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Differenze di genere e comportamento organizzativo


Con Martina Raffaglio


Martina Raffaglio

Docente SDA Bocconi, esperta di comportamento organizzativo, collaboratrice Laboratorio Armonia, gruppo di ricerca sui temi del Diversity Management


Indice


Abstract

1. Introduzione

2. Comunicazione interpersonale e differenze di genere

3. Linguaggio

4. Le logiche di pensiero dei due emisferi

5. Modalità espressive prevalenti

6. Le caratteristiche del pensiero

7. Le finalità

8. Emotività

9. Aggressività e gestione dei conflitti

10. Progettazione organizzativa, formazione e differenze di genere

Conclusioni

Bibliografia




Abstract


Gli studi sulle differenze di genere, soprattutto quelli a radice neurobiologica, stanno dando un contributo rilevante alla comprensione delle dinamiche comunicative e relazionali al maschile e al femminile.

Il lavoro che si propone intende offrire una panoramica delle differenze di genere nella costruzione del discorso con le implicazioni che questo comporta nell’ambito del comportamento organizzativo.

Gli approfondimenti offerti riguardano il linguaggio, la dimensione emotiva e la gestione dei conflitti.

Come viene sottolineato in premessa tali differenze non devono essere interpretate come statiche e immodificabili. Viceversa lo scopo del lavoro è proprio di aumentare la consapevolezza relativa di queste dinamiche per arrivare ad una migliore gestione individuale e ad una progettazione organizzativa che ne tenga conto. Molto spesso la “spontaneità” in questi campi, non fa altro che ampliare e dare evidenza a delle consuetudini spesso disegnate al maschile per ovvia storica presenza.

Da questo punto di vista tenere conto delle differenze può aiutare a sviluppare modalità di gestione del personale e soprattutto attività formative maggiormente finalizzate a sostenere le donne in percorsi di carriera che sono essenzialmente tarati sulle esigenze e le prestazioni di tipo maschile.




1. Introduzione


Le dinamiche di comportamento all’interno delle organizzazioni, la loro osservazione e la loro predittività, costituiscono da tempo un campo di studi molto importante per le implicazioni operative di gestione delle persone e di progettazione di contesti maggiormente accoglienti e motivanti.


Tra le diverse determinanti possibili di queste dinamiche il tema delle differenze di genere sta assumendo una importanza rilevante ed è oggetto di un numero di ricerche crescente e di risposte manageriali conseguenti, pur con le cautele necessarie che devono essere espresse ogni volta che si classifica e organizza l’universo secondo modalità dicotomiche, in questo caso il maschile e il femminile.


La prima cautela è insita nella distinzione maschile e femminile che rischia di proporre una caratterizzazione stereotipata delle qualità relative, con il pericolo di non fornire strumenti euristici di comprensione della realtà, bensì di ridondare stereotipi di vecchia concezione (Osland&Bird, 2000).


Il rischio, come è evidente, può essere evitato solo non affrontando la realtà con l’ottica delle differenze di genere, schierandosi aprioristicamente verso l’uguaglianza.

Una soluzione intermedia, una sorta di terza via, che viene spesso proposta e che si pone in premessa proprio per affrontare questi dubbi in via prioritaria, sta nel tracciare la mappa delle diversità con la consapevolezza che esse rappresentano una ipotesi, un possibile itinerario di lettura, che andrà poi confermato caso per caso. D’altro canto questo è il rischio che si corre in ogni proposta di lettura culturale ad esempio, e che non può essere evitato , bensì affrontato con spirito critico e volontà di comprensione sempre più puntuale.


In questo lavoro si correrà quindi il rischio di dividere l’universo in maschile e femminile, perché questa distinzione aiuterà a meglio comprendere delle dinamiche quotidiane di comportamento organizzativo e ad affrontare con maggiore consapevolezza gli aspetti gestionali, ben sapendo che – dal punto di vista dei singoli casi individuali - vi potranno legittimamente essere eccezioni.


La seconda cautela deriva da un altro dilemma di dimensioni anche più cospicue di quello precedente ed è quello sintezzabile nella domanda: natura o cultura?


