Con A. Arduino
Indice
1. Destinazione Cina
2. Un altro mondo
3. Zhong guo
Vivere in una grande città
Vivere in un centro minore
4. Strategie di successo nella gestione degli espatriati
5. Espatrio e differenze di genere
6. L’atteggiamento governativo
Bibliografia
Destinazione Cina
Il flusso di espatriati verso la Cina è crescente da ogni parte del mondo e il paese sta conoscendo una popolarità assolutamente unica.
Gli anni ’90 descritti da Clissold (2004) o McGregor (2005), quando arrivarono i primi investitori alla ricerca di nuove opportunità sono distanti pochi anni reali, ma anni luce se si considerano i cambiamenti.
Ancora più impressionante è l’esperienza descritta da coloro che sono arrivati in Cina prima dell’attuazione della politica di apertura di Deng Xiao Ping, quando le auto erano una rarità ed eserciti biciclette occupavano le strade. Difficile, in quegli anni comunicare, difficilissimo noleggiare un’auto, critico trovare un ristorante.
I primi espatriati raccontano la complessità di adattamento in una situazione culturalmente lontana, e dove l’organizzazione sociale era completamente differente.
Oggi gli espatriati aumentano continuamente, soprattutto giovani, ma il gap culturale che si trovano ad affrontare rimane veramente considerevole.
La Cina è completamente estranea alla quotidianita’ occidentale, un noto sinologo Francois Jullien arriva persino alla definizione di societa’ “esterna”. Questa diversità ha uno strano effetto su coloro che l’avvicinano per la prima volta: molti non la capiscono, ne restano sopraffatti, se ne vanno rapidamente; ma moltissimi altri se ne innamorano profondamente.
Ciò che spesso sorprende è la grande diversità rispetto all’occidente e le innumerevoli contraddizioni che questo Paese esprime. Con una decina di ore di volo dall’Europa si giunge in Cina, ma i 4000 anni di differenziazione culturale permangono nonostante il processo di globalizzazione velocizzato dalla movimentazione di merci, capitali e persone.
Chi parte per la Cina dovrà confrontarsi con persone completamente diverse da sé per storia, cultura, tradizioni, un background culturale spesso contraddittorio agli occhi di un occidentale. L’effetto straniamento è dovuto in primo luogo alla lingua, ancor oggi caratterizzata da una scrittura a caratteri derivanti da una base ideografica, completamente al di fuori di ogni schema legato alle radici linguistiche indoeuropee.
I giovani in particolar modo, tendono a sottovalutare la struttura di base della Repubblica Popolare Cinese che è tuttora un’economia fortemente centralizzata, in cui le decisioni più significative e a lungo termine, vengono prese da un gruppo ristretto di persone e attuate con estrema determinazione. Una sorta di tecnocrazia pragmatica e paternalista che si muove con autorità per lo sviluppo collettivo.
La Cina, forte del grande successo economico e della crescente importanza geopolitica sarà ancora per molto tempo meta sia di personale espatriato, ma anche di giovani in cerca di fortuna che autonomamente decidono di tentare la sorte oltre la Grande Muraglia.
Nel passato il fenomeno del trasferimento autonomamente gestito era legato prevalentemente di ex studenti di lingua e cultura cinese, mossi in un primo tempo da ragioni di studio, diventati sempre più frequenti e avvicendati, fino al trasferimento vero e proprio di residenza. Oggi ciò che accumuna i gioani che arrivano autonomamente non è più la matrice universitaria, ma l’età (26-30 anni) e la volontà di vivere un’avventura lavorativa al di là della vecchia Europa.
Solo un decennio or sono, lo sparuto gruppo dei neolaureati in lingue orientali ha avuto la possibilità di trovare posizioni interessanti aggiungendo alle competenze linguistiche quelle gestionali necessarie per comprendere le caratteristiche specifiche del modo di agire e pensare dei lavoratori in Cina. La realtà è cambiata. Anche oggi molti giovani studenti di cinese si muovono autonomamente verso la Cina in cerca di lavoro, ma trovano condizioni molto diverse dal passato.La crescita economica ha comportato un aumento della concorrenza sia internazionale che cinese e la situazione risulta quindi radicalmente diversa. Questi giovani seguono un iter di reclutamento e selezione paragonabile e quello del personale cinese con la perdita di tutti i privilegi di cui generalmente godono gli espatriati.
Le grandi multinazionali hanno solitamente delle politiche abbastanza chiare circa la gestione degli espatriati e sono in grado di gestire in modo trasparente i diversi benefit collegati. Inoltre, se hanno avuto esperienze consolidate di delocalizzazioni o investimenti esteri in altri paesi, sono in grado di sviluppare un piano di consolidamento della realtà locale che, seppur con le necessarie specificità, può seguire un itinerario sufficientemente noto. In questo caso è possibile prevedere in modo più specifico sia le posizioni da espatriare che i tempi necessari al decollo dell’unità cinese.
