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  • Immagine del redattoreCristina Bombelli

Appunti sulla negoziazione

Premessa


Il termine negoziazione è stato esteso nel linguaggio comune fino a comprendere una molteplicità di situazioni in cui si verifica un conflitto.

E' opportuno allora ridefinire una situazione negoziale come un particolare momento organizzativo in cui è necessaria una mediazione di obiettivi ed interessi diversi.

Altre situazioni conflittuali possono essere risolte chiarendo, ad esempio, mandati organizzativi, definendo con più precisione funzioni e ruoli e così via.

In altre parole gli strumenti più idonei per gestire una situazione di conflitto sono diversi e vanno scelti partendo dalla ridefinizione degli aspetti strutturali e/o di meccanismi operativi di una organizzazione ed arrivando poi alla gestione degli aspetti di comportamento.

In particolare all'interno dei modelli "orizzontali" di rapporto organizzativi) possiamo distinguere i seguenti aspetti:


RAPPORTO DI SERVIZIO (strutture di STAFF)

  • si basa sul contributo a copertura di bisogni

  • è razionalizzabile con strumenti anche molto strutturati

  • si basa prevalentemente sulla prestazione professionale più che su quella comportamentale

  • ha tassi di conflitto indotto minimo ed è gratificante in modo diviso sia per chi riceve il servizio sia per chi lo offre

RAPPORTO DI COLLABORAZIONE (Lavoro di Gruppo)

  • si basa sulla condivisione di un obiettivo

  • è razionalizzabile più con metodologie che con strumenti

  • si basa prevalentemente sulla prestazione comportamentale data per acquisita una adeguata capacità professionale

  • registra notevoli tassi di conflittualità ed è gratificante negli aspetti condivisi, penalizzante nell'originalità individuale

RAPPORTO DI NEGOZIAZIONE (Mandati diversi)

  • si basa sulla mediazione di obiettivi diversi (concorrenti, antagonisti, ecc.)

  • è razionalizzabile più con logiche e leggi orientative che con metodologie o, tantomeno, strumenti strutturati perché troppo alta è l'incertezza.


Definire la negoziazione


Definiamo allora un momento negoziale una riunione in cui sono in conflitto interessi comunque legittimi.

Ad esempio una riunione di assegnazione di risorse oppure il classico conflitto tra la fun zione di marketing e le vendite in cui si deve trovare un equilibrio tra la dimensione strategica e il ricavo immediato, obiettivi legittimi che le due parti perseguono autonomamente.

E' necessario insistere sulla legittimità che le due parti riconoscono agli interessi altrui perché questa è la base da cui può partire una negoziazione.

Interessi ritenuti pretestuosi o illegittimi in maniera globale conducono ad una volontà di negazione della controparte spostando l'asse dell'incontro dal negoziato alla "guerra".

La negoziazione è anche, come si è già detto, una riunione. Valgono quindi per essa alcune logiche tipiche del lavoro di gruppo e della capacità di gestire un incontro con diverse persone presenti.

Un buon negoziatore ha sviluppato pertanto prima queste abilità per poi potersi concentrare sugli aspetti più particolari del negoziato.


Metodologie di negoziato


La negoziazione è un processo integrato su cui insistono diversi fattori. Essi vanno dalla progettazione o preparazione con cui si arriva a quel momento alle abilità di comunicazione e di ascolto che il negoziatore manifesta.

Per questo motivo è razionalizzabile più con logiche che conducono poi ad alcuni suggerimenti. Sarebbe impossibile dare regole o tecniche precise improponibili proprio per la estrema varietà delle situazioni negoziali che si possono manifestare.

Per opportunità didattica distinguiamo due momenti che definiamo di progettazione e gestione dei contenuti oggetto di negoziazione e, un secondo momento, in cui analizziamo i comportamenti vincenti di un buon negoziatore.


Progettazione e gestione dei contenuti


Le informazioni sono sicuramente la base sulla quale costruire motivazioni a sostegno delle proprie tesi, come vedremo più avanti; è utile, però, allargare le informazioni da assumere anche al contesto e a chi sono le controparti.

Molto sinteticamente ogni paese (o ogni realtà organizzativa) ha una sua cultura negoziale che può essere di tipo, ad esempio, sintetico efficiente oppure più tendente alla ritualizzazione e, quindi, all'allungamento dei tempi del negoziato.