Al di là di ogni dissertazione teorica quando si tracciano, come faremo in questo lavoro, delle determinanti biologiche al comportamento, affrontando le differenze biologiche cerebrali, ad esempio, o le influenze ormonali, la reazione di chi si vede oggetto di tali descrizioni e quindi “condannato” ad avere o non avere delle competenze, è di rifiuto sostanziale. In realtà, come insegnano gli studi neurobiologici, quando si descrive un elemento “organico” esso non deve essere interpretato come statico. Proprio gli studi sul cervello ne dimostrano la relativa e continua plasticità, che si traduce in un adeguamento costante dovuto ad esempio, alle influenze dell’ambiente o alla determinazione soggettiva all’apprendimento. Per essere molto chiari se il livello di testosterone femminile rende più difficile una competenza spaziale delle donne, questa stessa capacità potrà essere appresa, con uno sforzo leggermente superiore ai colleghi maschi, ma senza differenze sostanziali nella prestazione attesa.


Questa premessa non è solo una rassicurazione o una scelta di correttezza politica, ma la logica derivazione di una serie di studi scientifici che, a partire da Darwin, hanno dimostrato l’inscindibilità del binomio natura – cultura relativamente alle influenze sugli individui.


Le riflessioni che vengono di seguito proposte potranno essere di utilità ai singoli sia per comprendere e migliorare i personali stili organizzativi che per sviluppare contesti il cui clima sia maggiormente accogliente per entrambi i generi.

Ovviamente la situazione attuale è più consona al genere maschile, in quanto le organizzazioni sono state tradizionalmente costruite e abitate da uomini. Per questo le donne, possono incontrare maggiori difficoltà.

Questa asimmetria è stata dimostrata da numerosi studi sui comportamenti femminili e maschili all’interno di gruppi misti o costituiti da rappresentanti dello stesso genere, svolti sia in ambito lavorativo sia amicale, in diverse fasce di età.

I ricercatori hanno dimostrato che, pur esistendo delle differenze ben osservabili in termini di modalità di relazione e di contenuti trattati fra i gruppi solo maschili o solo femminili, le donne tendevano ad adattarsi allo stile di comunicazione e al tipo di temi trattati dagli uomini all’interno dei gruppi misti (Aries, 1976; Lange, 1988; Deakins, 1989).


Gli studi sulle posture hanno inoltre evidenziato che, mentre nei gruppi solo femminili o solo maschili i soggetti assumono posizioni rilassate e informali, nei gruppi misti solo gli uomini mantengono queste posizioni, mentre quelle delle donne tendono ad irrigidirsi o a chiudersi in sé, occupando meno spazio rispetto alle posture precedenti (Aries, 1976).


Le donne sembrano trovarsi in una posizione di svantaggio perché hanno minore esperienza nella conduzione della comunicazione secondo le norme seguite dal gruppo, e tendono perciò ad omologarsi allo stile dominante, anche se non è quello loro congeniale: sono così abituate a vivere in spazi organizzativi e sociali, e talora anche privati, costruiti in funzione dell’uomo, che in presenza dell’altro sesso sono portate a non riconoscere il loro particolare modo di essere o il valore ad esso associato (Valcarenghi, 2003).


2. Comunicazione interpersonale e differenze di genere


Con le premesse sopra sviluppate, il presente contributo intende focalizzarsi sulle specificità di genere negli stili di comunicazione interpersonale, particolarmente rilevanti per le loro implicazioni all’interno dei contesti organizzativi. La finalità sarà quella di mettere a fuoco la loro influenza sui comportamenti organizzativi, rilevata sia nelle ricerche sia nell’esperienza della formazione e della consulenza manageriale.


Il legame fra stile di comunicazione e comportamenti è infatti ormai noto: ogni comunicazione costituisce un vero e proprio comportamento, un’azione che non solo trasmette informazioni neutre e oggettive all’interlocutore, ma classifica il tipo di relazione instaurata fra i soggetti determinando il significato stesso della comunicazione e la conseguente risposta comportamentale degli individui coinvolti (Watzalwick, Beavin, Jackson, 1967).

Il fine di questo lavoro è in primo luogo quello di poter acquisire una comprensione dello stile di comunicazione dell’altro sesso, non per cristallizzare in stereotipi le risposte comportamentali di singoli uomini e donne, ma per imparare a distinguere correttamente i due stili e ad utilizzarli all’occorrenza, componendo le diverse competenze coerentemente alle diversificate e variabili richieste organizzative, risolvibili solo con un utilizzo plastico e flessibile delle capacità comunicative -comportamentali. Inoltre, le forme di pensiero che verranno descritte appartengano ad entrambi i generi. Quello che varia è l’intensità e la padronanza che uomini e donne manifestano rispetto allo stile loro maggiormente congeniale, come dimostrano diverse recenti ricerche.


