In questo articolo si vuole portare l'attenzione sulla separazione mente / corpo che nella quotidianita' del lavoro manageriale e organizzativo diventa un implicito indiscusso.
La tesi di fondo è che le modalita' di comportamento in cui prevale questa divisione - definite dissociate - hanno un impatto negativo sia nel rapporto delle persone con se stesse che nella comunicazione e nell'agire organizzativo.
Viceversa, una modalita' associata di essere è precondizione per lo sviluppo di tutte le potenzialita' soggettive e professionali.
L'assenza del corpo viene esplorata nell'ambito individuale ed in quello organizzativo, cercando di tracciare delle possibili strade di ricomposizione.
"Tutto è cominciato con Descartes"......sospira Oliver Sacks
Il famoso psichiatra, alle prese con una gamba di cui non percepisce piu' la presenza, si riferisce ad una grande, progressiva frattura che colpisce con maggiore incidenza le persone che svolgono professioni intellettuali: la separazione mente / corpo.
L'inizio, attribuito a Cartesio, si riferisce alla contrapposizione tra "res cogitans" e "res extensa" che dà dignità filosofica ad una sensazione comune. Alla richiesta "Dove è situato l'io" la risposta prevalente è: nell'interno della testa, a pochi centimetri dagli occhi. E nel linguaggio comune si parla del "mio corpo", della "mia mano" , esprimendo un dualismo, una alterità.
Le riflessioni che si vogliono di seguito proporre partono dalla consapevolezza che il tentativo di riaffermarsi individualmente come soggetto integro (ricomposto nella dualita' corpo / mente) è precondizione indispensabile per riconoscere il proprio "sè autentico" e quindi per impostare una corretta ricognizione delle proprie attitudini e motivazioni.
Quando si parla di persona nel senso più completo del termine si fa usualmente riferimento sia alla cognizione che alla motricità, che alla affettività.
In questa riflessione sara' presa in considerazione esclusivamente la connessione tra cognizione e motricità, lasciando da parte il lato emozionale e affettivo che, seppure importante, esula dai confini del presente lavoro.
Il corpo assente nella soggettività manageriale
Riflettere sull'assenza del corpo sembrerebbe fuori luogo, o cosa superata, in un'epoca in cui il corpo stesso è oggetto di cura estrema e quasi di culto. Le immagini pubblicitarie, gli stereotipi proposti in cui corpo e look acquisiscono una accezione di status symbol, potrebbero far pensare ad una legittimazione completamente acquisita.
E' necessario allora introdurre la diversità sostanziale tra modalita' soggettive esistenziali in cui si osserva il proprio corpo (dal di fuori) e altre in cui si vive il proprio corpo (dal di dentro).
Beauty farm, body building, jogging e le altre mode che si alternano possono essere soggettivamente utilizzate dalle diverse persone in due modi opposti: come lotta/sfida con se stessi in un crescendo di non ascolto del corpo oppure come armonia in cui si percepiscono i muscoli via via impegnati in una attività crescente.
Vedersi vivere o vivere è una dualità che ci mostra come la frattura tra res cogitans e res extensa può essere sanata armonicamente componendo nella sostanziale unità della persona le due parti, oppure resa permanente ignorando la res extensa facendone un'appendice inutile da sottoporre alla res cogitans.
Queste due modalità di comportamento sono assolutamente individuali e fanno parte dell'essere di ciascuno indipendentemente da quali credo, ideologie o cognizioni si professino. Possono pero' entrambe, come vedremo, essere favorite in contesti organizzativi con caratteristiche diverse.
E' interessante notare come chi svolge una complessa attività motoria ha più facilità nel comprendere queste due modalità e a descriverle. Vediamo come le propone un alpinista estremo: "Praticare la ginnastica solo per arrivare ad assomigliare a qualcuno, o per riuscire ad ottenere ciò che gli altri fanno, non significa propriamente fare ginnastica. Interiormente, infatti, prende forma una separazione che sposta la concentrazione da sè stesso verso un obiettivo esterno, che non riguarda più il corpo. Far ginnastica con la testa proiettata verso un obiettivo diverso da noi stessi dà luogo ad una netta spaccatura che separa la concentrazione della mente dal corpo, in quanto non permette di trovare nè il modo, nè il tempo per seguire la propria crescita. Si segue invece un tipo di crescita che vive in funzione di altri. Tutto questo mette in evidenza la netta differenza che passa tra la ginnastica associativa (quella che associa il corpo alla mente) e una ginnastica dissociativa (lo sport e l'agonismo in generale), che invece separa la mente dall'attenzione nei confronti del proprio corpo per dirigerlo verso un fine."
Conferma Le Boulch: "Quando iniziai a frequentare la Scuola per insegnanti di Educazione Fisica constatai con sorpresa che quello che mi veniva detto circa il movimento e le tecniche che mi venivano insegnate non corrispondevano assolutamente a quello che io "sentivo" personalmente. Capii allora che dovevo fidarmi esclusivamente delle mie intuizioni..."
Mutuando le parole di Guerini potremmo parlare di una managerialità dissociata e di una associata. La prima fa riferimento all'imitazione di modelli esterni con un "telos" individuale eteroriferito; la seconda passa attraverso l'individuazione di modalità di comportamento originali sintoniche con il proprio essere corporeo.
La managerialita' dissociata, proprio perche' frutto di comportamenti osservati dall'esterno ed esasperatamente curati nel dettaglio, da' luogo ad un linguaggio corporeo falso, "di plastica" che induce nei gregari delle replicazioni, altrettanto false del look e della gestualita' del leader.
