Edizione italiana a cura di M. C. Bombelli e B. Quacquarelli, acquistala cliccando qui.
La nuova edizione del manuale di Comportamento Organizzativo di Kreitner e Kiniki nasce dall’esigenza di rendere sempre più aggiornata una materia che evolve congiuntamente ad eventi di contesto ed aziendali che modificano sostanzialmente i modi di pensare e di lavorare degli individui.
I cambiamenti di cui il testo dà conto sono soprattutto legati alla presenza sempre più corposa di internet nelle diverse funzioni aziendali che comporta una evoluzione delle conoscenze, ma anche e soprattutto delle modalità di comunicazione e di interazione tra gli individui. A questo si affianca la novità costituita dai sociale network sia nei processi di coesione organizzativa che di trasferimento immediato delle informazioni. Mutamenti di cui è necessario tenere conto articolando in modo gestionale sia le opportunità, ma anche i rischi che essi rappresentano.
Questa evoluzione, dovuta soprattutto all’intervento sempre più pressante della tecnologia e dei suoi risvolti sui comportamenti quotidiani, non esime dal conoscere ed approfondire le basi, anche storiche, sui cui si fonda questa materia.
Nella realtà della formazione spesso prendono piede modelli poco fondati dal punto di vista della ricerca, che affascinano e seducono, ma non forniscono risposte di apprendimento adeguate.
In questo contesto, l’obiettivo di questo manuale rimane essenzialmente quello di fornire della basi teoriche a temi che possono essere soggetti a mode e ad influenzamenti di varia natura.
Per questo è molto importante che il comportamento organizzativo diventi una disciplina universitaria, che affianchi le più tradizionali organizzazione e gestione delle persone, per completare la gamma essenziale degli strumenti a disposizione sia degli studiosi che possono sostenere in modo attivo l’evoluzione della materia, che dei manager che necessitano di mezzi concreti per intervenire sulle reali situazioni lavorative.
Rispetto agli anni passati molta acqua è passata sotto i ponti e il comportamento organizzativo si è legittimato in entrambi le sedi, quella accademica e quella formativa, costituendo un corpus ormai imprescindibile di riferimento.
Permangono, come già sottolineato nelle edizioni precedenti, dei rischi che è sempre necessario tenere presente sia nell’approfondimento che nella gestione operativa.
Il primo pericolo, già introdotto, riguarda la divulgazione estrema e la banalizzazione di contenuti dovute ad una domanda ampia e molto spesso indifferenziata, che non è in grado di discernere tra la moda affascinante e la seria professionalità. In realtà in questi anni, i referenti aziendali si sono fatti più competenti ed abili nel riuscire a distinguere i contenuti e gli obiettivi poco sostenuti dalla teoria da quelli confezionati solo per attrarre. Ovviamente sul fronte dell’offerta si assiste ad una amplissima gamma di possibilità, con proposte che spesso sono esclusivamente di fascinazione con poca o nessuna attenzione sia al contesto organizzativo che all’apprendimento delle persone.
Un secondo e ben più grave pericolo riguarda il sottile confine che divide gli interventi sul comportamento organizzativo dalla strumentazione psicologica tradizionale. Alcuni programmi proposti dalle aziende ai loro collaboratori sono costruiti con setting analoghi a quelli terapeutici. Quando questo avviene dovrebbero sorgere diverse domande. La principale di natura etica: può l’azienda legittimamente costringere le persone che offrono il loro lavoro a percorsi che possono mettere in discussione profondamente la loro identità? Non è intrinseco a un setting terapeutico la necessità della volontà del soggetto nella costruzione di un contratto psicologico adeguato? Come si può arguire, il panorama degli studi e degli interventi sul comportamento organizzativo necessita di alcuni chiarimenti, che possono rivelarsi estremamente utili nella costruzione di un sistema di conoscenze diffuso e articolato, che possa diventare un patrimonio sul quale sviluppare ricerche serie radicate nella realtà italiana, decisamente trascurata fino a ora. Questo rischio si è fatto ancora più pressante ora, con l’affermarsi del coaching ed in generale dei contesti formativi one-to-one.
Il terzo rischio riguarda la sottovalutazione degli elementi culturali nella proposta di modelli di lettura dei comportamenti. Si tratta di una contraddizione interessante, dato che le culture sono esattamente uno degli ambiti di studio del comportamento organizzativo. Quello che si intende sottolineare, e che sta emergendo in numerosi studi, è la collocazione culturale di alcuni modelli spesso identificati come universali. Il predominio di modelli interpretativi nati prevalentemente nelle business school americane, che può essere provato con solo un’occhiata alla bibliografia, non tiene conto delle concrete realtà locali, di universi linguistici differenti, come di contesti valoriali e di approcci al lavoro diversi.
Per questo è molto importante che si sviluppi una ricerca che colga in profondità sia i cambiamenti del mondo del lavoro, ma anche le peculiarità locali e le relative differenze.
Un compito che pochi, in Italia, si sono assunti e che dovrebbe diventare fondamento di una ricerca diffusa, pur all’interno dei limitati mezzi delle Università del nostro Paese, per far germogliare uno spirito critico e una diffusa capacità di innovazione.
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