Spesso delle negoziazioni sindacali in presenza di delegazioni numerose sono di tipo rituale, mentre le reali soluzioni vengono predisposte in riunioni ufficiose molto ristrette.

Oppure può capitare di svolgere il proprio mandato negoziale in un paese come gli USA dove tutto viene minutamente codificato ed agganciato a dati obiettivi (c'è un manuale per tutto!), oppure in Italia dove il "pressapochismo" può fornire in realtà una base di flessibilità ed adattabilità più consona a rapide conclusioni.

Sempre per far degli esempi è utile conoscere le discipline di provenienza ed i ruoli organizzativi delle controparti perché queste "radici" possono influenzare i modi di pensare e di agire delle persone. E' più probabile che un ingegnere sia logico e sintetico e che un laureato in scienze politiche sia prolisso e poco propenso agli schemi (probabile, non certo!); è più probabile che una persona in un ruolo di staff sia più attenta anche agli aspetti parziali se inerenti alla sua professionalità, mentre un ruolo di linea decisoria sia più propenso a chiarire alcuni punti cardine lasciando aspetti secondari a decisioni future o in itinere.

Detto questo si comprende come sia utile formarsi un quadro della situazione in cui ci si troverà ad operare mantenendo comunque un atteggiamento di attenzione durante il processo negoziale per meglio comprendere qual è la cultura prevalente con la quale si ha a che fare e flessibilizzando, quindi, di conseguenza il proprio comportamento.


Vediamo ora quali sono le logiche per progettare i contenuti da negoziare:

  • definire il più realisticamente possibile i propri obiettivi

Obiettivo è, in questo contesto, una parola chiave sia della negoziazione che di tutti i processi organizzativi.

Il processo, appunto, è qualcosa di dinamico, una sorta di "viaggio", di percorso.

E' cosa evidente per tutti che un percorso se non si prefigge una meta, patisce tutti i rischi dell'improvvisazione: dal ritorno al …punto di partenza allo smarrimento in lande desolate.

Se è cosa evidente per il buon senso non lo è altrettanto per le realtà organizzative dove, spesso, gli attori ripetono un copione per rito, perché si è sempre fatto così, perché l'ha detto il leader tal dei tali e così via.

Sembra impossibile ma, nella mia esperienza, ho assistito a progettazione di trattative che iniziavano così: "Sentiamo cosa ci vengono a dire e poi prendiamo tempo...".

Prima di mettersi in viaggio, invece, occorre sapere dove si vuole andare e perché.

Nella analisi e nella definizione dei propri obiettivi è utile anche cercare di definire un ordine di priorità in modo da prevedere aspetti irrinunciabili e gli eventuali "punti di caduta";


  • ipotizzare gli obiettivi delle controparti cercando di presumere quali saranno le loro priorità.

Questo lavoro sulle priorità proprie ed altrui consente, come vedremo meglio in seguito, di organizzare "scambi" che si situino ad un livello diverso di importanza.

In altre parole per ottenere il mio primo punto — il più importante — posso sollecitare la controparte a lasciare qualcosa che non è ai primi posti delle priorità;


  • sia nella progettazione che durante le trattative è utile cercare di concentrarsi sugli interessi piuttosto che sulle posizioni espresse dalla controparte.

Facciamo un esempio di una trattativa sindacale in cui l'azienda propone la chiusura di una linea di lavorazione e il sindacato vi si oppone. Queste sono, schematicamente, le due posizioni.

Se ci fermassimo a questo livello la situazione sarebbe senza via d'uscita e la "vittoria" di una delle parti passerebbe esclusivamente attraverso la "sconfitta" globale dell'altra.

Ad esempio l'azienda decide di agire con la forza ed attua il suo piano senza consenso, oppure il sindacato riesce a mobilitare tutto il resto della fabbrica bloccando l'attività e costringendo (ma per quanto?)l'azienda a rimandare la propria decisione.

E' opportuno allora che il problema venga affrontato raggiungendo gli interessi che sotto stanno alle posizioni:


Azienda: chiusura linea per bassa produttività, materiale obsoleto, inquinamento elevato.

Sindacato: mantenimento livelli occupazionali, miglioramento qualità del lavoro, salubrità ambientale.