Si può allora intuire che l'eccellenza in qualsiasi professione è prevalente in coloro che, adottando una modalità associata di essere, rintracciano le proprie aspirazioni piu' profonde e vere.
Apprendere ad "ascoltare" il corpo
Se questa modalità associata, che recupera il corpo sulla scena, è l'obiettivo, quali le strade per arrivare ad una ricomposizione ?
Una riflessione ancora di premessa vorrebbe giustificare il dualismo esistente in quanto le professioni manageriali, ad alto contenuto di stress, comportano una costante concentrata attenzione cognitiva che tende ad annullare la percezione corporea.
L' enfasi eccessiva sul tempo dell'efficienza lascia sul campo ogni attenzione ai segnali interni. A poco a poco non si percepiscono più i segnali di tensione e rigidità corporea. In questo modo la tensione provoca una contrazione muscolare "inutile", sovradimensionata rispetto ai movimenti. Anche in una postura apparentemente rilassata, seduti alla scrivania, o guidando, la tensione muscolare sovradimensionata, eccessiva rispetto alla reale utilità provoca tensioni permanenti e sovraffaticamenti cronici.
Ancora dagli atleti possiamo apprendere come sia importante avere attenzione interna per utilizzare solo i muscoli che hanno una funzione in quel momento.
Osserviamo ad esempio un free-climber: la tensione muscolare si sposta in diverse parti del corpo, rilassando rapidamente i muscoli non impegnati.
Questa modalità di tensione selettiva è molto importante ogni qualvolta esista la necessità di uno sforzo corporeo prolungato.
I corsi di preparazione al parto vengono detti di "rilassamento" proprio perchè hanno questo obiettivo di tensione selettiva. La risposta immediata, viceversa al dolore e alla fatica, è una contrazione muscolare indiscriminata che aumenta, invece che alleviare, gli stessi in un loop distruttivo.
Anche lo yoga ha questa filosofia di fondo. In una posizione "scomoda", ma utile per correggere il proprio corpo ci sono due possibilità: contrarsi, "stringere i denti" sperando di por fine allo sforzo al più presto oppure accettare la fatica e porsi in un atteggiamento di lungo periodo cercando di minimizzarla.
Gli yogi fanno poi di questo approccio una Weltanschaung che concepisce la fatica e la tensione non come situazioni straordinarie da evitare, ma come contingenze fisiologiche da gestire.
Vediamo come Oliver Sacks descrive la capacità di ascoltare i segnali interni: "Noi abbiamo cinque sensi, di cui ci vantiamo, che riconosciamo ed esaltiamo che costituiscono per noi il mondo sensibile. Ma ve ne sono altri - sensi segreti, sesti sensi, se volete - altrettanto vitali, eppure non riconosciuti e non celebrati. Questi sensi, inconsci, automatici, li si è dovuti scoprire. E anzi, storicamente la loro scoperta è arrivata tardi: ciò che i vittoriani chiamavano con termine vago <senso muscolare> - la consapevolezza della rispettiva posizione del tronco e degli arti, che deriva dai ricettori posti nelle giunture e nei tendini - fu in realtà definito (e chiamato propriocezione) solo alla fine dell'Ottocento. E i complessi meccanismi e coordinamenti che permettono al nostro corpo di avere nello spazio un allineamento e un equilibrio corretti sono stati definiti solo nel nostro secolo, e serbano tuttora molti misteri. Forse solo in quest'era spaziale che ha conosciuto la paradossale libertà e i rischi della vita in assenza di gravità, potremo valutare appieno il nostro orecchio interno, il vestibolo e tutti gli oscuri recettori e i riflessi che governano l'orientamento del nostro corpo. Per l'uomo normale, in situazioni normali, essi semplicemente non esistono.
Eppure le conseguenze della loro assenza sono quanto mai vistose. Se i nostri tanto trascurati sensi segreti trasmettono una sensazione difettosa (o distorta), ciò che noi sperimentiamo è qualcosa di profondamente strano, l'equivalente pressoché incomunicabile di essere ciechi o sordi. Se poi c'è un annullamento totale della propriocezione, il corpo diventa, per così dire, cieco e sordo a sè stesso, e (come suggerisce la radice latina proprius) cessa di essere <proprietario> di sè stesso, di sentirsi sè stesso."
La propriocezione si percepisce pienamente quando è assente, nella normale attività motoria essa diventa un "a priori" di cui ci si può dimenticare.
Un passo da compiere è allora apprendere a riconoscere con un piccolo sforzo di attenzione volontaria la propria situazione corporea, ad esempio portando la coscienza sui diversi muscoli del corpo per individuare la loro situazione. Ciò può essere fatto nei momenti "vuoti" della giornata (attese telefoniche, code ai semafori, etc.). Si tratta di ripassare mentalmente il proprio corpo, rilassando i muscoli inutilmente tesi. Questo significa prestare brevemente attenzione alla propria postura e soprattutto al ritmo del respiro. Il rilassamento si produce contestualmente ad un passaggio da un respiro corto, clavicolare, ad uno lungo, diaframmatico.
La capacità di cogliere non solo le informazioni eterocettive, ma di valorizzare anche quelle propriocettive è la strada per riappropriarsi di una integrità psico - corporea che previene le patologie da stress ed aiuta a capire dall'interno quali sono le reazioni individuali alle diverse situazioni che si attraversano.
La modalità di vivere e lavorare che è stata descritta come "associata" - avendo un riferimento interno, piuttosto che dei modelli da imitare - consente di cogliere cio' che per ciascuno è piu' motivante.