Molto diversa è la situazione delle PMI con scarsa esperienza in merito e poca conoscenza dell’articolato mondo cinese. In questo caso spesso si lavora per tentativi ed errori, trasferendo in modo lineare l’organizzazione del lavoro della casa madre.
Un’ultima importantissima notazione per quanto riguarda l’espatrio in Cina è relativa alle località geografiche. La Cina è un paese enorme con grandi differenze locali. Le prime delocalizzazioni sono avvenute verso le Zone Economiche Speciali, situate prevalentemente sulla costa, dentro o vicino a grandi città. Oltre Beijing, le città più fornite di servizi per gli stranieri sono ovviamente Shanghai e Guanzhou (Canton).
Oggi, le aziende sono alla ricerca di zone meno congestionate, dove il costo della manodopera e dei servizi sia inferiore. Capitano quindi offerte di espatrio non solo in città emergenti come Tianjin, Qingdao o Chongqin, ma anche in luoghi eccentrici rispetto alle grandi rotte sostanzialmente privi di servizi internazionali quali scuole internazionali per i figli o luoghi di ritrovo e di network di espatriati. Di conseguenza, la qualità della vita degli espatriati e delle loro eventuali famiglie, può essere molto diversa nelle differenti località.
Un altro mondo
L’espatrio nelle sue diverse forme, fa parte di una più vasta tendenza all’incontro tra le diverse culture. I manager diventano sempre più viaggiatori (Gonzalez, Santoro, 2005), seguendo i flussi degli investimenti e delle merci che si trasferiscono nel globo, sempre più frequentemente abbandonano il proprio paese di origine per trasferirsi per tempi che possono andare dalle poche ore agli anni.
Lo shock culturale che, come vedremo, investe l’espatriato, non è sostanzialmente dissimile da quello che accoglie il giovane neolaureato in ingresso in una multinazionale molto esterofila.
Si parla uno strano miscuglio di inglese e italiano, è necessario comprendere le ritualità connesse ai saluti e all’interlocuzione con la gerarchia, è doveroso apprendere i codici di comportamento impliciti, dai modi appropriati di vestire alla comunicazione con persone di sesso diverso, è utile sapersi districare nell’universo procedurale specifico, spesso con caratteristiche di complessità paragonabile ad una ostica lingua straniera. Un po’ per volta si diventa nativi, i modi di fare si assimilano sotto traccia, diventano una seconda pelle. Si è perfettamente integrati in una cultura da diventare “etnocentrici”, tanto da non rendersi più conto delle particolarità. Solo quando si cambia contesto, perché ci si licenzia e si cerca un altro lavoro, oppure se l’azienda viene acquisita e modificata profondamente, allora si coglie quanto tutto era diventato semplice e scontato.
Un manager che lascia la propria nazione, ma rimane nella propria azienda, soprattutto se multinazionale, è solo parzialmente lontano da casa. Chi invece viene assunto per l’incarico all’estero si trova di fronte ad un doppio salto culturale, quello della nuova azienda e del diverso paese.
Nelle diverse fasi che accompagnano l’inserimento di una persona di cultura diversa in un paese, ne esiste una che potremmo definire going native, ovvero assimilarsi in modo così profondo alla cultura locale tanto da provare per essa un senso di identificazione maggiore rispetto a quella lasciata nel paese di origine. Sino a qualche anno or sono vi era una battuta tra i cinesi per caratterizzare i connazionali che tornavano dopo un lungo periodo di permanenza all’estero.
Essi venivano identificati come “banana” ovvero gialli fuori ma bianchi dentro, in quanto avevano acquisito una mentalità ed un modo di comportarsi considerato ostentatamente occidentale. Per i going native occidentali invece sono stati gli stranieri residenti in Cina ad utilizzare la definizione di “egg” (uovo) in quanto bianchi all’esterno ma gialli dentro, poiché troppo accondiscendenti verso le abitudini locali. Già dopo la seconda guerra mondiale gli espatriati americani ed anglosassoni di ritorno da lunghi periodi in estremo oriente venivano etichettati come ammalati di yellow fewer (febbre gialla) in quanto troppo legati ad abitudini e culture dei paesi ove avevano vissuto.
Ancora oggi molte persone descrivono lo stesso impatto, pur con caratteristiche diverse, anche nella fase di rientro, in cui manca una quotidianità spesso privilegiata, fatta di residenze esclusive e di personale di servizio in numero maggiore di quanto è possibile mantenere sul territorio nazionale. Molti managers di ritorno dalla Cina trovano difficile riabituarsi alla vita “normale” e non da espatriato. Senza villa, senza un autista che li attende al mattino, senza il personale di servizio che lasciava alla moglie ampi margini di libertà. Questi elementi sono stati e sono tuttora motivo per molti managers di ritardare il ritorno, magari attraverso contratti locali o consulenze per rivendere in loco le proprie expertise pur di restare in Cina con il conseguente status sociale.
Questo schema generale naturalmente descrive delle fasi tipiche, ma che possono essere molto diverse nei casi soggettivi, in relazione allo stile e alle attitudini individuali, o nei casi organizzativi, con una maggiore o minore capacità dell’azienda di sostenere con opportuni servizi e strumenti durante questo percorso.
