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Conoscersi per capirsi: la comunicazione interpersonale tra italiani e cinesi


Conoscersi per capirsi: la comunicazione interpersonale tra italiani e cinesi



con Alessandro Arduino


Alessandro Arduino – laureato in Lingue Orientali, Master Sc. Public Policy and Management Università di Londra, ricerche sul Cross Cultural Management in Giappone, Cambogia e Cina.





Ascolta le due parti e vedrai la luce,

credi ad una sola e resterai nelle tenebre

(motto di Wei Zheng consigliere dell’Imperatore Tai Zong della disnastia Tang)



Premessa


Quando due persone comunicano in un contesto organizzativo, mettono in gioco diversi aspetti e caratteristiche individuali.


Gli elementi che contribuiscono a creare la “diversità personale” sono molteplici e possono essere classificati in quattro livelli. Il primo, il nucleo centrale, riguarda la personalità individuale, il secondo, la dimensione interna della diversità, raggruppa quegli elementi immodificabili della storia personale quali l’età, il genere, le preferenze sessuali, la razza e il gruppo etnico di appartenenza.


Il terzo livello, quello delle dimensioni esterne, afferisce ad aspetti soggettivamente modificabili quali la localizzazione geografica, il reddito, le abitudini personali, l’aspetto, lo stato civile, la condizione familiare, l’istruzione e le esperienze di lavoro.

Infine esistono delle diversità legate all’organizzazione, quali il livello funzionale, il contenuto del lavoro, lo status manageriale, l’anzianità e così via; elementi tutti modificabili nel tempo (Gardenswartz, Rowe, 1994).


Le sfaccettature della diversità considerate dal punto di vista del soggetto costituiscono differenti maschere identitarie che si indossano a seconda delle situazioni. Una donna, di 30 anni, nata di una città dell’Italia del nord, insegnante, madre e moglie, con interessi culturali, giocherà diversi aspetti della propria identità a seconda dei contesti in cui si troverà ad operare e di coloro che incontrerà in questi ambienti. “La presunta identità comune si scompone immediatamente, appena cerchiamo di definirla, in molteplici appartenenze politiche, culture professionali, sensibilità di genere, generazione, territorio, famiglia, gusti e così via” (Mantovani, 2004). Nel contempo, e proprio virtù delle differenze culturali, una donna di analoghe condizioni, ma abitante a Shanghai, probabilmente manterrà la propria identità di insegnante in tutti i contesti ad eccezione del nucleo familiare. Il ruolo di insegnante ancora carico di valori etici non rientra solo in una classificazione di tipo impiegatizio basata solamente sul reddito, bensi’ nel ruolo confuciano di educatore e promulgatore dei valori sociali che costituiscono i cardini del gruppo. Pertanto un insegnante deve mantenere il proprio status ed il proprio comportamento in tutti gli apsetti del quotidiano all’interno del gruppo.


La provenienza culturale ed etnica è, di conseguenza, uno degli aspetti dell’identità multipla, ma non necessariamente il più rilevante. La personalità, così come la scolarità, il genere ed il contesto storico sono elementi a loro volta molto significativi. Non solo, ma il comportamento può essere influenzato anche da momentanee situazioni emotive (Samovar, Porter, 1963)


Questa riflessione preliminare è necessaria per prendere le distanze da modelli interpretativi che privilegiano gli aspetti culturali come unico elemento caratterizzante la comunicazione.

La cultura soggiace ad una duplicità irriducibile. E’un tema fondamentale per comprendere alcuni aspetti della comunicazione interpersonale e dei malintesi possibili ad essa correlati, ma contemporaneamente, se utilizzata come elemento totalizzante, rischia di creare stereotipi, e di innalzare barriere ed allontanare invece di appianare conflitti e avvicinare.

Ad esempio i recenti casi delle acquisizioni cinesi di societa’ straniere: IBM da parte della Lenovo, Thomson da parte della TCL ed il tentativo della Haier di assumere il controllo della Maytag, hanno creato lo stereotipo di acquisizioni facili a scapito di una lenta strutturazione delle operazioni oltremare “buy fast rather than build slow”.


Di conseguenza, ogni volta che due persone cercano di comunicare, si possono trovare di fronte ad elementi agevolanti od ostacolanti in relazione alla relativa distanza di alcuni degli aspetti identitari sottolineati. Un giovane avrà forse un background di cultura ed esperienze minori di un anziano, mentre l’età potrebbe diventare un elemento secondario tra due persone entrambe appassionate di archeologia, che privilegiano la comunicazione specializzata.


In questa logica gli elementi di natura culturale assumono una importanza crescente tanto maggiore è la distanza che intercorre – per diversi aspetti, tra loro anche divergenti – tra i contesti in esame, come è il caso dell’Italia e della Cina, i contesti geografici che verranno affrontati in questo lavoro.

Lo scopo quindi che ci si prefigge, è di costruire uno schema interpretativo degli elementi ricorrenti nella comunicazione tra italiani e cinesi che possono costituire esempi di malintesi e conflitti potenziali.

E’ importante però mettere in guardia dall’uso manualistico delle riflessioni interculturali che, se interpretate rigidamente, invece di aiutare ad appianare asperità comunicative, contribuiscono a creare nuovi e sofisticati stereotipi (Osland, Bird, 2000). E’ stato questo, ad esempio, il destino di

molte interpretazioni meccanicistiche degli studi di Hofstede o del più recente progetto Globe (House, Javidan, Hanges, Dorfman, 2002). In questi casi il lodevole tentativo di trovare modalità di comparazione culturale attraverso delle classificazioni ha spesso prodotto una supremazia del dato a scapito della complessità ad esso soggiacente. Come sottolinea Turner (1993) “Si rischia di “reificare” le culture come entità separate sopravvalutandone le diversità e l’impermeabilità dei confini: si rischia di sopravvalutarne l’omogeneità interna in termini che possono legittimare richieste repressive di conformità al gruppo; infine (…) si rischia di farne dei feticci sottratti all’analisi critica”. Se questo vale ogni volta che si sovrappongono i confini geografici con quelli culturali, classificando le persone come americani, italiani o austriaci, il rischio si amplifica per un paese vasto e complesso come la Cina. Un giovane di Shanghai, ad esempio, avrà le sue radici identitarie nel confucianesimo, nella rivoluzione culturale, o nel socialismo di mercato? E un giovane della stessa età, ma cresciuto nelle minoranze etniche del Xinjiang?

La tumultuosa storia recente e le profonde radici passate di questo grande paese aggiungono complessità e sfaccettature che rendono difficile qualsiasi tentativo di rapida classificazione.