Ragionando ora sui diversi interessi è possibile trovare materiali di scambio che consentano di trovare una soluzione equa per entrambe le parti con, ad esempio, la chiusura della linea con una gestione del personale eccedente all'interno degli altri reparti con una revisione dell'organizzazione del lavoro che consenta di incidere sulla produttività globale.

Banalizzando un po' la differenza tra interessi e posizioni potremmo fare l'esempio di due persone che litigano in una biblioteca perché uno vuole la finestra aperta e .1'altro chiusa. Discutono su quanto la si può lasciare aperta: una fessura, un quarto, metà. Nessuna soluzione va bene a tutti e due. Arriva la bibliotecaria che chiede al primo perché vuole aperta la finestra: "per avere un po' d'aria fresca"; e all'altro perché la vuole chiusa "Non sopporto le correnti d'aria”. Dopo aver pensato un istante la bibliotecaria spalanca la finestra della stanza accanto immettendo aria fresca senza corrente.

Quindi, già nella formulazione della nostra posizione dobbiamo essere consapevoli di quali sono i nostri interessi in modo da essere chiari con la controparte; e contemporaneamente chiedersi e chiedere il perché della loro posizione alla controparte.

La situazione può rivelarsi più complessa se gli interessi della controparte non sono univoci, ma il ributtare a loro queste contraddizioni può servire ad evidenziare le incongruenze e a risolverle.


Un'attenzione che è opportuno porre è relativa al fatto che gli interessi più potenti sono legati ai bisogni umani primari di cui fanno parte oltre alla sopravvivenza "sociale" anche la sicurezza, il senso di appartenenza, il riconoscimento.

Molto spesso le transazioni negoziali concernono esclusivamente dati economici e quantitativi trascurando o, peggio ancora, calpestando i bisogni umani con la conseguenza di produrre accordi "a tavolino" che non tengono conto della realtà e che, quindi, vengono superati o negati dai fatti.

  • Prima di proporre soluzioni o momenti decisori assicurarsi che la controparte:

a) possegga le informazioni che ci hanno condotto a quella ipotesi;

b) abbia percorso un processo elaborativo simile al nostro o, almeno, abbia avuto modo di comprendere l'elaborazione che noi proponiamo. Proporre soluzioni senza queste cautele è tipico di chi sottovaluta la velocità e la complessità di un momento elaborativo pretendendo che gli altri si adeguino ai propri tempi e modi.

Raccogliere le informazioni utili preventivamente evita di fare "brutte figure", ovviamente, ed impedisce anche le perdite di tempo dovute ai continui aggiornamenti.

Facilita inoltre l'arrivo ad un accordo appellarsi a criteri oggettivi. Questo significa trovare motivazioni eque alle proprie richieste suffragabili con dati rilevabili.

Ad esempio se dobbiamo negoziare il prezzo di un auto ci fideremo di più di un venditore che ci manifesta dati quali l'anno di immatricolazione, i chilometri percorsi, i prezzi di "Quattroruote", etc., piuttosto di un altro che ci faccia dichiarazioni del tipo "Lei mi è simpatico e quindi le faccio un prezzo formidabile...".

Ho assistito in una banca ad un funzionario che affermava "Ora che ho visto che lei ha una faccia pulita credo di poterle concedere il fido".

Dubito che questa fosse la procedura messa a punto per negoziare fidi, la quale ovviamente doveva far riferimento a ben altri dati quali le proprietà, il reddito, la solvibilità globale del cliente. Probabilmente l’uscita del funzionario era per “ingraziarsi” l’interlocutore, dopo aver assolto alla procedura….

E' più facile quindi ragionare attorno ad un problema costruendo insieme criteri oggettivi senza cedere alle pressioni ma reclamando i principi ai quali ispirarsi.


  • Nel merito dei problemi è opportuno vagliare tutte le possibilità che consentono di spostare una negoziazione da distributiva ad una integrativa o generativa.

Quella distributiva è una negoziazione in cui prevale l‘obiettivo del minor svantaggio reciproco, in cui cioè bisogna ripartire una risorsa scarsa.

E' la classica situazione in cui esiste una "torta" da dividere e tutto ciò che una parte guadagna si traduce in una perdita per l'altra.