Zhong Guo
Se affrontare una diversa cultura è sempre un elemento di grande sfida, trasferirsi in Cina significa confrontarsi con una diversità radicale.
Il primo elemento, magari banale, è che i cinesi non chiamano il loro paese Cina, e nemmeno si definiscono cinesi. Il nome è stato attribuito dagli occidentali e così è rimasto, senza - finora – rivendicazioni nazionali orientate ad una rinomina, come è accaduto in altri paesi come per alcune città indiane o la Birmania. Il nome cinese è Zhong Guo e la sua popolazione Zhong guo ren o Han.
Molte le sorprese che colgono gli occidentali. In primo luogo l’affollamento. Nelle città cinesi, soprattutto nelle ore di punta, non solo le strade sono inondate di auto, moto, biciclette e veicoli di diverso tipo, ma anche i marciapiedi sono densi di una umanità che non si allarma quando si urta, si intralcia, o si spinge. Gli occidentali, abituati ad una prossimità spaziale più ampia, ma soprattutto usi a cortesie reciproche di non invasione delle proprie e altrui soggettività, prima si stupiscono e poi si spazientiscono. L’intrusione viene immediatamente classificata come maleducazione, la spinta come un’aggressione.
Nei momenti formali invece prevale una etichetta che agli occhi europei, e soprattutto americani, appare desueta, quasi piaggeria verso l’autorità, orientata a mantenere la distanza invece che avvicinare.
Per gli italiani, dopo qualche tempo di permanenza, spesso il cibo diventa fonte di sofferenza. Oggi nelle principali città è possibile acquistare prodotti stranieri e vi è quindi la possibilità di cucinare secondo le tradizioni del paese d’origine, ma in alcune zone periferiche non è ancora possibile.
La comunicazione è limitata da una lingua di estrema difficoltà sia nella lettura che nella pronuncia. Per leggere le insegne dei negozi o i titoli di un quotidiano è necessario memorizzare svariate centinaia di caratteri, mentre nella lingua parlata, anche per le semplici frasi di circostanza, bisogna comprendere la musicalità di quattro toni che rendono uno stesso fonema diverso solo dall’accentazione.
Zhong Guo è un paese affascinante, ma estremamente difficile, che può sedurre, ma anche deludere con estrema rapidità.
Le aspettative sovradimensionate, l’utilizzo di stereotipi desueti e la facile presunzione della superiorità occidentale portano un espatriato non abituato alla vita in Cina a confrontarsi con una realtà ostica e difficilmente penetrabile. Quello che risulta maggiormente risibile agli occhi di managers internazionali avvezzi ad interagire con il mondo degli affari cinese, è la richiesta a volte accompagnata da atteggiamenti presuntuosi, di voler comunicare o ricevere testi scritti in lingua non cinese.
Come se in Italia un’azienda tedesca volesse vendere i propri prodotti fornendo il manuale di istruzione solamente in tedesco. Se episodi di questo tipo possono far sorridere in Italia, in Cina è comune sentire espatriati che si lamentano perché appena fuori Shanghai le indicazioni stradali sono solo in lingua cinese. Molti iniziano corsi di lingua, ma la difficoltà iniziale di apprendimento accompagnata dalla notevole mole di lavoro fanno sì che la quasi totalità dei managers che non abbiano un background da orientalista, inizino e terminino una carriera anche decennale in Cina conoscendo solo tre o quattro frasi di circostanza, spesso neppure pronunciate correttamente.
Un atteggiamento difensivo, a volte inconsapevole, è quello di creare gruppi sia sul lavoro che al di fuori, di colleghi e conoscenti provenienti dallo stesso paese escludendo qualsiasi contatto locale. Questo processo di auto ghettizzazione porta a ridurre le possibilità di apprendimento e di inserimento nella cultura locale ed in realtà poco cosmopolite porta a pericolosi isolamenti. Pericoli che riguardano l’equilibrio soggettivo e lo stare bene dell’espatriato, e che incidono poi sul lavoro. I fenomeni di isolamento descritti si ripercuotono poi sulla famiglia, quando le mogli si chiudono in casa, senza neppure la compagnia di una un programma televisivo in una lingua comprensibile. Inoltre, le mamme occidentali, sono spesso richiamate dagli insegnanti perché il figlio è considerato troppo espansivo ed esuberante rispetto ai coetanei locali.
Le grandi città offrono dei compound ad alta densità di espatriati, come vedremo nella testimonianza successiva, ricchi di servizi, ma che costringono ad una quasi esclusiva frequentazione di stranieri.
In Cina vi è anche una grande difficoltà a gestire la salute e a mettersi in relazione alla medicina locale. Quasi tutti gli espatriati hanno una assicurazione che garantisce loro l’accoglienza in strutture di tipo occidentale, ma nei luoghi isolati è giocoforza relazionarsi con modalità diverse, completamente sconosciute.