Ogni riflessione proposta, di conseguenza, pur provenendo sia da fonti teoriche che da una lunga esperienza sul campo, deve essere utilizzata come un possibile schema interpretativo soggettivo, da adattare e modificare nelle esperienze concrete.


Infine, per poter approfondire i vari elementi che posso essere utili a migliorare la comunicazione, il flusso integrato e coeso delle transazioni personali verrà distinto in diversi elementi costitutivi, che hanno però solo un’utilità funzionale allo studio stesso. Utilizzando la distinzione proposta da Waltzawich et al. (1971) si distingueranno gli aspetti di contenuto, quelli di relazione e gli equilibri relativi. Particolare attenzione verrà poi data al linguaggio non verbale, al tempo ed alla dimensione rituale come aspetti di rilevante importanza per l’efficacia della comunicazione. Nella realtà questi diversi elementi sono costantemente intrecciati ed il rapporto tra loro sarà continuo e sistemico.


La gestione dei contenuti della comunicazione


Nel flusso della comunicazione si può tentare di distinguere il livello di contenuto, ovvero gli aspetti di informazione, che vengono trasmessi, e quello di relazione, ovvero la dimensione di riconoscimento reciproco che i soggetti si scambiano.

La differenza di abitudini nel proporre contenuti è anche riconducibile ad un differente approccio culturale ed in ultima analisi ad una differente percezione della realtà. Il modo in cui la realtà viene percepita e codificata influenza ogni processo cognitivo ed, a sua volta, il risultato di tale processo influenza le modalità percettive. Di conseguenza, la realtà lungi dall’essere oggettiva, è soggetta all’interpretazione personale e culturale (Berger, Luckmann, 1977)


Per tentare di definire “l’altro” in ambito interculturale è utile qualificare il connubio cultura societa’. Utilizzando il modello proposto originariamente da Hall (1976), pur con i rischi di schematismo che ecco comporta, in Estremo Oriente e nella fattispecie in Cina la cultura puo’ essere definita come High Context Culture. Secondo Hall “Una comunicazione, o messaggio, si dice ad alto contesto quanto la maggior parte dell’informazione risiede nel contesto fisico o è implicita nella persona, mentre assai poco risiede nelle parti esplicite, codificate trasmesse dal messaggio”, mentre una cultura a bassa contesto trasmette la maggior parte delle informazioni attraverso il codice esplicito della lingua.


La Cina è quindi del primo tipo perché le manifestazioni culturali sono implicite ed immerse in una elaborata struttura relazionale, mentre la società risulta composta da persone aventi dei rapporti stretti per un lungo periodo temporale con dei confini relazionali ben definiti. Ne consegue che in ambito comunicativo le relazioni sono considerate obiettivi gerarchicamente superiori e quindi risulta più importante come si convoglia un messaggio rispetto al suo contenuto essenziale. Viceversa una cultura di tipo lineare, Low Context Culture, come nel caso di una comunità d’affari di espatriati in territorio cinese, è legata ad una società composta da persone che si relazionano in modo spesso superficiale e durante un periodo limitato di tempo. In essa le manifestazioni culturali sono espresse appieno in maniera esplicita in modo che i nuovi arrivati possano rapidamente comprendere quali siano i comportamenti accettabili. La struttura relazionale e’ meno densa con confini flessibili e non rigidamente demarcati. Gli obiettivi pertanto risultano piu’ importanti dei rapporti interpersonali.


Un elemento di grande importanza per comprendere l’evoluzione della società cinese è il ruolo che giocano gli altri sui comportamenti del singolo. Questa influenza, probabilmente, è strettamente legata alla densità della popolazione cinese che prospetta sempre una prevalenza delle dimensioni collettive e di grande gruppo su quelle individuali o di piccolo gruppo. Un’ipotesi ancora più remota della dimensione collettiva risale alla necessità di sviluppare un lavoro coordinato nel tenere sotto controllo attraverso i fiumi le risorse idriche, ricchezza e contemporaneamente, pericolo per i rischi di inondazioni. Il complesso sistema di canalizzazione messo precocemente in atto richiedeva sia un governo centrale efficiente che un gruppo sociale coordinato (Brunori, 1988).


In Cina, di conseguenza, la società è di tipo collettivo incentrata sulla partecipazione alle attivita’ del gruppo con una elevata importanza nel creare e mantenere network interpersonali (guanxi). La lealtà all’interno del gruppo è intrinsecamente legata alla confidenza ed alla fiducia indiscussa per gli apparteneti al medesimo.

Inoltre, la percezione della realtà è concentrata sul presente ed è percepita come un flusso. Essa và analizzata come un continuum cognitivo in quanto i componenti del gruppo sono costantemente partecipi e non osservatori distaccati.


Contrariamente il caso occidentale, ed italiano nella fattispece, è contraddistinto da una società individuale in cui la realtà è percepita come statica e quindi sezionabile, dal tutto in parti, in termini spazio temporali ed analizzabili in termini dialettici. Il poter scomporre la realta’ in parti, in un orizzonte temporale non limitato, pone l’individuo in una posizione di osservatore esterno, posizione difficilmente concepibile in una società collettiva in cui il gruppo è sempre all’interno del flusso degli eventi.


Nelle società asiatiche i processi cognitivi tendono pertanto ad essere maggiormente concreti e pragmatici e le stesse intuizioni si basano comunque su pratiche consolidate nel tempo ed avvalorate dal gruppo.


Per quanto concerne le societa’ europee i processi cognitivi tendono all’astrazione ed alla razionalita’ con un ampio spazio alle strategie a lungo termine.

Traducendo in esempi queste differenze si può immaginare un processo di negoziazione di affari in cui il gruppo cinese predilige un approccio basato sulla formalità e su un comportamento rituale codificato in cui l’aspetto temporale viene del tutto marginalizzato. Nel contempo una delegazione italiana in visita ad uno stabilimento cinese per portare a termine un contratto punta a minimizzare il dispendio di tempo – costi per la trasferta e sovente non facile adattabilità alla cucina locale! - favorendo un approccio finalizzato alla conclusione rapida del contratto in cui le problematiche annesse possono essere risolte mediante una discussione diretta ed informale.