L'ascolto interno - insieme con l'ascolto esterno che viene trattato nel prossimo paragrafo - è ciò che consente di cogliere le proprie reazioni, uniche ed esclusive, alle diverse situazioni sociali e lavorative. Solo attraverso la consapevolezza concreta del proprio "star bene o male" si può capire se le offerte di ruolo lavorativo o di carriera sono in sintonia con il proprio auspicabile sviluppo personale.
Riferirsi invece a modelli esterni magari di successo e "patinati" può condurre al tradimento della propria inascoltata dimensione autentica.
In altre parole potremmo dire che la possibilita' di autenticita', passa attraverso l'imparare ad ascoltare i messaggi interni del corpo.
Utilizzare le potenzialita' sensoriali
Nella citazione sopra riferita Sacks parla dei nostri "cinque sensi di cui ci vantiamo, che riconosciamo ed esaltiamo".
In realtà, anche rispetto all'ascolto esterno, non è così facile riconoscere ed esaltare i cinque sensi.
Certo, essi sono i canali attraverso cui la persona umana si relaziona con l'esterno, sono i collettori di informazione necessaria alla vita, ma spesso anch'essi nel feroce dominio della res cogitans subiscono una progressiva mutilazione.
A questa progressiva insensibilità può contribuire lo stato dell'ecosistema in cui viviamo: se percepiamo prevalentemente odori acri e sgradevoli tendiamo a limitare volontariamente la profondità della respirazione che, viceversa, si dilata spontaneamente in una situazione gradevole. Lo stesso si può dire per i messaggi auditivi. Se siamo assaliti da rumori aggressivi, spiacevoli, un poco alla volta li releghiamo sullo sfondo, fino a non sentirli più.
Questa nostra insensibilità selettiva è facilmente evidenziabile nel contatto con i bambini che conservano ancora la capacità di cogliere impressioni, quali ad esempio il suono di una campana, che noi non percepiamo più.
Le sfumature sensoriali sono all'origine della potenzialità della memoria evocativa. E' la forma e poi il sapore di una madaleine o la percezione fisica di un piccolo dislivello al piede del lastricato di casa Guermantes a dare la possibilità di ricostruire la magia della "Ricerca del tempo perduto".
Iniziamo, allora, con l'elencare i diversi canali sensoriali:
- auditivo logico
- auditivo analogico
- visivo logico
- visivo analogico
- gustativo
- olfattivo
- tattile e cinestesico.
In prima istanza introduciamo la distinzione tra l'universo sensoriale logico ed analogico.
In questo ambito di riflessione tali aggettivi servono per qualificare i canali sensoriali visivo ed auditivo.
Ciascuno di noi può vedere un diagramma di programmazione lineare (attivando prevalentemente l'aspetto logico) piuttosto che osservare i quadri di una esposizione o contemplare un tramonto sul mare.
Allo stesso modo si possono ascoltare le parole di un economista che illustra le tendenze internazionali o seguire le note di "Quadri di un'esposizione" di Musorgskij in cui si descrivono, in musica, delle impressioni visive.
Negli interessanti lavori di un medico e psicoterapeuta francese - Tomatis - viene addirittura provata l'esistenza di un filtro soggettivo di ascolto che evidenzia o elimina un determinato tipo di frequenze.
Egli ha anche collegato alcune difficolta' di comunicazione con la capacita' di ascolto. In parole semplici si può dire che ciascuno riproduce con la voce solo le frequenze che è in grado di ascoltare. L'incapacita' soggettiva di spaziare su un'ampia gamma di frequenze, sia nell'ascolto che nell'emissione di suoni, è poi causa di un ascolto interpersonale selettivo. Le persone che comunicano con le medesime bande di frequenza, hanno una precondizione di ascolto reciproco che consente un risultato di comprensione maggiore.
Infine qualche parola di chiarimento sul canale cinestesico.
Esso si riferisce alla sensazione di movimento del proprio corpo ed alla capacita' di controllarlo.
La dimensione cinestesica nel neonato è l'universo indifferenziato in cui si trova inserito, da cui poi si specializzano gli altri canali sensoriali. Nell'adulto il canale cinestesico è descrivibile come la raccolta di sensazioni corporee globali. In questo modo esso racchiude la dimensione propriocettiva precedentemente analizzata.
La capacità di utilizzare tutte le nostre potenzialità è direttamente legata alla possibilità di spaziare su tutti i canali sensoriali.
Viceversa la riduzione delle opportunità sensoriali penalizza fortemente la formazione delle mappe cognitive. Ogni canale sensoriale attiva aree cerebrali diverse e l'attivazione diffusa è la precondizione per la costruzione di modelli cognitivi più estesi, complessi ed integrati.
Inoltre, come è noto, la diversita' degli aspetti logici ed analogici sopra evidenziata fa riferimento ad una relativa specializzazione cerebrale dove l'emisfero sinistro è prevalentemente sede delle capacità logiche ed analitiche, mentre quello destro è più specifico per la decodifica e la comprensione del linguaggio analogico e sintetico.
Imparare ad utilizzare, soprattutto nel periodo della formazione personale, entrambi gli universi comunicativi, logico ed analogico, consente di poter interloquire con mondi diversi e poter esprimere eccellenza sia nella capacità logico analitica (più lineare) che in quella analogico sintetica (più divergente).
La specializzazione sensoriale con una selezione / contrazione dei canali d'accesso può avere anche una causa di origine culturale, perchè ogni cultura ha dei canali d'accesso prevalenti al "sistema persona" socialmente diffusi.