Vivere in una grande città
Io e mio marito siamo arrivati a Shanghai con i nostri tre bambini a fine agosto 2006.
Ci eravamo già stati una prima volta nel gennaio dello stesso anno per un breve viaggio di una settimana, giusto il tempo di capire come fosse la città, scegliere il quartiere dove avremmo eventualmente voluto abitare, visitare qualche scuola internazionale e renderci conto dei servizi tipo i negozi, i supermercati, gli ospedali.
L’impatto non fu né entusiasmante, né eccitante: una settimana di nebbia, pioggia, smog, cielo grigio, grattacieli a perdita d’occhio e tanta gente per le strade a tutte le ore.
Abbiamo comunque deciso di intraprendere questa nuova avventura.
Mio marito lavora per una multinazionale europea ed io mi occupo della famiglia: abitiamo in un compound in una zona un po’ periferica della città dove i grattacieli ancora non sono arrivati.
Abbiamo una casa indipendente con giardino, e i nostri vicini sono per la maggior parte espatriati come noi, famiglie che arrivano un po’ da ogni parte del mondo, ma la maggior parte sono europei.
E’ un po’ come vivere in un “villaggio” dove ci sono spazi comuni, aree di gioco per i bambini, e un centro sportivo. Abbiamo scelto questa situazione abitativa proprio per facilitare la socializzazione ai nostri figli che sono in effetti liberi di muoversi in un ambiente protetto e sicuro ed hanno la grande fortuna di poter fare amicizia con coetanei diversi da loro per lingua, cultura, abitudini.
I nostri bambini, di quattro, sei e dieci anni, frequentano la scuola inglese non essendoci a Shanghai quella italiana a tempo pieno; partono la mattina con lo scuolabus e rientrano a metà pomeriggio. L’impatto con la scuola è stato piuttosto duro in quanto nessuno di loro parlava l’inglese, ma l’ambiente è stato particolarmente accogliente e così ora, dopo appena quattro mesi, posso dire che non hanno maggiori difficoltà di quante ne potrebbero avere in Italia. Oltre all’inglese a scuola studiano anche il cinese ed hanno numerosi compagni asiatici. Credo che questa esperienza sia per loro una grande opportunità ed una risorsa per il loro futuro.
Nonostante abiti in una metropoli di diciotto milioni di abitanti a circa diecimila chilometri da “casa mia”non mi sono mai sentita né troppo spaesata, né sola: la comunità di espatriati è numerosa ed è indubbiamente un punto di riferimento e di sostegno per i nuovi arrivati. Grazie ai “veterani” ho potuto ricevere ogni tipo di informazione: come pagare le bollette di casa, dove comprare i vestiti per i bambini, quale dentista scegliere, dove vendono il pane migliore nel quartiere, dove comprare i fiori al prezzo più basso, dove rivolgersi per avere una donna di servizio fidata, dove andare a messa, quanto si può pagare la stoffa al metro, quale è la portiera che bisogna aprire per salire e scendere dal taxi,…e via dicendo.
La nostra vita famigliare si svolge più o meno come in Italia, con qualche vantaggio in più, ma anche con qualcosa in meno.
Anche qui la vita è scandita da ritmi quotidiani, da abitudini ed equilibri che pian piano si ricreano: il lavoro, le attività dei bambini, gli amici, un po’ di sport, gli svaghi.
Essendo arrivati da poco ci piace ancora fare i turisti per la città, per cui spesso nei fine settimana girovaghiamo con guida e macchina fotografica. Questo periodo di scoperta della nuova città nella quale abito e di conoscenza di una cultura molto diversa dalla mia mi piace e mi incuriosisce: certo comporta anche sforzi e impegno notevole, come ad esempio quello di dover studiare una nuova lingua e il cinese non è affatto semplice.
Ad ogni modo mi considero una privilegiata poiché ogni cambiamento mi rimette in gioco, mi mette alla prova, mi da la possibilità di sperimentare cose diverse, di uscire fuori dal guscio e questa indubbiamente è la parte che mi piace di più della vita da espatriata.
La grande città offre la possibilità di investire tempo in qualunque tipo di corso o di attività a seconda delle proprie attitudini e quindi non ci si può annoiare.
Una domestica a Shanghai costa molto poco e questo mi permette di avere molto più tempo libero rispetto a prima e di affrancarmi dalle spiacevoli incombenze da casalinga.
Quello che invece più mi manca dell’Italia è il rapporto con la natura, i “nostri” odori, la possibilità di passare un fine settimana al mare o in montagna, le gite nei boschi, le città e i piccoli paesi ricchi di storia, il sole e il cielo blu.
Per il resto qui a Shanghai c’è quasi tutto, per esempio fare la spesa non è un problema, anche se molti prodotti italiani non si trovano e mancano i nostri sapori regionali: bisogna re-inventarsi un po’ le ricette della nonna, adattarle ai prodotti locali, pasteggiare a birra “TsingTao” invece che a Barbera, però questo per me non è un grosso problema, fa parte dello scambio culturale.