Infine, il disagio spesso descritto dalle donne nella vita organizzativa, ricollocato in un’ottica di genere, aiuta a comprendere che non deriva da una incapacità o incompetenza individuale. Nella formazione al femminile, il primo risultato visibile, consiste in una presa di coscienza della dimensione collettiva di problematiche che ogni singola donna considera private e facenti parte di un fardello soggettivo che molte di loro interpretano come patologico.



3. Linguaggio


La diversità di comunicazione al maschile e al femminile è spesso sottolineata anche dal senso comune. Tannen (2004) ne ha fatto un preciso ambito di studio e ha collezionato una tale quantità di aspetti collegabili al genere tanto da definire il dialogo tra uomini e donne come intraculturale.


L’utilizzo di sofisticate tecnologie diagnostiche ha permesso negli ultimi 20 anni di individuare con precisione le zone del sistema cerebrale attivate per lo svolgimento di specifiche funzioni.

Già dal 1995, studi poi confermati da ricerche successive, hanno rivelato che per i compiti connessi alla facoltà linguistica il cervello maschile e quello femminile operano in maniera diversa.


Nel primo caso viene attivato l’intero emisfero cerebrale sinistro, sede delle capacità matematiche, logiche, lineari, temporali mentre nel secondo caso si attivano due aree specifiche ognuna situata in un emisfero cerebrale: una più grande situata in quello sinistro ed una più piccola nell’emisfero destro deputato alle abilità associative, intuitive, spaziali, immaginative. La presenza nel cervello femminile di un corpo calloso più spesso di quello di un uomo, contenente il 30% in più di connessioni, assicura inoltre la possibilità di trasferire più velocemente le informazioni fra i due emisferi (Pease, 2001).


4. Le logiche di pensiero dei due emisferi cerebrali


EMISFERO SINISTROEMISFERO DESTRO Ragionamenti causa-effetto Processi di pensiero lineari, a scansione cronologica Linguaggi verbali - aritmeticiRagionamenti per analogie e similitudini Processi di pensiero sistemici e globali Linguaggio metaforico - associativo



Alcune ricerche inoltre indicano non solo che l’emisfero sinistro del cervello di una bambina si sviluppa più in fretta di quello di un maschio, portandola a parlare e leggere prima di un coetaneo, che nei centri cerebrali del linguaggio e dell’ascolto le donne possiedono l’11% in più di neuroni rispetto agli uomini (Witelson, 1995), ma anche che i genitori rispondono alle inclinazioni cerebrali dei figli tendendo a parlare più spesso e in modo più articolato con le femmine, rinforzando ulteriormente le loro abilità lessicali.

Il cervello femminile perciò è strutturato per utilizzare le parole come forma di espressione principale, e fa sì che la verbalizzazione degli argomenti avvenga in ordine sparso, seguendo le traiettorie incrociate fra i due emisferi. Da qui derivano delle evidenti maggiori capacità linguistiche delle donne, sia nella produzione e organizzazione dei messaggi, che nella quantità relativa di parole utilizzate.


Il modo di esprimersi degli uomini, che invece utilizzano solo l’emisfero sinistro, è generalmente più puntuale e ordinato, portandoli a sviluppare una strategia di comunicazione che dà maggiore enfasi ai contenuti e fa delle definizioni il suo punto di forza.


5. Modalità espressive prevalenti


MASCHILI FEMMINILIComunicazione generalmente molto puntuale e ordinata, governata dall’emisfero cerebrale sinistro Tendenza a verbalizzare gli argomenti in ordine sparso, seguendo le traiettorie incrociate fra i due emisferi cerebrali


Come sottolinea Valcarenghi (2003) il pensiero analitico tipicamente maschile procede secondo il principio del logos: classifica i temi affrontati per successive separazioni secondo ordine e razionalità, delimitando in aspetti sempre più parcellizzati e controllabili la realtà fino a possedere la conoscenza di ogni suo singolo aspetto, e inoltre ragiona in modo lineare, secondo un principio di causa-effetto di tipo logico-deduttivo che mira a rendere prevedibili i fenomeni.


Risulta perciò generalmente lucido, preciso, concentrato su un obiettivo.