E' facile che una persona occidentale che svolga un lavoro molto cognitivo utilizzi per lo piu' informazioni auditive di tipo logico (relazioni, rendiconti verbali di avanzamento, e cosi' via) sottovalutando gli aspetti visivi. Ad esempio nelle riunioni che si svolgono nel contesto manageriale italiano, l'utilizzo di uno strumento di sintesi visiva come la lavagna è poco valorizzato. E nel materiale di comunicazione interna all'azienda le informazioni visive analogiche, quali simboli, fotografie, materiale artistico sono appannaggio di un piccolo gruppo di "creativi".
Gli orientali fanno invece un forte utilizzo del materiale analogico. La cultura giapponese, ad esempio, è fortemente legata all'estetismo del particolare (basti pensare alla parossistica attenzione del dettaglio nei giardini che trova la sua apoteosi nell'arte del bonsai) e alla precisione comunicativa del simbolo e del rituale.
Per concludere, il vantaggio che ci pone la capacità di filtrare delle informazioni attraverso una attenzione selettiva si traduce in uno svantaggio nel momento in cui perdiamo la capacità di spaziare su tutta la nostra gamma sensoriale.
E' allora necessario porre attenzione a riallenarsi ad un utilizzo sensoriale esteso, riprendendo contatto con alcune dimensioni sotto utilizzate.
Le informazioni interne, propriocettive come abbiamo visto precedentemente possono essere ascritte tra le informazioni cinestesiche, quelle cioè di sensibilità globale (piacevolezza o disagio epidermico) che vengono etichettate come feeling, sensazioni, impressioni e così via.
La capacità di ascolto di queste informazioni aiuta a decodificare le proprie emozioni nelle diverse situazioni e a comprenderle.
Invece, il modello prevalente di una managerialità asettica, fredda, che controlla le proprie emozioni può essere così imperante da far sì che gli individui "cancellino" le proprie emozioni ritenendole non legittime, spurie, degli incidenti di percorso, piuttosto che degli indicatori concreti, delle reazioni individuali da comprendere e gestire.
Alcune scuole psicologiche infine intravedono nella relativa specializzazione sensoriale una delle cause di difficoltà di comunicazione. Ad esempio una persona con una forte prevalenza auditiva logica avrà molte difficoltà di comunicazione con una persona fortemente visiva ed analogica. Spesso con semplici interventi di presa di coscienza di questa differenze è possibile superare molti ostacoli comunicativi a prima vista insormontabili.
L'utilizzo pieno delle potenzialità sensoriali aiuta a rientrare nella propria pelle. Riammettendo i sensi, e quindi il corpo, con piena dignità nell'essere, si può perseguire il proprio modello ideale interno, che tenga conto anche del benessere e malessere soggettivo.
Questa modalità di essere associata, come gia' introdotto precedentemente, insieme con la capacità di utilizzo dell'intero patrimonio sensoriale, è precondizione per scoprire le proprie preferenze e quindi le motivazioni individuali.
E' facile incontrare persone, soprattutto giovani, che chiedono agli esperti di orientamento o di selezione del personale dei test (nell'immaginario collettivo strumenti magici) per disvelare le proprie attitudini. Queste situazioni hanno del paradossale: avendo delle difficoltà di ascolto interiore e di integrazione della personalità si chiede ad un esperto di supplire, ancora una volta dall'esterno, ad una capacità che può essere solo soggettiva. Per paradosso, è come se chiedessero ad un esperto di "camminare" in vece loro.
Forse questa richiesta non è dovuta solo all'incapacità di ascolto interno / esterno, ma anche ad una sfiducia generalizzata, come vedremo successivamente nelle capacità soggettive di "produrre conoscenza".
Le riflessioni che abbiamo svolto prescindono chiaramente da situazioni patologiche quali la strutturazione di un "falso sè" che potrebbero richiedere approcci individuali di tipo terapeutico.
Il corpo implicito nella comunicazione
In ogni interazione personale abbiamo due modalita' di comunicazione contemporaneamente presenti: quella della mente, la convinzione esplicitata in parole organizzate in un discorso sensato, e quella del corpo.
Queste due modalita' di comunicazione assolutamente complementari ed inscindibili, utilizzano due linguaggi tra loro diversi. Riprendiamo qui i termini numerico (o logico) ed analogico per utilizzarli con una definizione più ampia.
"Nella comunicazione umana si hanno due possibilita' del tutto diverse di far riferimento agli oggetti (in senso esteso): o rappresentarli con una immagine (come quando si disegna) oppure dar loro un nome. (..) Ogni qual volta si usa una parola per nominare una cosa è evidente che il rapporto tra il nome e la cosa nominata è stabilito arbitrariamente (...) da una convenzione semantica."
Possiamo concludere che questo è l'universo della comunicazione numerica o logica; viceversa la rappresentazione grafica, cosi' come tutta la comunicazione visiva o simbolica, rappresenta l'universo della comunicazione analogica. Questa è, anche, la abissale differenza tra le modalita' di scrittura delle lingue occidentali (numeriche) e quelle orientali (ideogrammatiche).
Potremmo arrivare a dire che tutta la comunicazione scritta è afferibile all'universo numerico. Ma se nel basket della posta, una mattina, tra fax e lettere commerciali apparisse una lettera in carta a mano, con sulla busta l'indirizzo tracciato da una scrittura femminile in un inchiostro azzurro pallido...
L'incongruenza farebbe cogliere la comunicazione analogica soggiacente ad un universo all'apparenza esclusivamente numerico come la comunicazione scritta. Del resto anche il tono, la misura, la perentorieta' di diverse lettere, possono contenere una modalita' di comunicazione analogica.