Le cose che possono pesare e con le quali ogni tanto bisogna invece fare i conti sono altre.
Come moglie di un espatriato ho dovuto rinunciare ormai da anni ad una mia attività lavorativa, non essendo questa la nostra prima esperienza all’estero.
Ogni volta che comincio a mettere radici ecco che si deve ripartire e ogni volta è difficile lasciare tutto, voltare pagina, soprattutto quando ci si deve accollare anche il peso del bagaglio personale di ciascun figlio.
Diventa una fatica non avere mai una casa propria e dover ritrovare ogni volta dei punti di riferimento famigliari, come il medico o quel negozio di scarpe che era proprio di tuo gusto.
In particolare in questo caso che siamo davvero molto distanti dall’Italia è pesante la lontananza dalle rispettive famiglie d’origine e dai nostri amici che possiamo vedere solo una o due volte l’anno.
Sento particolarmente il bisogno di mantenere dei legami non solo per me, ma anche e soprattutto per i miei figli che sono privati ad esempio del rapporto coi nonni o con i cugini e viceversa: allora assumono un significato importante gli appuntamenti telefonici, i biglietti d’auguri, le fotografie….per fortuna la tecnologia moderna è di grande aiuto.
Mi sento un’italiana in trasferta e vorrei che anche i miei figli si sentissero tali, quindi viviamo tutti con un piede qua e uno là, con il rischio però di sentirsi sempre un po’ “altrove”.
E’ difficile fare un vero e proprio bilancio, soppesare i pro e i contro: per ora vivo questa esperienza con entusiasmo, senza troppa nostalgia di casa, ma certa che è là che vorrò tornare un giorno.
Elisabetta, moglie di un manager italiano
Vivere in un centro minore
La città in cui è situata la fabbrica è a 2 ore di macchina da Shanghai. Nella grande città non vado quasi mai, se non per prendere l’aereo per l’Italia. In fabbrica ho sempre molto da fare e non ho tempo per me. D’estate mi raggiunge la famiglia, ma durante l’anno preferisco che mia moglie viva in Piemonte, dove i nostri due figli vanno a scuola. Qui non ci sono scuole internazionali e non saprei come fare. Così, vivendo da solo, il lavoro occupa tutta la mia vita.
Arrivo in fabbrica verso le 8, giro per i reparti, parlo con le persone, e poi mi dedico alle mille attività richieste dal mio lavoro. A pranzo vado con l’unico altro italiano presente, un manutentore giovane, che sta qui da qualche mese. Con lui mi vedo qualche volta la sera, per bere qualcosa o per cenare. Ma il più delle volte torno nel mio appartamento stanco e non ho più voglia di uscire. Lavoro spesso anche il sabato e la domenica, tanto non avrei molto altro da fare.
Claudio, Direttore di stabilimento di un’azienda tessile
Strategie di successo nella gestione degli espatriati in Cina
“Avevo chiesto di andare negli Usa, mi hanno mandato in Cina” scherza un espatriato italiano di una multinazionale, peraltro soddisfatto fino al momento dell’intervista del suo trasferimento con la famiglia, avvenuto qualche mese prima, e che si protrarrà per altri due anni.
Alla domanda se ha svolto una formazione interculturale prima di partire, con nostra sorpresa, dice di no, che nessuno gli ha fornito i minimi strumenti di decodifica delle cultura cinese. Hanno fatto tutto da soli, lui e sua moglie, comprandosi prima delle guide e poi alcuni testi sulla storia. “Ma avrei un sacco di altre cose da imparare, solo che adesso non ho più tempo, perché il lavoro è molto. Mia moglie invece sta continuando a leggere e a frequentare i musei e ad imparare la lingua, cosa che non posso fare in modo continuativo in quanto non ho tempo per seguire le lezioni”.
Nonostante che nei programmi di formazione appaiano con frequenza i temi cross culturali pochissimi degli intervistati hanno avuto una formazione di questo tipo, e quanti ne sono stati oggetto hanno ricevuto modelli di natura generica, utili più che altro a creare una sensibilità interculturale, ma poco specifici circa la Cina e la sua cultura.
Il primo elemento di successo nella gestione degli espatriati è il momento della selezione, in quanto la dimensione attitudinale importante in molte posizioni organizzative, diventa capitale nel caso di espatrio, soprattutto in Cina.
Nel caso delle grandi imprese spesso non viene sufficientemente pubblicizzata una posizione aperta all’estero così che non si possono raccogliere le persone più sinceramente motivate. Nelle piccole aziende la concentrazione è spesso sugli aspetti tecnici, sottovalutando le competenze di comunicazione e comportamento.
La prima dote di un potenziale espatriato in Cina è la curiosità e l’interesse, senza queste premesse è difficile costruire le competenze sociali di rapporto con i locali che risultano fondamentali per lo sviluppo delle operazioni.
Paolo Gasparrini, presidente di L’Oreal Asia, sottolinea come la Cina non sia un paese da primo espatrio (Fernandez, Underwood, 2006). E’ bene che le persone si siano sperimentate in altri contesti, prima di arrivare qui.