Possiamo chiamare, invece, generativa una situazione in cui prevale l'obiettivo del massimo vantaggio reciproco; ad esempio come sfruttare risorse per fini e interessi diversi. E‘ difficile dare suggerimenti su come sviluppare questa capacità; si tratta di utilizzare il più possibile le proprie competenze creative al fine di non credere che esista una ed una sola possibilità di accordo e di non fermarsi su una sola ipotesi, magari abbracciando una posizione rigida.

Flessibilità, creatività, immaginazione: azioni sicuramente più facili a dirsi che ad attuarsi. Eppure il più delle volte una negoziazione ripartitiva lo è solo apparentemente. Bisogna riuscire a non fermarsi sulle posizioni ma arri- vare agli interessi ed anche questi vanno visti in una dimensione di medio—lungo periodo.

Le soluzioni di forza tipiche delle negoziazioni ripartitive possono risultare vincenti nel

breve ma a lungo andare logorano entrambe le parti: quella vincente perché deve continuare a "mostrare i muscoli", quella perdente perché aspetta la prima occasione per rifarsi. Per sviluppare nuove alternative si suggeriscono tecniche quali il brainstorming ovvero una situazione di gruppo in cui ciascuno può liberamente dire le soluzioni anche le più paradossali, ad un determinato problema.

Per l'applicazione di questa tecnica, ed in generale per sviluppare le risorse creative bisogna dividere rigorosamente il momento della produzione di idee da quello del giudizio e, quindi, della cernita delle idee stesse. Nessuno, infatti, si sentirebbe libero di esprimersi se sapesse di essere oggetto di valutazioni, magari non benevole, da parte degli astanti.


I comportamenti di un negoziatore di successo

La base di un'abilità negoziale è indubbiamente la capacità di comunicare, intendendo con questo non solo il farsi capire ma il saper gestire il processo di comunicazione nella sua globalità dall'ascolto alla gestione della comunicazione non—verbale.


  • Farsi capire

Vorrei. qui citare un breve passo del libro di P.Watzlawick 'Di bene in peggio' — Feltrinelli, che a sua volta cita il logico Rapoport: "In caso di contrasto, anziché chiedere a ciascuno la propria definizione del problema, Rapoport propone di far esporre allo schieramento A (in presenza dello schieramento B) il punto di vista dello schieramento B: ciò deve avvenire nel modo più preciso e completo possibile finché lo schieramento B non si riconosca d'accordo con i contenuti dell'esposizione.

Successivamente tocca allo schieramento B di spiegare le posizioni dello schieramento finché quest‘ultimo non si dichiari soddisfatto. Rapoport riteneva che questa tecnica della negoziazione avrebbe ridotto al minimo i contrasti tra le parti prima ancora che venisse affrontato il problema vero e proprio. L'intuizione era corretta: applicando la sua tecnica accade infatti non di rado che un interlocutore esterrefatto, dica all'altro "Non credevo che lei pensasse che io pensassi questo"; il che è già un bel passo avanti rispetto all'ingenua convinzione di sapere benissimo cosa l'altro pensi."

Come si deduce è importante sapersi spiegare, ma è ancor più importante saper ascoltare.

Nell’esposizione del nostro punto di vista è utile ricordare che il tempo di ascolto è maggiore del tempo di parola e che, quindi, si deve parlare lentamente, avendo in mente una sequenza logica dei contenuti e sottolineando i messaggi chiave.

Gli americani hanno un efficace modo di dire: "Per farti capire di quello che devi dire, dillo, di quello che hai detto".

A1 di là del gioco di parole è utile presentare uno schema sintetico di quello che si dirà ritornandoci sopra dopo eventuali digressioni o approfondimenti.


Una sorta di mappa di parole—chiave consente all'interlocutore di non perdere il filo nonostante i fisiologici cali di attenzione.


  • Saper ascoltare

Nell'ascolto non ci si dovrebbe fermare a preconcetti o a intuizioni (Io capisco immediatamente qual è l'aria che tira...) ma cercare di fare delle domande pertinenti che aiutino a reperire informazioni qualificate.

E' sempre utile ributtare dei passaggi che risultano oscuri: "Se ho ben capito lei vuole che...“ in modo da attuare anche in maniera meno strutturata, il suggerimento di Watzlawick che abbiamo visto sopra.

Un buon ascoltatore non è solo attento a quello che il suo interlocutore dice ma osserva anche i messaggi non—verbali che sottolineano, negano, enfatizzano i messaggi verbali.