"Cosa è dunque la comunicazione analogica ? La risposta è abbastanza semplice: praticamente è ogni comunicazione non verbale. Che però è un termine ingannevole perchè spesso se ne limita l'uso al solo movimento del corpo, al comportamento noto come cinestesia. A nostro parere invece il termine deve includere le posizioni del corpo, i gesti, l'espressione del viso, le inflessioni della voce, la sequenza, il ritmo e la cadenza delle stesse parole, e ogni altra espressione non verbale di cui l'organismo sia capace, come pure i segni di comunicazione immancabilmente presenti in ogni contesto in cui ha luogo l'interazione."
La comunicazione analogica è allora costituita in primo luogo dal linguaggio propriamente corporeo (il body language), ma anche da tutta la comunicazione non ascrivibile esclusivamente all'aspetto verbale.
I segnali di contesto, l'ubicazione, la spazialita', i simboli espressi dai luoghi sono, come è noto, utili indicatori nell'analisi culturale delle imprese.
I linguaggi numerici ed analogici hanno una intrinseca difficolta' di traduzione reciproca. La traduzione del materiale analogico in numerico si scontra con la mancanza, nel primo, delle preposizioni, negazioni, i "se" e i "ma". Ciò costringe il traduttore ad una interpretazione che può sfiorare l'arbitrio.
Viceversa la traduzione del linguaggio numerico in quello analogico è propria della produzione artistica.
Nella comunicazione umana abbiamo continuamente un problema di traduzione del materiale analogico in materiale numerico.
Le numerose domande "Cosa intendeva dire esattamente con quell'espressione, con quel tono di voce ?", denotano il nostro continuo tentativo di avvicinare il livello logico ed analogico per porci attivamente nel processo di comunicazione.
Questa relativa intraducibilita' può essere oggetto di malintesi, ma costituisce anche l'incomparabile ricchezza del linguaggio non verbale, che consente di lasciar trapelare, di sfumare, di corrispondere emotivamente.
L'importanza relativa del linguaggio del corpo nella comunicazione diventa allora sempre maggiore. Se il linguaggio numerico consente di trasmettere con precisione gli aspetti formali, di contenuto, della comunicazione, il linguaggio del corpo diventa il veicolo privilegiato della fiducia e della stima.
Cio' è particolarmente evidente nelle comunicazioni tra culture. Dichiarava Giovanni Falcone a proposito dei pentiti: " Quando parlano con me, hanno di fronte un interlocutore che ha respirato la stessa aria di cui loro si nutrono. Sono nato nello stesso quartiere di molti di loro. Conosco a fondo l'anima siciliana. Da una inflessione di voce, da una strizzatina d'occhi capisco molto di piu' che da lunghi discorsi."
Si comprende in questo modo come le modalita' analogiche e quindi corporee di comunicazione sono alla base dell'instaurarsi di un clima di fiducia o di sfiducia, di accettazione o di rifiuto tra i soggetti comunicanti. Clima che diviene essenziale per poter affrontare il contenuto della comunicazione inter - personale, ma anche inter - aziendale.
Se i soggetti che comunicano danno per scontato, universalizzano, le proprie modalita' analogico / gestuali di comunicazione, potranno mis - interpretare le modalita' altrui.
Cosi' un italiano, impegnato in una trattativa con un nord - europeo potra' tradurre immediatamente in poca disponibilita' all'accordo il body language estremamente trattenuto dell'altro.
Questa relativa difficolta' di traduzione tra il materiale analogico e numerico può diventare esasperante in situazioni dove, per radici culturali, i significati delle modalità analogiche sono esattamente opposti. Ad esempio nella cultura occidentale, la distanza interpersonale, la prossimita' relativa, socialmente accettata, e perciò equivalente di buona educazione è di non invadenza dello spazio personale, della bolla d'aria, altrui.
Nella cultura araba questo canone è esattamente rovesciato. Educazione, in quel contesto, è "far sentire all'interlocutore il proprio profumo" e, quindi, porsi in una prossimita' spaziale interpersonale estremamente ravvicinata.
Questi esempi sono solo la punta del grande iceberg della difficolta' di traduzione del materiale analogico in situazioni di cross - culture.
Riammettere esplicitamente il corpo comunicante nelle situazioni di diversita' culturale aiuta ad espandere il proprio punto di vista e ad adottare modalita' organizzative, ad esempio nella gestione del personale, che siano congruenti con le culture locali.
Per concludere possiamo dire che è importante cogliere il ruolo del corpo nella comunicazione, prendendo coscienza della complessità di traduzione reciproca del materiale analogico e numerico, evitando la rigidita' interpretativa che universalizza ed assolutizza delle modalita' che possono essere regionali o personali. Anche per questo ambito la precondizione è una disponibilita' di ascolto dei segnali della comunicazione che si ottiene con una focalizzazione dell'attenzione piu' sull'altro che su di se'.
Il corpo assente nello spazio organizzativo
La scienza organizzativa nasce come scienza del corpo. Il taylorismo affrontando scientificamente l'organizzazione del lavoro studia, quasi ossessivamente, il gesto corporeo per ricondurlo all'interno di una logica di livello superiore con lo scopo di massimizzare la produzione.
Nella fabbrica fordista prende forma visibile il dualismo cartesiano: vi è un luogo corporeo, distaccato dalla mente meta organizzativa, in cui le persone agiscono ed un luogo pensante, che stabilisce le regole e le ricompone in un disegno invisibile a chi abita il dettaglio.
Si afferma cosi' una contraddizione: estrema attenzione al corpo, ma un corpo snaturalizzato, progettato dall'esterno, e soprattutto espropriato dalla mente.
