrazione della propria attività con altre in riferimento al sotto sistema classe,
Nella dimensione di integrazione della propria attività con altre in riferimento al sotto sistema scuola.
Da questi ambiti si possono tracciare le necessarie competenze richieste sia in termini di conoscenze che di abilità.
Un procedimento analogo di riflessione sulle posizioni richieste da una organizzazione scolastica orientata ai risultati, andrà svolta per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario.
La valutazione di prestazioni
E’ questo un punto di forte contrasto e culturalmente poco accettato nella scuola, anche se nei fatti ci si sta sempre più rendendo conto dell’imprescindibilità di questa fase. Soprattutto è diffusa la convinzione della non valutabilità della professione docente. Questo tema va allora affrontato gradualmente, in modo non minaccioso, per ridurre il rischio di impatto negativo sulla quotidianità organizzativa.
E’ utile lavorare, magari attraverso l’utilizzo dello strumento formazione, facendo costruire dai docenti stessi le aree di valutazione e i criteri utilizzabili, non tanto per una sanzione individuale, quanto per lo sviluppo di prestazioni eccellenti.
Quello dei criteri è il vero nodo da affrontare per sviluppare un sistema di valutazione di prestazioni. Essi saranno tanto più chiari e condivisibili quanto la mansione è rivolta verso un output produttivo e manifatturiero dove c’è un oggetto concreto sul quale dirigere le osservazioni; più faticosamente i criteri si possono evincere da prestazioni per loro natura legate al momento di erogazione, quindi soggettive, e con una dimensione qualitativa rilevante.
In questi anni lo sviluppo del settore terziario ha fornito l’occasione poer sedimentare numerose esperienze relative alla gestione del personale in aziende di servizi, paragonabili per obiettivi e prestazioni alla scuola (Pennarola, 1992 – Morelli, 1992)
Valutazione del potenziale e sviluppo carriere
Entrambi questi aspetti sono pressoché assenti nella scuola. E’ opportuno comunque svolgere una riflessione intorno ad essi per due ordini di motivi.
Il primo è relativo alla mancanza di figure professionali diverse tra il Capo d’Istituto e il personale docente. Tale carenza è già stata parzialmente corretta con l’introduzione delle figure di supporto al capo d’istituto. E’ questa una importante occasione progettuale per definire un organigramma coerente con le strategie d’Istituto enfatizzando i ruoli di integrazione e di supporto specialistico.
Il secondo ordine di motivi che pone questo aspetto al centro dell’attenzione riguarda la durata prevista della prestazione in quanto il recente accordo sulle pensioni ha allungato di molto la vita lavorativa degli insegnanti.
A fronte di questo è necessario tenere presente che la professione insegnante, come molte altre legate ad uno stretto rapporto con l’utenza, può essere, in misura diversa per le diverse persone, piuttosto logorante.
E’ necessario fornire allora delle opportunità di cambiamento che possono essere verticali, in una prospettiva di sviluppo carriere, o laterali, in una prospettiva di mobilità.
La scarsa attenzione posta allo sviluppo, così come la selezione più quantitativa che qualitativa, sono indicatori di una assenza di “cura” organizzativa verso la professionalità delle persone.
Infine è importante sottolineare come, secondo i principali studi al riguardo, la motivazione individuale al lavoro, per mantenersi elevata, deve affrontare task professionali a complessità crescente (Quaglino 1990).
Per concludere è arrivato il tempo in cui è necessario farsi carico delle competenze nella scuola in modo articolato e completo.
Per fare questo non si può continuare a pensare alle singole posizioni in modo statico, ma si tratta di articolare un insieme di posizioni differenziate e di percorsi possibili che tendano a coniugare le esigenze organizzative con quelle di sviluppo professionale delle diverse persone.
Per fare questo è necessario dotarsi di un minimo di tecniche di valutazione del potenziale per supportare il modo adeguato i percorsi di sviluppo.
La valutazione del potenziale ha anche lo scopo di self assessment con cui aiutare le persone a scoprire le proprie attitudini più autentiche.
Questa prospettiva deve aprire anche i confini delle singole realtà in una concezione della mobilità, non solo tra tutta la Pubblica Amministrazione, ma anche tra diversi settori, che venga concepita come opportunità e non solo come rischio.
Formazione
La formazione è indubbiamente uno degli strumenti più utilizzati nella gestione del personale della scuola fino ad oggi.
L’impressione è che la formazione nella scuola abbia avuto una offerta di formazione a cui ha risposto con adesioni prevalentemente soggettive. Le attività sono state proposte da agenzie esterne con una concezione della formazione “a catalogo”, mentre si ritiene, come sta già avvenendo in altri ambiti organizzativi, che sia attualmente cruciale transitare ad una offerta formativa “su misura”.
Da qui scaturisce la necessità di progettare una formazione rivolta alla scuola che persegua due obiettivi:
Il primo di natura simbolica, che si raggiunge quando la formazione si rivolge ad un gruppo in quanto tale per aiutarlo a riconoscere i confini della propria identità;
Il secondo di contenuto: l’attività formativa interna agli istituto scolastici può, o meglio deve, spostare i propri obiettivi orientandosi su contenuti organizzativi e non solo didattici. Attraverso l’attività formativa è possibile costruire un lessico comune e delle mappe cognitive condivise, di valido supporto alle attività quotidiane. Da questo punto di vista la formazione è uno strumento essenziale per la gestione del cambiamento oggi in atto.