L’espatriato ideale ha un attitudine da mentore, perché i cinesi aspirano ad un rapporto individuale da cui attingere per imparare.
Sono partito per la Cina alla cieca: il corso di formazione che dovevo fare prima di partire è slittato e non sono riuscito a prepararmi. Ero preoccupato di questo. Poi ho deciso di usare il buon senso e, iniziando umilmente a capire cosa succedeva, ho costruito delle relazioni significative sia con il mio gruppo di riporto, 5 persone cinesi, sia con i colleghi che con il partner cinese della mia azienda italiana. Quando finalmente ho seguito un percorso di Expatriate Coaching ho sistematizzato molte intuizioni, ma mi sono anche reso conto che serve più un atteggiamento di ascolto, di molte ore d’aula!
(Davide, HRM di stabilimento italiano in Cina)
La formazione deve essere di natura molto operativa. Quando una persona ha scelto di partire è forse inutile che sappia le classifiche di Hofstede , oppure conosca i modelli di Trompenaars, ed altri teorici della cross culturalità, che anzi potrebbero indurgli più sofisticati stereotipi dei quali e non sempre troveranno riscontri oggettivi nella vita quotidiana .
Questi stereotipi, identificati come “cartoline culturali” , sono ottimi per una prima spiegazione sulle culture, ma spesso mancano della necessaria dinamicità che si crea nei rapporti tra le persone (Gonzalez, Santoro, 2005). È bene invece che impari che i biglietti da visita vanno dati rigorosamente con due mani, che non bisogna mai interrompere una persona che parla, soprattutto se ha un ruolo riconosciuto, che bisogna nelle conversazioni portare rispetto e salvare sempre la faccia propria e quella dell’interlocutore, che il ruolo del capo è prendere decisioni.
Anche nella valutazione del personale vi sono modalità rispettose o lesive della dignità e quindi imparare a dare un feedback di merito, senza invadere la sfera personale, è competenza manageriale in tutto il mondo, ma importantissima in Cina e nelle regioni asiatiche in genere.
La formazione dovrebbe trasformarsi in accompagnamento durante la missione. In questo frangente possono essere utili pratiche individuali come quelle di coaching sottolineate in diverse occasioni. Jack e Stage (2005) individuano in questa assenza di assistenza sul campo uno dei fattori più critici nella gestione dell’espatrio.
Il supporto alla famiglia si traduce nei tradizionali aspetti di aiuto a trovare casa, supporto economico nell’affitto, fornitura di servizi domestici, aiuto nel reperire le scuole per i figlio e supporto economico nel pagamento delle rette. Solo poche aziende iniziano a preoccuparsi delle famiglie a doppia carriera, in cui il partner viene aiutato nel trovare una nuova collocazione.
In questo campo si dà ancora spesso per scontato che l’espatriato è l’uomo, accompagnato da una moglie completamente dedita alla casa e ai figli. Questo modello sta cambiando il tutto il mondo ed è bene che anche le aziende si dotino di modalità di lettura più ampie.
La definizione della remunerazione per un espatriato dipende dalla tipologia di azienda e dalle politiche salariali in vigore.
Nelle multinazionali solitamente si parte dallo stipendio percepito in patria con un aumento in relazione alla posizione e al tempo di permanenza. Di importanza fondamentale, ad integrazione della retribuzione, sono i supporti alla rilocazione, sia per l’alloggio che per il supporto alla famiglia.
Oggi si osserva un aumento di persone, soprattutto basate ad Hong Kong e Taiwan, che si stabiliscono definitivamente nel paese, cambiando il contratto di espatrio con uno locale.
Per le PMI la remunerazione non è oggetto solitamente di una politica specifica, ma viene decisa congiuntamente con l’espatriato caso per caso ed in relazione alla posizione.
In termini quantitativi, parallelamente ad un aumento degli espatriati e ad un miglioramento generale della qualità della vita, sono diminuiti i “pacchetti” di offerte che negli anni precedenti erano decisamente allettanti. Oggi la dinamica salariale e di offerte rimane comunque significativa, nonostante il deciso aumento del numero di espatriati, perché non accenna a diminuire la domanda.
I due fenomeni concomitanti di una continua crescita economica e della scarsità del personale locale, mantengono alta la domanda di espatrio dei tecnici e dei manager occidentali. Basti pensare che dati gli elevati costi di degenza ospedaliera degli istituti internazionali una assicurazione medica familiare per quattro componenti può tranquillamente oscillare intorno ai cinquemila euro annuali, cui si assomma un affitto di tremila euro all’anno per un appartamento centrale in un residence e diecimila euro annuali a figlio per una retta scolastica
Dal punto di vista aziendale l’espatrio costituisce sicuramente un costo considerevole, ma dà anche alcune significative garanzie. In primo luogo se proviene dalla casa madre , oppure da altre società se si trattasse di un gruppo, offre oltre agli obiettivi specifici richiesti dalla posizione, una continuità culturale nelle pratiche e politiche dell’azienda alla quale si appartiene; possono aiutare nel meglio comprendere le necessità e le modalità di funzionamento della realtà cinese lavorando come “agenti sul campo” e traducendo questi aspetti alla casa madre per facilitare il successo delle operazioni; servono come esempio – anche in modo inconsapevole - per aspetti di comunicazione e di comportamento, aiutando i locali ad acquisire quelle meta competenze indispensabili per un buon funzionamento organizzativo sia all’interno della delocalizzata, sia all’esterno quando ci si deve coordinare con il resto dell’azienda fuori dal paese.