Il corpo sparisce poi nelle teorizzazioni organizzative in cui, dove compare, la soggettivita' è una soggettivita' psicologica e quindi mentale.
Si occupano del corpo gli specialisti di ergonomia confinati nei luoghi (pochi) deputati ad occuparsi della salute e dell'ambiente di lavoro.
Eppure le organizzazioni sono abitate da persone e la realta' organizzativa è fatta di comunicazioni interpersonali complesse e di azioni concrete.
Se, come è stato affermato precedentemente, è importante affrontare la ricomposizione tra res cogitans e res extensa a livello individuale, altrettanto importante è riprogettare le modalita' organizzative di convivenza con una attenzione a questo problema.
Probabilmente l'origine soggettiva della scissione è lontana nell'esperienza di ciascuno e parte da altri contesti organizzati in cui si tende a bandire l'esperienza corporea.
Nella scuola (ed in particolare in quella italiana) il primo obiettivo d'apprendimento all'inizio dell'iter scolastico è, spesso, di "far star fermi i bambini nei banchi".
In altre nazioni - ed in tendenza anche nella nostra - si pone una enfasi maggiore sul "saper fare", recuperando modalita' di apprendimento che attivano globalmente la persona.
La situazione d'aula tradizionale, invece, con una polarizzazione dell'attività sul docente, impedisce un primo livello - precondizione di apprendimento - di "attivazione" dell'individuo sul proprio processo di apprendimento.
Questa concezione di relativa passività del discente sancisce l'eteroriferimento del processo di apprendimento, e può diventare una modalità implicita in cui ci si aspetta sempre che altri insegnino qualcosa, sottovalutando l'aspetto di essere soggetti attivi per tutta la vita nell'orientamento e nella gestione del proprio processo di apprendimento. Questa svalutazione delle proprie esperienze, di ciò che si è imparato "by doing", è molto evidente nella soggezione espressa verso gli "esperti".
E' necessario a questo punto introdurre una differenza importante tra "conoscenza esplicita" e "conoscenza implicita".
Il dualismo cartesiano soggiaciente alle modalità di insegnamento che hanno bandito il corpo dall'aula, ha reso legittima come conoscenza solo quella esplicita ed esplicitabile, sottovalutando il ruolo della conoscenza implicita.
E' invece evidente come l'aspetto implicito delle conoscenze sia in molte professioni uno snodo ineludibile per una reale competenza professionale. Tema facilmente rilevabile in un artigiano che deve sottilmente apprendere un saper fare, diventa forse meno evidente nelle professionalità ritenute intellettuali.
Viceversa è sempre piu' riconosciuto che l'eccellenza manageriale risiede certamente nella capacita' cognitiva di leggere, analizzare e interpretare situazioni complesse ma anche, e forse in misura sempre maggiore, in abilita' comportamentali difficilmente definibili che si collocano sia nell'area di gestione di situazioni in continua evoluzione e di elevata complessita' che in relazioni interpersonali molto differenziate.
Esempi di abilita' complesse in cui il linguaggio del corpo gioca un ruolo rilevante possono essere molteplici.
Il manager si trova continuamente ad utilizzare modalli cognitivi diversificati che devono essere trasmessi e mediati attraverso situazioni relazionali.
Un momento negoziale, anche senza la complicante di "cross - culture" evidenziata precedentemente - è una situazione in cui i soggetti al tavolo devono manifestare una vasta gamma di comportamenti.
Un negoziatore abile deve mantenere una gestualita' aperta, non arrogante e minacciosa, che mostra ed ispira fiducia. D'altro canto lo stesso negoziatore deve contenere eventuali reazioni di stizza che dovessero sorgere in relazione a particolari situazioni altamente emotive. In questi momenti la comunicazione puo' diventare contraddittoria: da un lato quella verbale, trattenuta e gestita con consumata abilita' puo' trasmettere la consueta calma e freddezza, dall'altro i segnali del corpo, indici accusatori, posture protese, mani a forza trattenute, mandano il reale messaggio di ira.
In questa situazione di incongruenza l'interlocutore coglie prevalentemente il messaggio corporeo che invia i segnali piu' "sinceri" di quel momento relazionale. E' meglio allora esplicitare all'interlocutore il proprio malessere dando parole a ciò che il corpo sta comunicando.
Altri esempi organizzativi si possono evidenziare in tutte le situazioni di gestione del personale dove accanto a sistemi operativi più o meno sofisticati devono coesistere stili di gestione sufficientemente omogenei.
Pensiamo alla valutazione della prestazione. L'implementazione aziendale di un tale strumento impatta su alcuni problemi organizzativi facilmente identificabili, quali la delimitazione delle aree di resposabilita' della posizione e, soprattutto, dei criteri che devono essere utilizzati nella valutazione della performance.
L'attuazione dello strumento passa poi attraverso le abilita' comunicative dei singoli gestori di risorse umane, che devono trasmettere i contenuti della valutazione. In tali situazioni, connaturati soprattutto al linguaggio corporeo emergono gli "assunti di base" del valutatore.
In particolare se il valutatore ha una visione della natura umana come negativa e immodificabile l'atteggiamento nel comunicare la valutazione oscillera' tra il sadico e l'annoiato.