E’ necessario sottolineare inoltre che il momento formale della firma del contratto, è visto da un europeo come vincolo ben definito e quindi punto di arrivo di una negoziazione, per la parte cinese esso viene concepito invece come punto di partenza, una definita situazione di equilibrio ed armonia che puo’ cambiare nel tempo, anche in maniera solamente verbale senza particolari vincoli. Una volta cambiati i rapporti di forza tra le due parti, ed essendo la parte italiana comunque al di fuori del gruppo, viene di conseguenza meno l’equilibrio nonché i rapporti di potere definiti da un contratto percepito come obsoleto. Non essendo quindi il contratto inteso in ambito cinese come vincolo immutabile nel tempo, in quanto la realtà stessa è in continua evoluzione, risulta prioritario costruire un rapporto di reciproca fiducia ed armonia tra la due parti.


E’ questo il ruolo di una negoziazione lenta, che permette alle due parti di conoscersi in una situazione di comunicazione in cui la ritualità, lasciando poco spazio all’improvvisazione, punta ad evitare la tanto temuta perdita di faccia in pubblico (mianzi), in quanto eventuali disaccordi e problematiche vengono discusse a latere tramite portavoci o momenti conviviali quali i banchetti. In questo caso entrambe le parti possono preparare le proprie strategie e negoziare le parti piu’ difficili di un contratto senza rovinare l’armonia all’interno del gruppo di negoziazione con inutili diverbi.


La società collettiva cinese ben si esprime durante il processo di negoziazione in cui sovente risulta difficile capire chi è la persona che effettivamente prende le decisioni. Non solo la decisione è collettiva, ma spesso è presa da persone non direttamente coinvolte nelle trattative e con un fine ultimo che può essere del tutto estraneo alla logica di mercato che un manager italiano si aspetta di dover incontrare durante le trattative.


Non ultimo, il retaggio delle società a totale capitale statale e delle unita’ di lavoro ha permeato intere generazioni di lavoratori cinesi con il detto duo zuo duo cuo, che può essere tradotto con “chi più fa più sbaglia”. In questo caso i processi decisionali vengono del tutto spogliati da ogni iniziativa individuale ed intuitiva a favore di decisioni collettive basate sull’esperienza passata. In caso di fallimento non risulta il singolo colpevole poiché la scelta si è formata sulla base di pratiche avvalorate nel tempo.

Per la parte italiana dello scambio, viceversa, innovare implicherebbe prendere una posizione individuale con i relativi rischi annessi.


I contenuti, come è intuibile, vengono trattati in modo logico completamente diverso se la realtà viene percepita come flusso e in modo olistico, o se invece la si approccia in modo analitico e divisibile.


“Particolarmente interessante (e fonte di grandi fraintendimenti interculturali, soprattutto nella comunicazione all’interno delle organizzazioni) è la differenza nella logica del discorso e nello stile di argomentazione, che nelle cultura a basso contesto è lineare e diretto, mentre in quelle ad alto contesto è circolare e ambiguo: girare intorno al punto è un modo di metterlo in evidenza con rispetto, mentre andare direttamente al punto può sembrare rude e grossolano; viceversa, non venire mai al punto può risultare in una cultura a basso contesto, estremamente irritante” (Giaccardi, 2005)


Le mappe mentali soggettive sono anche legate in modo profondo alla lingua che le esprime. Una differenza sostanziale tra l’italiano e il cinese, come in generale per la struttura delle lingue sillabiche e ideogrammatiche, riguarda la possibilità di articolare in modo diverso il discorso. Senza addentrarci in aspetti specialistici che esulerebbero i confini del presente lavoro, nella comunicazione quotidiana è utile comprendere che la lingua cinese è poco strutturata dal punto di vista grammaticale e, di conseguenza, la sua comprensione è strettamente collegata al contesto in cui il messaggio risulta inserito e dalla comunanza del sostrato culturale cui gli interlocutori appartengono.


Le lingue occidentali, ed in particolare l’italiano, hanno una flessibilità notevole (ad esempio l’uso dei congiuntivi e dei condizionali) che possono arricchire di significati la conversazione.

La lingua a cui ciascuno è abituato risulta quindi essere una sorta di presupposto, poco negoziabile, se non si fa lo sforzo di comprendere il punto di partenza altrui.


Ancora molti sostengono che l’uso di una scrittura ideogrammatica comporti l’utilizzo paritario dei due emisferi cerebrali, mentre una scrittura attraverso le lettere si condensa sull’emisfero sinistro, quello della logica e delle linearità.

Suggestioni queste che non possono essere approfondite in modo specialistico, ma su cui interrogarsi circa l’influenza della storia reciproca sulla costruizione delle mappe mentali, e quindi delle eventuali incomprensioni che si possono produrre. Il nostro obiettivo trovare una “terra di mezzo” per consentire lo scambio.


Infine i contenuti della comunicazione vengono profondamente condizionati dall’orientamento culturale verso l’astrazione o la concretezza.

E’ questo un aspetto che vede italiani e cinesi su fronti opposti, spesso confliggenti.

In Italia il pragmatismo è spesso visto con disprezzo, mentre viene valorizzata la speculazione astratta e la discussione sul significato di alcuni termini utilizzati, mentre in Cina la forte componente meritocratica tuttora permanente chiaramente esemplificata dal sistema degli esami imperiali per i funzionari di stato (mandarini) e supportata dal pensiero confuciano, conducono ad uno spiccato pragmatismo e ad una omologazione culturale.


La gestione delle relazioni


La dimensione relazionale è il media attraverso cui i contenuti passano. Nella pragmatica della comunicazione, contenuto e relazione vivono un equilibrio imprescindibile. Questi due livelli della comunicazione si avvalgono di due linguaggi, il primo di quello verbale, la formulazione dei pensieri e l’articolazione delle informazioni che si intendo trasmettere, il secondo di un linguaggio analogico, legato alla tonalità della voce, ai diversi elementi del linguaggio non verbale, alla prossimità reciproca, alla velocità / lentezza con cui i contenuti vengono proposti e così via. La tipologia di relazione si compone da una miriade di micro segnali che compongono la posizione reciproca di un interlocutore rispetto all’altro.


Il linguaggio analogico utilizzato costruisce sempre un’alea di imponderabilità nella comunicazione personale che si riflette in domande quali “Cosa avrà voluto dire, esattamente?”, “Aveva un tono conciliante, ma lo sguardo ironico…” e così via. Ciascuno coglie contraddizioni, segnali positivi e negativi in dipendenza da molti fattori, compreso il proprio umore personale.

E’ evidente come, in un contesto interculturale, nello scambio comunicativo a livello relazionale, siano in agguato una serie di malintesi che possono essere anticipati comprendendo le caratteristiche prevalenti delle culture che si trovano ad incontrarsi.