Il pensiero femminile si basa invece prevalentemente sulla contemplazione sistemica dell’insieme dei fenomeni che osserva e sull’esame delle loro relazioni, non catalogando ma creando analogie e tenendo insieme elementi diversi, e inoltre procede secondo un principio ricettivo che permette di innescare un percorso mentale di associazione di idee, pensieri e ricordi suscitati dall’oggetto di indagine, che tende ad assorbire più che a possedere.


Potrebbe sembrare quindi disordinato e distratto, talora segue linee di ragionamento non afferrabili e perciò giudicate non razionali, ma in realtà semplicemente si dipana secondo un suo processo di elaborazione di dati e informazioni del tutto consce, che emergono in forma di conoscenza.

6. Le caratteristiche del pensiero


MASCHILE FEMMINILETeso a classificare i temi per successive separazioni secondo ordine e razionalità, delimitando in aspetti sempre più parcellizzati e controllabili la realtàPrevalentemente rivolto alla contemplazione sistemica dell’insieme dei fenomeni e all’esame delle loro relazioni


Dal punto di vista operativo, queste diverse competenze, hanno delle differenti ricadute.

Concretamente, le donne dimostrano maggiori abilità degli uomini nelle materie in cui è richiesta una grande abilità linguistica, e quindi affollano posizioni organizzative come l’insegnante, la traduttrice, oppure le funzioni che richiedono un pensiero sistemico e ricettivo come il marketing, la comunicazione, la selezione e la formazione, oppure attività dove viene richiesta un’alta capacità di innovazione. Il loro difetto è però che tendono ad esprimersi in modo non lineare, elencando le loro argomentazioni in ordine sparso, indicando diverse alternative e possibilità, esternando il loro processo di elaborazione delle informazioni più che obiettivi puntuali e specifici.


La modalità maschile di esprimersi, solitamente più essenziale, è per contro caratterizzata da frasi brevi, dirette, centrate sulle informazioni, con una descrizione sequenziale dei dati e con un preciso orientamento alla presa di decisioni e alla focalizzazione sugli obiettivi.

Nel mondo organizzativo, le modalità espressive tipicamente maschili mostrano un indubbio vantaggio sia in termini di efficienza della comunicazione, in quanto centrate sui contenuti e tendenti a definire scelte precise, sia in termini di valutazione da parte degli ascoltatori, che tenderanno a considerare questo stile il frutto di sicurezza personale sugli argomenti esposti.


Le modalità espressive tipicamente femminili possono invece sembrare ad un ascoltatore il frutto di incertezza personale e poca chiarezza di idee, ed esser giudicate complessivamente poco incisive. Non solo, spesso gli interlucori maschili non riescono a seguire e decodificare il flusso associativo e articolato della comunicazione femminile e, sentendosi persi, tendono a “staccare la spina” e a non ascoltare più. Questa dinamica è molto evidente, ad esempio, nei gruppi di lavoro, dove le donne vengono spesso ignorate in misura maggiore dei colleghi maschi, sia per una atavica sottovalutazione culturale del punto di vista femminile, ma anche per una incapacità concreta delle donne di essere essenziali e professionali nell’esporlo.


Dal punto di vista delle relazioni sociali la sinteticità della comunicazione tipicamente maschile sembra penalizzare l’intimità e la vicinanza empatica con l’altro, mentre è quella femminile, ricca di domande e pensieri in evoluzione più che di affermazioni certe ed elencazioni di dati ben definiti, che riesce a creare una relazione di complicità e condivisione con l’interlocutore.


In effetti, la ricerca sociolinguistica conferma che gli scambi comunicativi quotidiani di uomini e donne presentano una prevalenza di due diverse finalità, coerenti con le differenze sopra descritte dell’impianto neurologico che li governa.

Mentre per le donne la comunicazione è un modo per creare intimità, ovvero un mondo di legami dove vengono minimizzate le differenze e ricercato il consenso, per gli uomini le conversazioni sono negoziati nei quali vengono dimostrate conoscenze e competenze che stabiliscono uno status non attaccabile da altri, con la finalità di difendere la propria indipendenza. Queste differenze nella prevalenza della ricerca dei legami e dell’autonomia sono già riscontrabili dai comportamenti di bambini e bambine a partire dai tre anni e fino ai ragazzi in età preadolescenziale (Tannen, 2004).