Poniamo che lo strumento di valutazione sia stato concepito in prima istanza come un utile canale di feedback organizzativo tra la prestazione attesa nella direzione top-down e le difficolta' e i problemi di concretizzazione della stessa nella direzione bottom - up. Uno strumento dunque per migliorare il trasferimento informativo all'interno dell'organizzazione e per sviluppare un circolo virtuoso di apprendimento organizzativo. La logica di fondo che ha portato alla implementazione della valutazione della prestazione si arena poi nella discrezionalita' decentrata del singolo che nella trasmissione della valutazione "solo" con un linguaggio corporeo di sfiducia o disconferma nega, nello spazio di un secondo, cio' che l'organizzazione sta tentando faticosamente di affermare.
Questo esempio è paradigmatico delle difficolta' di introduzione di tutti i sistemi operativi il cui processo di implementazione organizzativa è costituito da aspetti progettabili, facilmente introducibili nell'organizzazione quali formulari, schede o procedure, e aspetti improgettabili di comportamento.
Questa discrezionalita' individuale nella gestione dei sistemi operativi, non è qualcosa in piu', che migliora lo strumento stesso, ma viceversa qualcosa di esiziale.
Si pone allora il problema di una dimensione di trasferimento, di un apprendimento che non sempre e non solo può essere modellizzato, ancorato alla res cogitans così come può avvenire per le conoscenze/competenze esplicitabili.
L'organizzazione ha la possibilita' di sviluppare strumenti per il trasferimento della conoscenza implicita che coinvolgano sia l'individuo che i gruppi nel loro complesso.
A livello individuale la conoscenza implicita si può trasferire con la modalità dell'affiancamento. Essa è tradizionalmente mutuabile dalla storia del lavoro. L'artigiano ha con sè un apprendista che con un tempo molto dilatato via via si appropria di livelli a complessità crescente di mestiere.
All'interno dell'azienda l'affiancamento dovrebbe essere previsto per ogni professione dove il "saper fare" corporeo, sia esso una abilità pratica o relazionale, ha una forte componente sulla qualita' della prestazione. In questo ambito l'empirismo informale dovrebbe lasciare spazio alla progettazione di periodi di affiancamento da definire in relazione agli oggetti di apprendimento. Affiancare chi sta coordinando un gruppo di progetto composto da persone appartenenti a diverse funzioni, con modelli cognitivi ed interessi diversi, potrebbe essere l'unica possibilita' di apprendere i sottili fili di una conoscenza non esplicitabile.
Con questi itinerari di affiancamento potrebbe trovare coerenza l'introduzione organizzativa delle tavole di rimpiazzo.
L'altro canale di trasferimento di conoscenza implicita è costituito dall'utilizzo del linguaggio metaforico.
La metafora "implica un modo di pensare e un modo di concepire che stanno alla base del modo secondo cui noi comprendiamo in maniera piu' generale il mondo".
L'utilizzo della metafora è ciò che può avvicinare l'universo di conoscenza implicito che altrimenti sarebbe inesprimibile.
Nella descrizione, ad esempio, di una situazione "astratta", come è quella organizzativa, la rappresentazione di se' nel contesto, che una persona compie, è prevalentemente metaforica.
Precedentemente è stato messo in luce come l'utilizzo prevalente di alcuni canali sensoriali confeziona metafore poco comunicabili a persone che utilizzano prevalentemente altri canali sensoriali e, quindi, confezionano metafore di tipologia diversa. La difficolta' di comunicazione derivante dalla rappresentazione di metafore diverse diviene esiziale nel caso della conoscenza implicita, per sua natura intraducibile in linguaggio numerico.
Vi è quindi una profonda relazione tra le capacita' individuali di spaziare nell'universo sensoriale esteso e la possibilita' di confezionare e comprendere metafore diversificate.
Nel contesto organizzativo questa capacita' individuale è coltivata ed allargata sia attraverso l'uso della formazione ma anche attraverso la capacita'di gestire il cambiamento in termini culturali.
Ancora a livello organizzativo la conoscenza implicita si trasferisce attraverso i fenomeni di socializzazione, che implicano nel loro sviluppo l'affermarsi di una metafora prevalente del contesto in cui i soggetti operano. Gli strumenti organizzativi di integrazione che possono supportare la condivisione di conoscenza implicita sono i gruppi trasversali, il lavoro per progetti e così via. Strumenti che oltre alle finalità esplicite per cui possono essere funzionali all'organizzazione, hanno la possibilità di integrare "culture diverse" che mettono in comune, nel processo lavorativo e di comunicazione, le diverse metafore soggiacenti.
Il tema della conoscenza implicita contiene in se' un versante epistemologico non irrilevante.
Non si vuole qui accennare alla epistemologia esplicita e condivisa di coloro che si muovono sul versante della ricerca, si vuole viceversa introdurre il concetto di epistemologia implicita ovvero delle modalita' soggettive e personali di ritenere qualcosa vero e qualcos'altro no e del metodo che ciascuno ritiene implicitamente il migliore, per gestire una qualsivoglia attivita' in ambito organizzativo.
E' questo un settore di estremo interesse che richiedera' sempre maggiori approfondimenti per disoccultare aree di conflitto e incomprensione invisibili che si annidano nelle modalita' comunicative e nei lavori collegiali.
Nell'ambito del presente lavoro puo' essere interessante sottolineare come nell'epistemologia implicita, proprio come conseguenza delle pesanti infiltrazioni cartesiane, il corpo viene bandito quale soggetto di conoscenza.
Tale sottovalutazione delle capacita' individuali di produrre conoscenza, proprio in quanto soggettive sono una conseguenza precisa del rigore scientifico contraddicendo apertamente l'esperienza reale (l'unica vera per ciascuna esistenza) che puo' sintetizzarsi nel famoso incipit di Wittgenstein "Se sai che qui c'è una mano allora ti concediamo tutto il resto".