Sono inoltre depositari di informazioni importante sul campo per supportare le decisioni strategiche contribuendo ad ampliare le fonti di informazione , ed evitare che le decisioni siano fatte a tavolino in qualche altra sede che non conosce i contesti nazionali.
Il conclusivo momento critico per un espatriato è il ritorno. E’ innegabile che, accanto alle molte difficoltà, in Cina si viva in condizioni di privilegio. Primo fra tutti è il costo della vita decisamente inferiore che consente di mantenere un tenore generale molto più elevato che nel paese di origine. A parità di costo di un aiuto domestico se ne possono avere due, è possibile muoversi sempre in taxi, e così via.
Altri aspetti privilegiati, quali il network e le opportunità sociali, sono invece appannaggio di coloro che abitano nelle città, mentre gli espatriati nei piccoli centri possono vivere una dimensione di reale e pericoloso isolamento.
Le difficoltà del ritorno quindi non sono univoche, ma dipendono dalle caratteristiche dell’assegnazione. Si tratta spesso di uno shock culturale rovesciato. La permanenza fa assorbire a poco a poco, quasi in modo inconsapevole, modalità di comunicazione e prassi di comportamento proprie del paese in cui si vive, aspetti di cui si rende conto solo nel momento del ritorno in patria.
Espatrio e differenze di genere
“Guardati in giro. Moltissimi degli uomini presenti ha delle compagne cinesi, ma nessuna delle donne si è sposata con un locale. E nessuna delle donne che conosco è stata seguita dal marito in questa avventura cinese, mentre gli uomini spesso si spostano con la famiglia”
Giorgia, avvocato italiano a Shanghai durante un incontro della comunità d’affari italiana
All’interno della dinamiche generali di aumento del personale femminile nelle posizioni manageriali, anche alle donne vengono offerte sempre maggiori possibilità di espatrio. Caligiuri, Joshi e Lazarova (1999) descrivono un innalzamento dal 5% degli anni 90 al 14% circa attuale. Ciò significa che ogni 100 espatriati in partenza 14 sono donne, un dato da non sottovalutare e sicuramente in crescita.
Dal punto di vista delle prestazioni, positive appaiono negli scenari cross culturali le maggiori capacità di ascolto al femminile, la curiosità e la flessibilità comunicativa. Anche in questo, come in altri campi, non esiste una difficoltà femminile nell’occupare e sostenere le posizioni, ma anzi, una volta inserite le donne appaiono dare un valore aggiunto significativo (Prandstraller, 2007)
Un filo conduttore sembra collegare le donne espatriate da noi incontrate. Esse sono tutte single e nessuna ha avuto il partner al seguito, modello che invece al maschile è molto frequente. Il significant other come viene denominato il partner che segue l’espatriato nella correttezza politica delle multinazionali, è nella nostra ricerca, sempre una donna.
La solitudine manageriale, una considerazione personale che spesso tiene lontane le donne dai piani alti delle organizzazioni , nel caso dell’espatrio diventa una sensazione permanente (Bombelli, 2004).
L’integrazione sia con le comunità di espatriati che con i locali ha evidentemente caratteristiche diverse al maschile e al femminile. Gli uomini soli lontani da casa hanno spesso luoghi privilegiati di ritrovo dove prevale quel sottile senso di cameratismo, fino ai confini poco chiari dei karaoke club, i luoghi di ritrovo cinesi dove ci si può limitare a bere e cantare, o dove cercare compagnia; le famiglie formano un gruppo a sé stante, così che è difficile per le donne trovare un network appropriato.
Inoltre, come osserva la testimone all’inizio di questo paragrafo, la consuetudine culturale vigente prevede una relativa facilità nella formazione di coppie miste dove la donna è locale, mentre il contrario non avviene praticamente mai.
Le donne espatriate sono quindi molto consapevoli dell’orologio biologico, del limite di età a cui possono tendere prima di tornare, se vogliono sviluppare anche l’altro versante della loro vita, quello familiare.
“Mi piace vivere a Shanghai, ma mi sono data un limite verso i 38 anni. Poi torno in Italia e spero di incontrare qualcuno. Prima di partire avevo un fidanzato, ma il nostro rapporto non ha resistito alla distanza. E qui è molto difficile costruire una relazione significativa. Ho sempre immaginato un mio futuro di madre e non intendo rinunciare. Ma mi trovo in una situazione difficile: qui c’è la mia vita, ma stare qui significa fare una scelta troppo radicale.” Lara, consulente
Un tema, quello delle scelte, che attraversa tutte le esperienze femminili manageriali molto coinvolgenti dal punto di vista dell’impegno sia professionale che temporale, ma che nel caso dell’espatrio in paesi molto diversi, diventa quasi un aut – aut.