I maschi si vantano reciprocamente delle loro abilità, litigano per stabilire chi è il più bravo, giocano in gruppi numerosi e strutturati gerarchicamente con regole elaborate, nel gioco stabiliscono vincitori e perdenti e hanno sempre un leader che è colui che impartisce ordini e si mette al centro dell’attenzione.

Le femmine giocano in piccoli gruppi o a coppie, il centro della loro vita sociale è la migliore amica, fanno giochi dove possono partecipare a turno o comunque non sono previsti vincitori o perdenti, non danno ordini ma propongono suggerimenti o formulano domande e non desiderano mettersi troppo al centro dell’attenzione perché questi atteggiamenti le farebbero considerare prepotenti da parte delle altre femmine, perdendone il consenso.


Addirittura il livello di autostima personale di donne e uomini è stato messo in relazione alla capacità di conservare la propria indipendenza dagli altri nel primo caso e all’abilità nel conservare rapporti con il prossimo nel secondo caso (Josephs 1992; Mackie 2000).

Per esempio, mentre le donne ritengono naturale consultarsi con altri per prendere decisioni, ricercando e offrendo consenso e ascolto all’interno di una rete di relazioni di fiducia, gli uomini preferiscono condurre i loro processi di scelta in modo autonomo per avere libertà di azione, e tanto maggiore è l’importanza della scelta tanto più lungo sarà il tempo in cui si ‘chiuderanno nella caverna’ in solitudine prima di esprimersi (Gray, 1992).


7. Le finalità


PER CREARE INTIMITA’ La comunicazione rivolta a creare un mondo di legami dove vengono minimizzate le differenze e ricercato il consenso sembra prevalentemente femminile PER STABILIRE L’INDIPENDENZA La comunicazione mirata a dimostrare conoscenze e competenze che stabiliscano uno status non attaccabile da altri, con la finalità di difendere la propria indipendenza, sembra prevalentemente maschile


Gli atteggiamenti descritti richiamano immediatamente gli stili di partecipazione alla vita organizzativa e di direzione manageriale, tipicamente espressi da donne e uomini.

Nel caso dei giochi maschili troviamo assonanza con atteggiamenti competitivi e direttivi, premiati all’interno di imprese fortemente strutturate o caratterizzate da stili gerarchici formali e verticali. Nel caso dei giochi femminili le organizzazioni più coerenti sono quelle a bassa dimensione gerarchica e che utilizzano strumenti di integrazione di gruppo, come la scuola, oppure ruoli trasversali su progetti che hanno poca storia consolidata e la necessità di competenze negoziali per favorire scambi interdisciplinari su tematiche nuove, e capacità di gestione delle persone basata sul coordinamento più che sulla prescrizione.

Le stesse dimensioni, peraltro, sono state utilizzate da Hofstede (2001), come uno degli indicatori per leggere le culture geografiche.


A relativa conclusione potremmo affermare che l’analisi delle differenze di linguaggio al maschile e al femminile, collegata a differenze sia ormonali che neurobiologiche (Pease, 2001; Brinzedine, 2007), unitamente alla constatazione che uomini e donne ‘crescono in culture essenzialmente diverse …’ (Tannen, 2004), aprono uno spaccato organizzativo di lavoro sui temi della diversità operativamente molto ampi. Oltre al tema della consapevolezza individuale e agli accorgimenti soggettivi necessari per meglio comunicare tra i due generi, è utile pensare, come vedremo più avanti, a leve organizzative, quale ad esempio la formazione, per migliorare complessivamente la comunicazione organizzativa.



8. Emotività


Le modalità maschili di gestione dell’emotività, rilevate sia dalla ricerca antropologica, che riscontrate nel patrimonio genetico dell’uomo, sono tese a nasconderla come elemento di debolezza con l’obiettivo di mostrare sempre un coraggio individuale. Da qui derivano atteggiamenti prevalentemente sospettosi, modalità combattive, rigoroso controllo su di sé, con un orientamento alla difesa e alla sopravvivenza (Pease, 2001).


A supporto delle differenze di genere nelle reazioni emotive, le indagini attraverso risonanze magnetiche hanno mostrato che uomini ai quali venivano sottoposte immagini dalla forte carica emotiva, attivavano una precisa area dell’emisfero cerebrale destro (Witelson, 1995). Questa localizzazione maschile della reazione emotiva, insieme ad un corpo calloso più sottile di quello femminile, consente di reagire a sensazioni emotivamente forti usando separatamente le facoltà cerebrali: un uomo sembrerebbe capace di usare la logica, attivando solo l’emisfero cerebrale sinistro, anche quando l’emisfero destro sta registrando emozioni forti, con un conseguentemente coinvolgimento relativo.