La riammissione del corpo, della soggettivita', nel processo di conoscenza potra' aiutare a delimitare le aree di comunicazione implicita e a strumentare il modo diverso la gestione delle aree di incomprensione.
"Recuperare il corpo significa allora respingere il formalismo della coscienza per sostituirlo con la comunicazione sensoriale, senza la quale non ci è dato di abitare il mondo, ne' di pensarlo con l'a priori della ragione. Se non ci fidiamo piu' dei sensi, se svalutiamo l'importanza delle loro informazioni è perchè il sapere scientifico prodotto dal formalismo dell'Io-penso ha rimosso a tal punto la nostra esperienza corporea da farci disimparare a "vedere", a "udire" e in generale a "sentire", per "dedurre" dalla nostra organizzazione mentale e dal mondo quale lo concepisce il fisico cio' che dobbiamo vedere, udire, sentire."
Dalle considerazioni fin qui svolte si evincono tutta una serie di possibilita', sia a livello organizzativo che nella gestione del personale, per sanare la frattura.
L'utilizzo diffuso di strumenti di integrazione orizzontale cosi' come l'affiancamento sviluppato come pratica costante su famiglie professionali di una certa complessita', sono degli esempi di possibili strade praticabili.
Un ulteriore ambito da considerare è la formazione. Richiamare persone in aula, rivolgendosi esclusivamente alla "res cogitans" oltre a confermare uno stereotipo di apprendimento gia' descritto, da' luogo anche ad una particolare forma della separazione descritta per cui il "detto" o l'"ascoltato" è noto e quindi appreso.
L'introduzione di modalita' didattiche in cui vi è una attivazione globale della persona quali simulazioni, role playing o esercizi outdoor, può essere vista come una strada importante di comprensione e di gestione della camplessita' dell'apprendimento.
Lo sperimentare concretamente, in modo corporeo, l'apprendimento di comportamenti fornisce la possibilita' ai discenti di trasferire in modo piu' sicuro i modelli che stanno acquisendo e offre ai docenti la strada per uscire dal ghetto dell'astrazione cognitiva affrontando obiettivi didattici di livello superiore.
Ancora, sperimentare concretamente, aiuta a superare la faciloneria manualistica che semplifica e banalizza comportamenti complessi, facendo balenare la possibilita' di apprendere attraverso la lettura - e quindi in modo esclusivamente cognitivo - cio' che deve essere validato concretamente per essere appreso.
Le esercitazioni citate aiutano a comprendere che per cambiare i comportamenti non è sufficiente "conoscere" i modelli piu' corretti, bisogna invece umilmente sperimentare per tracciare i confini dell'individuale "cambiamento sostenibile".
Un'ultima considerazione sugli strumenti organizzativi puo' essere fatta a livello di sistema premiante. La riflessione di Herzberg sui fattori igienici e sui fattori di motivazione, può essere utilizzata per comprendere come l'utilizzo di alcune leve (quelle estrinseche al lavoro) contribuiscano a creare un approccio "dissociato", in cui il riferimento è esterno alla persona, ed in cui prevalgono modelli di prestazioni eccellenti da copiare. L'utilizzo viceversa di modalità di premio più attente all'aspetto professionale intrinseco, con occasioni di sviluppo concrete, inerenti alle attitudini individuali, favorisce lo sviluppo di persone "intere" portatrici di originalità all'interno del contesto organizzativo.
Ancora a livello di sistema premiante implicitamente vigente nel contesto organizzativo si può inserire lo stile di leadership prevalentemente utilizzato. Questo ambito sconfina nel piu' vasto ambiente culturale che gli stessi leaders contribuiscono fortemente a creare.
Gli stili di comando piu' orientati alle certezze, all'intolleranza della diversita' di opinione, alla incapacita' ci concepire gli errori come potenzialmente utili apprendimento organizzativo, contribuiscono a creare una cultura della "replica", in cui i gregari per essere accettati e premiati devono identificarsi fortemente con l'immagine del leader.
In questo modo l'organizzazione contribuisce ad ampliare la frattura chiedendo implicitamente ai soggetti che la abitano di eteroriferirsi negando parzialmente o totalmente la propria soggettivita', innanzittutto corporea.
Esiste quindi una coerenza piu' o meno forte. tra cultura organizzativa, stili di leadership, comportamenti individuali associati o dissociati.
Conclusioni
La sottovalutazione dell'universo corporeo che si è presa in considerazione agisce inconsapevolmente nel modo reciproco di interagire tra le persone e le organizzazioni.
Le persone, sopravvalutando la res cogitans, rischiano di mutilare un universo che è invece ricco di potenzialita' sia nello scoprire e articolare le proprie modalità di comportamento, che nell'arricchire la comunicazione inter - personale.
Dal canto loro, le organizzazioni, se nel loro agire concreto ammettono solo persone "dimezzate", rischiano di trascurare un contributo importante degli invisible assets dell'impresa.
Prendere coscienza dell'interezza e della univocità dell'universo fisico e cognitivo può essere un tentativo individuale, ma anche un compito organizzativo. Nei diversi ambiti che sono stati analizzati possono essere suggerite molte metodologie e tecniche che possano aiutare a ricomporre questa frattura.
Nel versante organizzativo questa necessità appare imprescindibile se la capacità di creare conoscenza e di imparare da parte delle imprese non può completarsi senza la conoscenza implicita, quella sedimentata e trasmissibile nel "saper fare" organizzativo. Forse questo è il vero "plus" che deve essere disvelato e compreso nell'ottica di un' organizzazione che apprende.
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