Nel caso in oggetto, l’importanza delle relazioni interpersonali nel costruire un proprio network personale in accordo con regole etiche e sociali predefinite (guanxi) è una caratteristica comune alle societa’ orientali ed in particolar modo in quella cinese. Lo stesso termine in Giappone ed in Indonesia puo’ essere tradotto rispettivamente con kone e bapakism ed include l’importanza nel costruire sin dall’infanzia un network obbligazionale di relazioni all’interno del gruppo. Già la scelta della scuola elementare da frequentare è compiuta dai genitori con l’idea ben precisa di inserire il proprio figlio in un gruppo sociale su cui fondare i propri punti di appoggio futuri.


Una volta raggiunto un impiego stabile il network relazionale creato negli anni di studi universitari serve al manager cinese per velocizzare pratiche burocratiche od attingere informazioni chiave mediante l’alumni network precedentemente creato. Non necessariamente le guanxi devono essere dirette, ma si possono utilizzare guanxi altrui per raggiungere un determinato obbiettivo. Per esempio nel velocizzare una pratica di registrazione di uno statuto societario non necessariamente il manager cinese deve conoscere direttamente il responsabile dell’ufficio competente ma può utilizzare un proprio conoscente con le giuste guanxi per raggiungere l’obbiettivo. A questo punto il favore dovrà essere egualmente ripagato verso il proprio interlocutore e non quello finale. Nell’ambito della collettivita’ cinese il dare e ricevere favori è legato ad una prospettiva a lungo termine mentre nella societa’ individuale è legato maggiormente ad una forma contingente di do ut es. Ne consegue che rispetto alla lealtà ai membri del gruppo di maggiore importanza per i cinesi, si ricorre maggiormente a lealta’ oggettive dettate da un approccio analitico basato su valori assoluti.


Indubbiamente l’approccio italiano, se confrontato con altri paesi europei, risulta più vicino a quello cinese che non a quello per esempio danese, ma è proprio la dimensione temporale dell’utilizzo delle guanxi a demarcare una netta differenza. L’approccio cinese, caratterizzato da una visione a lungo termine nel creare una rete di conoscenze ed a ricordare i favori dati e ricevuti si distingue da un approccio italiano piu’ immediato con fini e rapporti causa effetto legati a situazioni temporali limitate. E’ necessario considerare che anche gli alti livelli manageriali cinesi, ad eccezione di coloro i quali si sono formati in universita’ straniere (Stati Uniti per corsi di amministrazione aziendale e Germania per ingenieria sono le mete preferite, anch’esse frutto di uno stereotipo cinese estremamente radicato in ambito universitario sui livelli d’istruzione al di fuori della Cina) derivano da aziende statali gestite un tempo in chiave politica e non economica. Sino ad oggi molte aziende statali cinesi sono state separate dai clienti finali mediante sistemi di controllo e distribuzione controllati dal governo, con il risultato di creare una mentalita’ d’affari avulsa dal contesto di mercato e soprattutto una mancanza di comunicazione e diffusione della conoscenza e delle tecnologie a livello orizzontale tra le società.


Sulla dimensione relazionale influiscono anche le diverse modalità di approccio ai contenuti che sono state sottolineate precedentemente. In ambito non solo negoziale, ma soprattutto gestionale la percezione della realtà e le relative contraddizioni intrinseche portano a problemi di comunicazione tra le parti. Un approccio italiano, e occidentale più in generale, ad esempio, in una situazione di installazione di una linea di produzione tenderebbe a fronteggiare i problemi che via via si presentano in maniera analitica e razionale servendosi dell’intuizione nel gestire nuovi problemi tecnici.


La controparte cinese, preferendo un approccio maggiormente olistico e pragmatico tenderà a confrontarsi con i nuovi problemi in maniera meno flessibile e soprattutto senza un meccanismo di pianificazione basato su rigide scadenze temporali. L’aspettare il giusto tempo per implementare una decisione (ciò che e’ giusto oggi non e’ detto che lo sia domani) viene soventemente interpretato da parte italiana come un inutile attendismo. Gli stessi concetti di capacita’ e creativita’ sono concepiti e valorizzati in maniera differente.


Sempre in ambito di gestione delle relazioni, come accennato precedentemente, risulta essenziale l’apetto confuciano del mantenimento dell’armonia e del consenso all’interno del gruppo. In esso assurge ad importanza primaria il concetto di mianzi ovvero di faccia. Dare e perdere la faccia sono caratteristiche fondamentali per la sopravvivenza all’interno del gruppo . In ambito di negoziazione solo dopo aver stabilito un rapporto di fiducia, di reciproci intenti e di relazioni interpersonali si puo’ iniziare a discutere di affari. Il mianzi puo’ essere rappresentato come capitale di credibilita’ che un individuo accumula all’interno del gruppo (Arduino, in corso di pubblicazione).


Pertanto risulta prioritario durante una negoziazione od una semplice interazione con il “gruppo” cinese, non solo non far perdere la faccia ai propri interlocutori con azioni non prescritte dal protocollo comportamentale, ma risulta estremamente utile favorire l’accrescimento della mianzi, il cosiddetto “dare la faccia” ai propri interlocutori. Un plauso pubblico ad un interprete per la propria bravura nel tradurre sicuramente sarà valutato dal gruppo cinese favorevolmente e l’individuo interessato ne beneficerà in termini di accresciuto rispetto e prestigio. Nel contempo il plauso pubbico ad un collaboratore di livello inferiore del capo delegazione per aver condotto in maniera ottimale una negoziazione, farà perder la faccia al capo gruppo ed alla stessa persona che viene elogiata poiché non viene rispettata la scala gerarchica ed il protocollo. Il plauso dato al capo gruppo (nonostante, come spesso avviene, non sia quello che parla la lingua comune alle parti o non sia quello che prende posizioni in pubblico) ricade automaticamente su tutto il gruppo mentre la scelta di “dare la faccia” ad una persona specifica deve essere attentamente valutata in funzione della poszione e delle competenze coinvolte.


Nell’ambito della gestione delle relazioni all’interno di una organizzazione, in particolar modo nelle grandi società cinesi, risulta utile definire il ruolo della cultura legata alle organizzazioni informali. Guanxi e differenti culture all’interno di una organizzazione determinano il sorgere e l’evolversi di correnti interne o meglio definite organizzazioni informali. La facciata di una societa’ viene chiaramente percepita in termini formali quali: struttura, dimensione, tecnologia e strategia implementata. Tutte dimensioni che possono essere quantificate in valori assoluti: numero di impiegati, risorse finanziarie, macchinari utilizzati ed obbiettivi a breve, medio e lungo termine.


Questi aspetti compongono quello che puo’ essere definito come parte “visibile” di una organizzazione e quindi inteso come organizzazione formale. (French, Bell, 1990 ).