Ovviamente, anche gli aspetti culturali condizionano profondamente i comportamenti, rinforzando, ad esempio, la capacità maschile di non dimostrare apertamente la propria emotività, considerata segno di debolezza e vulnerabilità.

Le stesse indagini circa l’impatto di immagini emotivamente forti hanno fatto invece registrare nelle donne l’attivazione di entrambi gli emisferi, in aree molto più estese di quelle coinvolte nel cervello maschile (Witelson, 1995). Questo risultato, considerata inoltre l’esistenza di corpo calloso più ampio di quello maschile, spiega perchè l’emotività può interferire in modo molto più importante nelle donne che negli uomini con le altre funzioni cerebrali.


Un altro motivo per cui le donne sono in generale più sensibili alle emozioni e riescono più difficilmente a prenderne le distanze è legato al fatto che le connessioni tra i centri emozionali dei sistema cerebrale (amigdala, ipotalamo, ippocampo) sono più attive ed estese che negli uomini (Brinzedine, 2006).


L’amigdala, che in entrambi i sessi costituisce il sistema di allerta e coordinamento cerebrale che mette in azione gli organi del corpo perché si tengano pronti a captare gli stimoli emotivi in arrivo, nelle donne viene attivata dalle sfumature emotive più facilmente che negli uomini .

E dall’amigdala dipende poi l’attivazione dell’ipotalamo, che coordina i meccanismi di regolazione della pressione sanguigna, del battito cardiaco, del ritmo respiratorio; dell’ippocampo, deputato alla memoria di lungo periodo delle esperienze connotate emotivamente (come piacere o dolore) il cui sviluppo maggiore nelle donne ne spiega anche la capacità, non eguagliabile dagli uomini, di ricordare tutti i dettagli delle esperienze emotive.

Le donne dimostrano inoltre un’alta capacità di percepire le emozioni altrui.

Gli psicologi evoluzionisti ipotizzano che questa sensibilità molto acuta, sviluppata a livello istintivo e viscerale, consentisse in epoche arcaiche di captare in anticipo comportamenti potenzialmente pericolosi o aggressivi da parte di altri adulti, evitandone le conseguenze e potendo proteggerne la prole così come ancor oggi è questa sensibilità che permette di capire le necessità dei bambini che ancora non parlano (Taylor, 2000; Campbell, 1999).


Anche le differenze nell’evoluzione del sistema cerebrale, fin dalla prima infanzia, dimostrano una specializzazione femminile nella percezione delle emozioni degli altri.

Durante i primi tre mesi di vita in una bambina la capacità di contatto visivo e di osservazione dei volti degli adulti che la accudiscono accresce di oltre il 400%, mentre è nulla nei maschietti (Leeb, 2004) e ciò le porta a nutrire grande interesse e ad avere una forte capacità di comprensione di tutti i segnali non verbali (sguardi, gesti, espressioni del viso, toni della voce) che esprimono emozioni.


Questa facoltà le porta inoltre a comprendere molto velocemente e perciò a sviluppare una particolare sensibilità ai segnali di approvazione e disapprovazione sociale: le bambine capiscono cioè molto bene se vengono considerate importanti, degne d’amore e di attenzione, irritanti, etc. (Tannen, 2004), con implicazioni critiche rispetto alla loro capacità, anche da adulte, di sostenere situazioni in cui possono venire criticate o attaccate, come nei conflitti e nel momento della rottura delle relazioni.

Non solo questa capacità di percepire, ma anche di rispecchiare fisicamente i segnali emotivi trasmessi dagli interlocutori, che risulta molto evidente dalla propensione e dal successo femminile nelle attività di ascolto, sostegno e cura degli altri e nell’alta capacità di decodificare le intenzioni dei loro interlocutori, fa pensare agli scienziati che nel cervello umano femminile ci possano essere più neuroni specchio che in quello maschile.


Inoltre, va sottolineato che la capacità di governare le emozioni nelle donne è soggetta alle influenze ormonali, in modo maggiore che al maschile.