L'aspetto non verbale è quello più spontaneo e, quindi, quello più veritiero.


  • Saper scindere il rapporto con le controparti come persone dal dissenso nel merito dei problemi

E' innegabile che in una situazione di conflitto o contrasto di interessi si viene emotivamente coinvolti a tal punto da fare della controversia un problema personale tra i negoziatori.

Un buon negoziatore dovrebbe riuscire a controllare questo dato emotivo scindendo quello che potremo definire una CONFLITTUALITA' OGGETTIVA nel merito dei problemi sul tavolo, dalla AGGRESSIVITA’ SOGGETTIVA che inerisce ed investe le persone che si hanno di fronte.



La lettura è intuibile:

in alto a destra alte entrambe le variabili. Oltre a non esserci obiettive condizioni di accordo la conflittualità tra i contendenti rende il tavolo più simile a un "ring" che aun luogo di mediazione;

in basso a destra ci sarebbero le obiettive condizioni di accordo ma i contendenti non riescono a vederle presi come sono dalla loro guerra personale;

a sinistra in alto: pur in presenza di difficoltà obiettive la professionalità dei negoziatori consente di esplorare possibili strade di accordo;

infine a sinistra in basso abbiamo interessi conciliabili ed un buon rapporto negoziale: in conclusione l'accordo è assicurato.


Quindi distinguere le persone che si hanno fronte dai problemi sul tappeto è la logicacui ispirarsi per minimizzare il contrasto che origina da basi più emotive che reali. Alcuni suggerimenti a questo fine:

  • mettersi nei panni della controparte, cercare di capire quali interessi li. muovono e quale mandato hanno;

  • non dedurre le loro intenzioni dalle nostre paure;

  • non attribuire a loro la responsabilità dei nostri problemi;

  • non cedere ai pregiudizi (attenzione ai feed—back, ascolto, etc.);

  • discutere le reciproche impressioni evitando di lasciare zone d'ombra;

  • salvare loro "la faccia"; che, in altre parole ripropone la regola del non stravincere;

  • analizzare le proprie emozioni;

  • lasciare che la controparte espliciti le proprie emozioni senza reagire con puntate emotive;

  • utilizzare gesti simbolici, ad esempio strette di mano o scuse, qualora se ne riconosca la necessità.


Infine per gestire un processo negoziale compendiando coerentemente gli aspetti di merito con quelli di comportamento è utile ricordare che:

trattare contemporaneamente troppi punti genera ansia da "non controllo" della situazione. Si tratta allora, durante il processo negoziale, di trovare un equilibrio confacente tra la situazione con soli due fattori in gioco (con il rischio della contrapposizione frontale)e quelle con troppi fattori in gioco (generatrice di un'ansia più che proporzionale ai fattori stessi).

Le scelte vengono sopravvalutate dopo che sono state compiute.

Ad esempio chiunque abbia un auto nuova tenderà a sopravvalutarne i pregi minimizzando i difetti.

Questo significa che siamo più obiettivi prima della trattativa che dopo.

Bisogna cioè evitare di cadere nell'errore di enfatizzare e "vendere“ come vittoria ciò che

vittoria non è. Penso ad esempio alle riduzioni di "privilegi" (scatti di anzianità, etc.) dell'area impiegatizia dell‘industria avvenuta in questi annie ad alcuni sindacalisti che cercavano di spiegare agli impiegati che tutto ciò "era per il loro bene".


In sintesi:

Un buon negoziatore allora dovrebbe:

  • dedicare tempo alla progettazione della trattativa predisponendo un itinerario flessibile ed adattabile al processo che si svolgerà concretamente e valutando inoltre alternative di accordo;

  • documentare e sostenere razionalmente il suo punto di vista con informazioni ed agganci a dati il più possibile obiettivi;

  • valutare non solo gli esiti del negoziato di breve periodo ma porsi anche in una dimensione di medio—lungo termine;

  • riuscire a mantenere una buona distanza emotiva che gli permetta di essere un ascoltatore attento, non pregiudiziale, internamente sicuro di sé e consapevole delle proprie ragioni;

  • non perdere di vista il proprio obiettivo seguendo la controparte su un altro terreno, magari provocatorio;

  • non mirare a stravincere ma ad ottenere la miglior mediazione possibile.

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