In essa, nella tradizione dell’approccio culturale alle organizzazioni (Shein, 1996), si riscontra anche una parte informale legata ad attitudini, valori e norme comportamentali che possono differire anche in maniera notevole da quelle formalizzate. In una azienda cinese, come gia’ citato, conflitti e politiche all’interno del gruppo non possono essere discussi apertamente, pertanto la valutazione e la gestione del ruolo dell’organizzazione informale riveste una conidtio sine qua non se si vuole gestire un rapporto di partenariato oppure se si ha l’arduo compito di ristrutturare una societa’ statale recentemente acquisita. Le correnti interne ad un’organizzazione formale cinese sono permeate di rapporti di guanxi e fedeltà nei confronti del proprio capogruppo che spesso non corrisponde al diretto superiore nella gerarchia aziendale.


Obbiettivi politici e non prettamente meritocratici od in chiave di economia di mercato complicano ulteriormente l’analisi ed il riconoscimento dell’importanza del ruolo delle organizzazioni informali all’interno di una struttura. Dalla semplice negoziazione di un contratto all’implementazione di una politica di cambiamento strutturale all’interno di un’organizzazione risulta fondamentale avere una conoscenza a priori degli elementi e dei rapporti di forma che compongono le organizzazioni informali in modo da prevedere e prevenire i risultati dei rispettivi processi di contrattazione ed implementazione dei cambiamenti.


Peraltro gli italiani conoscono bene queste tipologie di situazioni che hanno spesso caratterizzato le strutture organizzative più o meno direttamente collegate alla politica, oppure aziende familiari di seconda e terza generazione con referenti diversi che strutturano “cordate” di potere in concorrenza tra loro.


Si può quindi affermare con Morgan (1989) “ La cultura e le politiche di molte organizzazioni limitano il grado dei cambiamenti che potrebbero essere implementati con successo, nonostante questi cambiamenti possano risultare estremamente desiderabili al fine di affrontare le sfide ed i cambiamenti richiesti da un processo di internazionalizzazione”.


La cultura, quindi, come insieme di valori e norme comportamentali condivise da un gruppo può avere una funzione catalizzante o limitante i sistemi operativi dell’organizzazione. Nel caso cinese i processi cognitivi ed affettvi operanti implicitamente nelle organizzazioni, come espressioni di una High Context Culture , sono fortemente benché tacitamente condivisi dai membri dell’organizzazione stessa. Questa situazione tende con molta probabilità a generare comportamenti di rifiuto o quanto meno di resistenza ad ogni cambiamento. Cio’ implica non tanto che la cultura organizzativa all’interno di una azienda cinese non possa essere cambiata, “la cultura puo’ essere cambiata poiche’ cambia ogni momento” Bate (1996), ma che il grado con cui i cambiamenti vengono implementati sia rarefatto su di una lunga scala temporale.



L’equilibrio contenuto / relazione:


Secondo la pragmatica della comunicazione i conflitti interpersonali sono spesso imputabili ad una non corretta gestione dell’equilibrio contenuto – relazione. In particolare quanto la dimensione relazionale prende il sopravvento su quella di contenuto, la possibilità che si sviluppino conflitti è molto alta. In parole semplici, quando prevale l’antipatia o una valutazione valoriale del comportamento, si cessa di ascoltare quello che l’interlocutore dice (Bombelli, 1999).


Partendo da questo presupposto la pragmatica della comunicazione suggerisce che l’invasione del livello di relazione su quello di contenuto può diventare un momento patologico, perché lo spostamento dell’attenzione sulla reciproca posizione relazionale, fa perdere di vista completamente l’oggetto della discussione. Può iniziare una sorta di guerra occulta in cui il contenuto è semplicemente terreno di sconto per l’affermazione individuale.


Nel caso della comunicazione interculturale è più facile che questo accada in quanto ognuno dei soggetti implicati nello scambio non conosce perfettamente le modalità del linguaggio analogico dell’altro.

I malintesi dovuti, ad esempio, a gesti simbolici ancorati al proprio contesto, sono all’ordine del giorno. La mano a palmo aperto che in molti paesi centro europei significa “vai piano”, solo nella vicina Grecia diventa un insulto. Analogamente, la prossimità spaziale che conserva una certa distanza tipica del Nord Europa, viene scambiata per freddezza dai popoli mediterranei che a loro volta trovano del tutto invadente la vicinanza asiatica (Hall, 1966).


Ancora più difficile è la reciproca comprensione del linguaggio non verbale tra le culture a diversità di contesto. Le culture ad alto contesto sono così definite proprio perché gli schemi interiorizzati di ciò che è opportuno fare in una determinata situazione sono molti e variegati, eppure rigidamente memorizzati.

Esiste una sorta di software mentale estremamente ricco e articolato che permette alle persone di trincerarsi dietro un apparenza accettata dal gruppo, senza dover creare in modo flessibile nuove modalità di comportamento.

Nell’equilibrio contenuto – relazione e nei conflitti potenziali ad esso relativi, esistono quindi delle specificità delle culture ad alto contesto, di cui la cinese è la più rappresentativa, che devono assolutamente essere considerate, pena l’interruzione del canale di comunicazione che si sta costruendo.


Come abbiamo già sottolineato il primo elemento fondamentale riguarda la priorità della relazione sul contenuto. La costruzione della guanxi non è un aspetto formale, un rituale che si può assolvere in modo semplice e veloce. Guanxi è la conseguenza di un processo di conoscenza reciproca di lungo periodo che porti al rispetto ed alla mutualità.

Da questo punto di vista gli italiani non differiscono completamente, non sono totalmente ancorati al contenuto, come i tedeschi o i nordamericani. Gli italiani sanno coltivare le relazioni anche in modo intenso e, a volte, patologico. L’essere nelle grazie di una persona di potere agevola, in Italia come in Cina, i percorsi nella burocrazia, piuttosto che l’incontro di opportunità.


Ciò che distingue le due culture sono probabilmente l’orizzonte temporale e la simultaneità della transazione. Nella cultura italiana prevale uno scambio situato “qui ed ora”, senza necessariamente uno sviluppo di lungo periodo.

Viceversa la costruzione della guanxi richiede un sincero e non strumentale interesse verso l’interlocutore e quindi il tempo della costruzione di una fedeltà reciproca (Pearce, Robinson, 2000).


Se il tempo dilatato richiede una pazienza spesso aliena agli italiani, il rispetto che costituisce la pietra fondante la relazione reciproca, passa anche attraverso una attenzione rigorosa alla puntualità.