Contestualizzare l’attività formativa consente di svolgere il primo dei passaggi necessari alla progettazione – l’analisi del fabbisogno (Quaglino, Carozzi, 1981) in modo molto ancorato agli stili cognitive e alle culture realmente esistenti tra i potenziali partecipanti (Bombelli, 1997).
Sistema Premiante
Quando si parla di sistema premiante il pensiero di chi opera nella pubblica amministrazione corre immediatamente agli aspetti retributivi.
Vorremmo invece richiamare l’attenzione sul fatto che il rapporto tra una organizzazione e le persone che ad essa prestano la loro opera si muove su diversi fronti: un rapporto di scambio economico, un rapporto di scambio psicologico e un rapporto di appartenenza (Airoldi, 1992).
Data questa premessa è evidente come il sistema di premio/sanzione debba essere inteso nella sua complessità, senza isolare i singoli elementi costitutivi.
Per quanto riguarda gli aspetti retributivi, in linea con le tendenze evidenziate in tutto la Pubblica Amministrazione, anche nel comparto scolastico sono state stanziate quote di salario variabile per il sostenimento delle attività aggiuntive rispetto a quelle normalmente erogate.
Questa è una prima scelta simbolica per sostenere una allocazione ragionata su criteri individuati delle quote variabili, evitando le inutili, quanto demotivanti, distribuzioni a pioggia. Inoltre una maggiore trasparenza sugli aspetti retributivi, ma anche su vantaggi di tempo flessibile o altri benefits, potrebbe consentire un paragone concreto tra lke diverse posizioni e i diversi comparti, uscendo da interpretazioni soggettive spesso superficiali.
Bisogna tuttavia valutare con attenzione gli aspetti premianti intrinseci nel lavoro, che diano ricompense in termini di sviluppo professionale. Questi aspetti riguardano opportunità formative, contati esterni, visibilità professionale; tutto ciò quindi che corrobora una stima di sé lavorativa.
Infine, tra gli aspetti sempre sottolineati nelle ricerche sulla motivazione, bisogna sottolineare il rapporto con la figura gerarchica e con i colleghi. Il clima organizzativo è un importante fattore premiante: lavorare in ujn ambiente sereno, collaborativo, con buone possibilità di sviluppo professionale è ritenuto altamente premiante.
Per concludere una osservazione va rivolta agli aspetti negativi del sistema premiante, la punizione di comportamenti non ritenuti consoni al risultato organizzativo. Spesso le norme esistenti non vengono applicate per un diffuso clima di lassismo: l’origine è spesso dovuta al fatto che non riconoscendo gli ambiti di premio, si scambia questa pretesa “povertà” con la tolleranza di comportamenti disdicevoli. Questa visione appiattisce la gestione delle persone e in realtà punisce coloro che operano correttamente e professionalmente. Inoltre, come già sottolineato in precedenza, è necessario sviluppare una cultura coerente su “ciò che è accettato” e ”ciò che non è accettato” nei comportamenti dei collaboratori.
Conclusioni
La prima conclusione di scenario complessivo che possiamo trarre è che non si può pensare di modificare alcunché all’interno degli istituti scolastici senza sviluppare una politica e degli strumenti concreti di gestione del personale.
Il contesto relazionale, le competenze necessarie, le tendenze all’autonomia, sono – a livelli diversi – motivi importanti che testimoniano la necessità di ridisegnare i contenitori di significato in cui le persone prestano la loro opera.
E’ innanzitutto questa consapevolezza che va diffusa all’interno della scuola. Concretamente il legislatore dovrà proseguire la tendenza al decentramento e alla sburocratizzazione delle modalità di gestione del personale.
In questi spazi che si apriranno i capi di istituto dovranno dotarsi della competenze specifiche necessarie per definire strategie, disegnare ruoli organizzativi e sviluppare politiche di gestione coerenti.
Come sottolineato esiste certamente un problema tecnico, di strumenti, ma esiste ancor più una carenza culturale, di abdicazione al ruolo di vertice, ad un esercizio della leadership in termini di motivazione e di significati condivisi. Nelle realtà dove il leader ha esercitato un ruolo trainante si sono superati i problemi tecnici esistenti.
Facendo tesoro dell’esperienza del settore privato, quando gli aspetti tecnici vengono sopravvalutati e si progettano degli strumenti troppo sofisticati, il rischio di una non fruizione degli stessi per le difficoltà di comprensione e di uso diventa prevalente.
Ciò che si può auspicare oggi è una direzione del personale pervasiva e despecializzata (Costa 1992) che assista la linea nella applicazione di strumenti snelli, semplici e molto ancorati alle logiche di fondo su cui vengono progettati.
E’ opportuno allora partire con grande semplicità, ma con grande determinazione, sviluppando una ampia progettualità sugli strumenti che sono stati elencati, facendo riferimento alle logiche che si è cercato di esplicitare.
All’aumentare dell’autonomia sarà necessario sviluppare esperienze di integrazione tra progettazione organizzativa e progettazione della gestione del personale perché gli auspici di ottenere organizzazioni più efficienti e persone più motivate, più volte sottolineati in questo lavoro, diventino realtà concreta.
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