Un aspetto che viene sottolineato come positivo è che nessuno dei collaboratori mette in discussione il capo perché donna, come invece accade in molte altre culture.
L’atteggiamento governativo
Il governo cinese sta giocando un ruolo fondamentale nel favorire l’ingresso degli espatriati nel paese. Le norme sono diventate sempre meno farraginose seguendo l’esempio di quelle che accompagnano gli investimenti esteri. Oggi vengono consentiti investimenti esteri in quasi tutti i settori industriali e nella grande distribuzione. Le regolamentazione sollecitano le aziende non cinesi a stabilire una FICE (Foreingn Invested Commercial Entreprise) sul territorio cinese che può agire come centri all’ingrosso, catena di distribuzione o franchisee.
Questo atteggiamento generale verso gli stranieri è alla base per una buona accoglienza degli espatriati.
La vita degli espatriati è drasticamente cambiata negli ultimi 10 anni e nelle grandi città come Shanghai, Beijing a Guangzhou (Canton), la qualità delle vita è paragonabile se non addirittura superiore a quella offerta dalle capitali occidentali.
Requisiti che sono necessari per ingresso espatriati per motivi di lavoro in Cina
Condizioni base per l’assunzione Una società stabilita in Cina può assumere degli stranieri seguendo determinate regole e ottemperando ai seguenti requisiti:
La persona deve essere maggiorenne, quindi di età superiore ai 18 anni,
Deve avere un’esperienza documentata e delle competenze professionali che non siano disponibili nella forza lavoro cinese,
Deve avere una fedina penale pulita
Ai dipendenti che arrivano da Hong Kong, Taiwan, Macao si applicano delle regole particolari,
Passaporto valido
Approvazione dall’ufficio del lavoro locale
Per ottenere un certificato di lavoro occorre :
il permesso di lavoro, emesso dall’Ufficio del Lavoro locale,
il visto di lavoro, emesso dall’Ambasciata Cinese o dal Consolato Cinese,
il certificato di assunzione al lavoro emesso dall’Ufficio del Lavoro locale, solitamente entro 15 giorni dall’entrata in Cina del dipendente,
il permesso di residenza che è emesso dall’ufficio della pubblica sicurezza locale entro 30 giorni dall’ingresso in Cina dell’espatriato.
Se l’espatriato porta con sé la famiglia sono ammessi il coniuge e i figlio minori di 18 anni.
Essi devono dimostrare il loro legame con l’espatriato attraverso un certificato di matrimonio (la Cina non riconosce le coppie di fatto)
Per i membri della famiglia è obbligatorio un permesso di residenza. Se sono stati concessi tutti gli altri permessi, questo di solito viene dato di conseguenza.
Se la moglie o il marito di un espatriato che lavora in Cina volesse lavorare, dovrebbe richiedere un permesso di lavoro non un esclusivo permesso di residenza; se chiede solo un permesso di residenza e poi trova lavoro in Cina, deve richiedere tutti gli altri permessi e documenti, in maniera analoga all’espatriato.
Per concludere, la realtà dell’emigrazione permane più che mai attuale anche nel contesto moderno dell’economia globalizzata. Cambia il lessico, ci si definisce espatriati e non emigranti, cambiano le motivazioni e le destinazioni, ma aumenta il numero delle persone che per periodi più o meno lunghi, devono modificare le proprie abitudini, i loro stili di vita e fare i conti con un cambiamento ancora più sostanziale, quello della loro personale identità. Ogni viaggio in un mondo diverso comporta il fare i conti con le proprie radici. Sono proprio questi nuovi viaggiatori che vivono in prima persone le antinomie e le contraddizioni tra locale e globale.
Le prospettive legate all’attuale situazione migratoria sono tutt’altro che marginali e si pongono alla base di nuove dinamiche sociali ed organizzative. Dal brain drain – la fuga di cervelli - allo stanziamento permanente in nuove aree quali l’estremo oriente, si assiste a nuove tipologie migratorie che seppur contenute a livello quantitativo possono lasciar presagire future contaminazioni culturali e nuove dinamiche sociali.
Dal punto di vista delle destinazioni, se un tempo la frontiera era soprattutto l’America, sempre presente nell’immaginario popolare come destinazione mitica, in cui poter finalmente sviluppare le proprie potenzialità, oggi, in questo contesto di economia globalizzata, l’Estremo Oriente risulta un attrattore di talenti esteri e di persone in cerca di un nuovo eldorado, un nuovo american dream. Realtà come Shanghai e Beijing (Pechino) suscitano sogni ed investimenti emotivi completamente diversi da un passato in cui prevaleva esclusivamente l’aspetto esotico.
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