Questo è un ambito di potenziale conflitto molto elevato: la tradizionale non curanza con cui gli italiani, e i popoli latini in generale, gestiscono gli appuntamenti, possono costituire un involontario insulto per l’interlocutore cinese, che lo interpreta come uno sgarbo, in particolar modo se si tratta di un potenziale cliente od ancor peggio se è un appuntamento concesso da un’autorità pubblica. Lo stato sociale della persona che aspetta è direttamente proporzionale alla puntualita’ richiesta.


Fa parte della buona educazione e dell’etichetta manageriale non fare aspettare le persone, soprattutto tanto più sono elevate nella gerarchia aziendale o istituzionale. E’ norma per le delegazioni cinesi in visita avere almeno 10-15 minuti di anticipo sull’orario prefissato e lo stesso vale per gli inviti personali a banchetti od altri eventi conviviali. Questa norma sembra spesso essere dimenticata dai nostri connazionali in territorio cinese che, probabilmente presi dalla difficoltà di organizzare sé stessi in un territorio sostanzialmente sconosciuto, danno una immagine negativa e che mina alla base la possibilità di costruzione della relazione.

Puntualità, sincera attenzione all’interlocutore e pazienza. Queste dovrebbero essere i mattoni per costruire una relazione che, come vedremo, si sviluppa anche attraverso alcuni rituali di fondamentale importanza.


Per concludere, nell’equilibrio contenuto - relazione si gioca una diversità culturale che vede la supremazia del primo nelle culture che gestiscono la comunicazione in modo analitico razionale , dove valgono principalmente la ragione e il risultato oggettivo. Un processo che ha nella distanza soggettiva un elemento cardine. Viceversa altre culture privilegiano la dimensione relazionale, con un supremazia delle emozioni e di punti di vista soggettivi. In questi contesti la prossimità reciproca è fondamento e risultato della transazione comunicativa, una prossimità non corporea, come vedremo in seguito, ma psicologica.

Gli italiani e i cinesi da questo punto di vista sembrano esprimere entrambi un attenzione molto alta alla dimensione relazionale. Contrapposta invece è la esternazione delle emozioni: estremamente controllata per i cinesi e molto estroversa e colorita per gli italiani.


Il linguaggio del corpo


Il linguaggio del corpo e la sua interpretazione in ambito d’affari risulta particolarmente difficile da parte italiana nei confronti della controparte cinese, mentre al contrario gli occidantali sono dei libri aperti per gli asiatici. Sempre ricorrendo al concetto di gruppo e di società legata alla prossimità e, quindi, alla continua vicinanza dei propri componenti, gli asiatici sviluppano un forte meccanismo di autocontrollo delle proprie emozioni per evitare di turbare l’armonia (anche solo a livello di superfice e delle apparenze) cercando di non far trapelare a livello gestuale qualsivoglia indizio di emozione.


Sovente, ad esempio, un osservatore occidentale, scambia per ilarità il riso che invece, per l’interlocutore orientale, è espressione di imbarazzo. Nel contempo durante una trattativa di lavoro al nascere di problematiche e disaccordi, la parte italiana è usa palesare il proprio disappunto con gesti, atteggiamenti del viso e spesso (purtroppo) innalzamento del tono della voce. La parte cinese non arriverà mai a tanto, ma nei momenti difficile manterrà le proprie posizioni con un “muro di gomma” rafforzato da frasi ricorrenti e ripetizioni del medesimo concetto. I rifiuti non saranno mai diretti, ma mascherati da impossibilità non imputabili direttamente all’interlocutore.

Un occidentale tende al contatto diretto con strette di mano ed altri gesti di intimità, quali mettere una mano sulla spalla ed avvicinare il viso, tutte espressioni che creano imbarazzo nell’interlocutore cinese.

La stretta di mano, gesto trasversale alla business community , è ormai diventata uso comune in Cina anche se non confacente al bagaglio culturale locale,

Viceversa, la prossimità asiatica tra persone viene percepita da un occidentale come ingerenza nella propria privacy, mentre la distanza socialmente in Cina è estremamente ridotta in Cina (basti pensare ai 17 milioni di abitandi di Shanghai) generando un continuo senso di claustrofobia negli osservatori occidentali.


Complessivamente esiste una tradizione orientale in generale, e cinese in particolare, di differente relazione del sistema corpo – mente.

La cartesiana dicotomia occidentale che privilegia la mente e le sue espressioni (Bombelli, 1995) viene armonizzata in una visione orientale che, partendo dalla centralità del respiro, riposiziona il corpo come centro dell’identità.


L’idea centrale di armonia, come equilibrio di diversità , Yin e Yang, assume nell’equilibro mente – corpo una maggiore consapevolezza delle interazioni. Nella tradizione cinese, in particolare, il Qi , o energia, che mediante il respiro attraversa e connette l’interno e l’esterno, deve essere coltivata dal singolo attraverso una disciplina personale che fluidifichi i gesti e li renda espressione del proprio sé.



Le ritualità quotidiane negli incontri di business


La vita quotidiana è intessuta di ritualità tanto frequenti da essere dimenticate (Goffman, 1967, 1969).

Il modo in cui le persone si presentano reciprocamente, le frasi di commiato, l’alternanza dei momenti di parola, così come i silenzi, sono elementi culturalmente situati.


Mentre in alcune culture gli elementi rituali sono cangianti e flessibili, la cultura cinese antica di millenni e con periodi lunghi di stabilità, con le caratteristiche di controllo sociale del gruppo che sono già state sottolineate, ha sedimentato delle vere e proprie sequenze rituali che sono parte integrante anche del processo d’affari e non solo un appendice decorativa.


- Il biglietto da visita – essere o non essere?

Mentre per un occidentale il biglietto da visita costituisce un accessorio necessario per esplicitare la propria posizione organizzativi o il settore in cui opera l’azienda di provenienza, in estremo oriente ed in Cina in particolare, il possesso o meno di un proprio biglietto da visita costituisce la stesssa differenza tra l’esistere o il non essere.

Il possesso di un biglietto da visita qualifica subito la collocazione gerarchica e l’ appartenenza ad un gruppo che, anche se non di primaria importanza, dà comunque un indicazione all’interlocutore sulla posizione sociale e, di conseguenza, sulla tipologia di relazione da impostare durante il colloquio.


I biglietti da visita in Cina non sono usati esclusivamente in un contesto d’affari, ma durante qualsivoglia interazione sociale; da una festa presso amici in cui si conoscono nuove persone, alla conclusione di un evento sportivo quale una partita di golf. Il formato dei biglietti è standard e normalmente vede un lato con scritte e logo in caratteri occidentali e translitterazione pinyin per i nomi cinesi e l’altro lato con scritte in caratteri cinesi. A questo punto risulta fondamentale per un occidentale inserire nella parte in caratteri cinesi una corretta e facile traduzione del proprio nome scegliendo possibilmente non piu’ di tre caratteri, al posto di una translitterazione completa del proprio nome e cognome, scegliendo per cosi’ dire un nuovo nome cinese ed evitando accurantamente spiacevoli doppi sensi, resi molto probabili dall’omofonia. A differenza delle scelte estetiche occidentali legate alla qualita’ della carta ed alla scelta dei font tipografici, in Cina la composizione grafica di un biglietto da visita segue una sorta di orror vacui, ovvero ogni spazio disponibile deve essere riempito da logo, informazioni e numeri. Ultimamente seguendo la moda americana viene ulteriormente inserita su di un lato anche la fotografia a colori in modo da associare immediatamente il nome alla figura.

E’ interessante sottolineare che, così come gli occidentali faticano a distinguere le fisionomie asiatiche confondendo facilmente i volti, analogamente avviene per gli orientali verso coloro con fattezze diverse.


Per i cinesi, abituati ad una lingua monosillabica, la lunghezza del binomio nome/cognome risulta un ostacolo insormontabile non solo per problemi di pronuncia, ma anche per la difficoltà dell’associazione visiva nome/aspetto fisico. Pertanto se senza biglietto da visita non si e’ nessuno, con un biglietto da visita in formato occidentale si corre il rischio di essere qualcun altro. Una volta scelta la tipologia corretta di biglietto da visita è necessario anche ricordarsi del fatto che il dare e ricevere biglietti da visita è codificato a livello comportamentale con un riutale ben definito. I biglietti da visita si porgono e ricevono con due mani e mai con una. E’ necessario osservare il biglietto per un certo periodo di tempo prima di riporlo via ed in caso di più persone è educazione porre tutti i biglietti sulla scrivania in modo da poterli consultare durante la conversazione. In un contesto giapponese inoltre, è uso commentare con interesse il nominativo e la posizione ad esso collegata. Inoltre se il capo delegazione risulta in rappresentanza di altri ad esempio vice sindaco, vice presidente, vice direttore, è educazione chiamarlo con il pieno titolo anziché con quello reale per dare maggiormente rispetto o meglio mianzi al proprio interlocutore.


La gestione inaccurata delle presentazioni e la mancata adozione del protocollo locale nello scambio dei biglietti da visita può inficiare dall’inizio il buon esito di una conversazione o addirittura di una trattativa, generando diffidenza od addirittura rancore da parte dell’interlocutore orientale.


- Gestire le delegazioni

La gestione delle delegazioni sia in arrivo nel proprio paese, che ospitanti è di grande importanza nei rapporti cross culturali con la Cina per la grande importanza assegnata in questo paese all’ospitalità e agli aspetti precedentemente discussi di gruppo e mianzi. Un’azienda cinese che non ospiti degnamente e con tutte le cure una delegazione straniera perde la propria faccia indipendentemente dai risultati finali della trattativa. Ne consegue che i membri della delegazione invitata saranno sempre accompagnati dal personale della ditta invitante ed ogni momento non dedicato direttamente al lavoro risulterà riempito con visite turistiche od attivita’ ritenute interessanti. Al contrario la parte italiana potrà vedere la continua presenza di accompagnatori cinesi come invasione della propria privacy e la mancanza di tempo libero come un’occasione mancata per cogliere aspetti inusuali del paese.


Nel caso di una delegazione cinese in arrivo e’ bene premurarsi con identiche cortesie. La delegazione non si aspetta di ricevere un benvenuto secondo i dettami del protocollo cinese (ad eccezioni di delegazioni governative di medio-alto livello) ma la mancanza di un accompagnatore e di attivita’ pre programmate per i fine settimana o le serate non saranno visti come liberta’ di movimento bensì come mancanza di considerazione da parte italiana. Il problema in Italia puo’ essere facilmete ovviato dando in gestione la parte turistica della permanenza della delegazione cinese ad agenzie turistiche con esperienza nel trattare gruppi orientali ed aventi un interprete ed una serie di ristoranti cinesi di fiducia nelle zone da visitare. Inoltre nella scelta dei luoghi turistici preferenziali, lo stereotipo regna sovrano: Milano per lo shopping, Venezia e Roma per l’arte. Con piu’ giorni a disposizione non importa la qualita’ dei momenti dedicati a ciascun museo od itinerario, ma la quantità. Più città verranno visitate maggiore sara’ la soddisfazione. Normalmente i tours cinesi in 7 giorni riescono a visitare Francoforte, Parigi, Milano, Venezia, Firenze e Roma, l’importante sarà avere una foto comprovante la propria presenza in un dato luogo da mostrare ai proprio colleghi al ritorno nonchè l’occasione di comprare abiti ed oggetti firmati per conto di parenti ed amici.


- Il banchetto

La convivialità è un elemento centrale nelle attività relazionali sia a livello interpersonale che aziendale, tanto da valere un attenzione particolare.

Prima delle riforme di Deng e dell’introduzione del socialismo di mercato, quando l’organizzazione era legata alle unità di lavoro, l’accoglienza degli ospiti costituiva una rara occasione per organizzare un convivio fuori dall’usuale.


Negli ultimi anni, con la riduzione dei budget statali e con lo sviluppo del socialismo di mercato, il banchetto è tornato a rivestire un ruolo primario nella dialettica d’affari, come terreno informale per negoziazioni ed accrescimento di guanxi. Maggiori sono i numeri delle portate ed il costo dei piatti offerti tanto più grande sarà il rispetto che il padrone di casa porge all’ospite.


Una menzione particolare merita la disposizione sia della stanza che delle persone, che affonda le radici nella particolare cura cinese nell’arrangiamento degli spazi e nel perseguimento di equilibri delle energie che attraversano gli ambienti . Il feng shui (geomanzia, letteralmente vento – acqua) anche se non ierpretato rigidamente, è un aspetto culturale che emerge ancora nella quotidianità .


Nonostante i tavoli si presentino quasi sempre nella forma circolare, vi è comunque una rigida etichetta nell’assegnazione dei posti. La sedia rivolta verso l’entrata è riservata all’ospite d’onore alla cui destra si siede il capo della delegazione ospitante e la disposizione gerarchica segue in senso orario. Gli interpreti sono anch’essi ospitati a tavola, ma raramente hanno occasione di finire una portata in quanto la conversazione non deve mai cadere. Nel caso di delegazioni superiori alla capienza dei tavoli circolari da 10-15 persone si dispongono tavoli vicino a quello d’onore con una distribuzione speculare delle persone in modo da avere i due vice capo delegazione vicini e cosi’ via. E’ costume dopo un brindisi formale da parte dell’ospite proseguire la serata con brindisi diretti tra i vari componenti delle delegazione normalmente a base di estratti di riso ad alto tasso alcolico. In caso di brindisi “ganbei” il bicchiere va bevuto tutto in un sorso e le scuse per evitarlo devono essere estremamente creative in quanto la parte cinese (non durante i banchetti legati a delegazioni governative) sarà molto insistente nel far bere l’ospite straniero.

In queste occasioni spesso gli italiani fraintendono una situazione apparentemente rilassata con una informale, commentando in modo colorito la tipologia dei piatti serviti, aprendosi ad opinioni personali e lasciandosi andare a commenti delicati sulla situazione aziendale o sul progetto in corso. Il banchetto pur non essendo un momento di confronto diretto sui temi negoziali trattati o da trattare, viene comunque concepito dalla parte cinese come parte integrante della trattativa di lavoro. E’ fonte di informazione e tempo dedicato a smussare, mediante interventi non diretti, le problematiche che non possono essere affrontate apertamente durante le trattative. Quindi non certo un integrale momento d’affari teso a prendere decisioni vincolanti, ma aspetto a latere per affrontare aspetti caldi e controversi con la giusta serenità.



Conclusioni

Diverse le conclusioni che si possono trarre.

La prima deriva direttamente dalla premessa e vuole, ancora una volta, mettere in guardia da una lettura statica e omologante delle culture. Parlare di italiani e di cinesi rischia di far pensare a dei gruppi omogenei. Invece all’interno di ciascun gruppo, sotto ciascuna etichetta, esiste una varietà di comportamenti che rischiano di essere sempre diversi da quelli descritti come culturalmente omogenei. D’altro canto la storia dei gruppi sociali lascia degli strascichi imprescindibili, e solo andando a comprendere alcune radici si possono capire aspetti attuali dei comportamenti soggettivi.


Come insegna Geertz (1978) “Bisogna occuparsi del comportamento, e con una certa precisione, perché è attraverso il flusso del comportamento – o più precisamente l’azione sociale – che le forme culturali trovano un’articolazione”. Occuparsi dei comportamenti significa quindi riflettere sulle culture e comprendere le culture serve per diventare consapevoli di alcuni aspetti dei propri ed altrui comportamenti.


Partendo dal presupposto che non vi sia un’unica cultura dominante è importante comprendere le differenze culturali sapendone vagliare la più idonea chiave di lettura scegliendo il momento ed il modo migliore nell’implementazione, al fine di garantire non solo una corretta attitudine verso la risoluzione di conflitti, ma anche la scelta di strategie che portino ad un risultato per i diversi soggetti in gioco. Come già affermato la contraddizione consiste nel fatto che le culture sono al tempo stesso radicate e cangianti.


D’altro canto ignorare gli aspetti culturali porta con sé il rischio di ritrovarsi all’interno di un conflitto, di una asperità comunicativa, senza capirne la causa.

In particolare le culture ad alto contesto, di cui quella cinese è l’esempio estremo, si avvalgono di moduli comunicativi e rituali che se vengono ignorati interrompono la possibilità di comunicazione.

La patologia sottolineata da Watzlawich per cui la predominanza relazionale rischia di mettere in ombra il contenuto e quindi di tagliare alla base qualsiasi possibilità di raggiungere un risultato condiviso, è quanto mai presente nelle culture ad alto contesto.

L’insieme delle guanxi, l’attenzione continua alla costruzione delle fiducia e al legame personale, costituiscono non solo un’opportunità, ma anche un grande pericolo. Questo si affaccia quando il nome della relazione i contenuti passano in secondo piano, quando la conoscenza supera e sostituisce il contratto giuridico. Che questi elementi, viceversa, trovino un equilibrio è cosa normale anche all’interno della stessa cultura.


Come abbiamo cercato di mettere in evidenza in questo articolo molte sono le similitudini tra le cultura italiana e cinese, così come altri sono gli aspetti che differiscono.

Vale una grande attenzione di entrambi i contesti alla dimensione relazionale, con il rischio di sottovalutazione dei contenuti. Ma mentre per i cinesi la relazione si costruisce in tempi molto ampi e non muta nel tempo, per gli italiani è molto legata alla prossimità familiare o di clan e connessa a degli obiettivi. La relazionalità cinese non prescinde dalla meritocrazia come invece spesso accade in Italia.

Ancora negli aspetti di relazione italiani vi è esternazione delle proprie emozioni, mentre per i cinesi, come per molte culture orientali, le emozioni devono essere controllate e mai mostrate pubblicamente.


Spesso i manager quando diventano consapevoli delle differenze culturali formulano una domanda allo stesso tempo ingenua e provocatoria: “Perché noi dovremmo adeguarci a loro e non viceversa?”

Probabilmente è proprio l’approccio che va cambiato. E’ evidente che il mimetismo è spesso utilizzato per ingraziarsi persone che hanno un potere sociale, come qualsiasi buon venditore sa. Ma al di là di situazioni contingenti, l’incontro tra culture diverse attraverso la comunicazione, porta ad una inevitabile contaminazione.


Così come gli ospiti cinesi spesso offrono al maldestro occidentale le posate al posto dei bastoncini, oppure stringono la mano durante gli incontri come non erano precedentemente abituati a fare, analogamente l’italiano che si avventura nel territorio del Paese di Mezzo, deve arrivarci attrezzato di un interesse sincero a comprendere una cultura antica e forse difficilmente permeabile e, quindi, disponibile anch’egli a qualche concessione. Se il rituale di scambio dei biglietti da visita prevede l’utilizzo di tutte e due le mani, non dovrebbe essere un problema dimostrarsi attenti ad una tradizione.


Se è vero che le culture oggi non possono essere ignorate, è altrettanto vero che esse cambiano continuamente, sovrapponendosi, contaminandosi, modificando l’ambiente sociale in modo continuo.


Che il cambiamento sia in essere basta osservare una serata a Shanghai, città cosmopolita anche ben prima delle più grandi città italiane. Se le città cambiano, così come le persone e gli universi di riferimento l’importante è saper cercare ogni volta un nuovo equilibrio che possa dare a ciascuno qualcosa di più. Solo con questa attenzione costante è possibile costruire la fiducia di base a qualsiasi transazione personale ed economica.



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