Mentre lo stato neurologico di un uomo è equiparabile ad una montagna, erosa impercettibilmente nel corso dei millenni … quello femminile può essere paragonato al tempo atmosferico, in perpetuo cambiamento e difficile da prevedere’ (Brinzedine, 2006, pag.19) tanto forte è l’influenza sul suo stato d’animo e sul suo comportamento dell’alternanza di afflusso di estrogeni e progesterone durante le differenti fasi ormonali - infanzia, adolescenza, cicli mestruali, maternità, menopausa.


Gli estrogeni per esempio, che rinforzano l’impulso a creare legami sociali basati sulla comunicazione, portano ad evitare gli attriti e influenzano le capacità di osservazione dell’altro da sè, di protezione e di cura, funzionalmente allo sviluppo delle funzioni riproduttive.

Quando la presenza di estrogeni e progesterone è alta, nel cervello si rileva inoltre una maggiore quantità di serotonina, che ha un funzione di regolazione dell’umore e della sensibilità allo stress.


Poiché il livello di questi ormoni segue le fasi di sviluppo degli organi riproduttivi e dei periodi di fertilità, anche le funzioni ad essi collegate seguono un andamento irregolare, che provoca cambiamenti anche repentini di reazione di fronte a situazioni potenzialmente stressanti e alterazioni dei comportamenti relazionali (Brinzedine, 2006), tanto da far definire le donne come ‘onde …’ che vanno ‘da un picco di benessere e generale stima di sé e delle proprie capacità … ad un affondare nell’incertezza emotiva’ (Gray, 1992, pag. 122).


In alcuni momenti della vita organizzativa la sensibilità emotiva tipicamente femminile può non rivelarsi vincente: negoziazioni su posizioni forti, conduzione di ristrutturazioni e riorganizzazioni, gestione di collaboratori critici, richiedono lucidità mentale e freddezza di reazione costanti nel tempo.


Viceversa, in altri momenti, l’attenzione e la capacità di ascolto degli altri, è però estremamente funzionale. In tutte le attività di servizio ad esempio, dove è necessario analizzare il fabbisogno sia del mercato che delle persone. E’ questo uno dei tratti caratteristici del management al femminile, rilevato come funzionale in situazioni di mercati altamente competitivi, dove l’innovazione di servizio si rivela vincente (Wachs Book, 2001).


In attività a forte esposizione personale, come ad esempio il parlare in pubblico, la sensibilità alle espressioni non verbali degli ascoltatori può distrarre una relatrice facendole porre maggiore attenzione alle reazioni del pubblico piuttosto che al suo obiettivo comunicativo, creandole maggiori difficoltà personali di quelle percepite mediamente da un uomo nella di gestione dello stress naturalmente connesso ad una attività a forte esposizione personale.


Anche in questo caso, però, la stessa attenzione, unitamente alla capacità di rispecchiamento degli stati d’animo degli ascoltatori e alla naturale tendenza ad usare il linguaggio per creare legami piuttosto che per affermare uno status, può favorire una maggiore capacità di vicinanza emotiva al pubblico, portando più facilmente le donne, anche nella comunicazione uno-a-molti, a creare una relazione meno fredda con il pubblico, utilizzando esempi concreti che suscitino la risonanza emotiva di chi le ascolta.

Le modalità maschili, per contro, spesso maggiormente autocentrante e quindi poco sensibili alla risposte dell’uditorio, possono essere visibilmente meno soggette a difficoltà di natura emotiva, ma anche fredde e distanti da indisporre coloro che ascoltano.



9. Aggressività e gestione dei conflitti


Il testosterone è l’ormone del successo, delle conquiste e della competitività.

Questi ormoni si formano fra la sesta e l’ottava settimana di gestazione: è questo il momento i cui il cervello fetale, finora femminile, se riceve un massiccio afflusso di testosterone si trasforma in maschile, sopprimendo alcune cellule dei centri della comunicazione e facendo crescere maggiormente le cellule dei centri del sesso e dell’aggressività.


Se non riceve questo afflusso, il sistema cerebrale proseguirà la sua crescita secondo una struttura femminile e le sue cellule inizieranno a produrre maggiori connessioni nei centri della comunicazione e dell’ elaborazione delle emozioni.

Nei 24 mesi successivi alla nascita, il cervello femminile svilupperà ulteriormente queste caratteristiche grazie ad un aumento degli estrogeni.

In entrambi i sessi il testosterone avrà poi un sensibile aumento all’inizio della pubertà, facendo cambiare la percezione di sé degli adolescenti, che inizieranno a sentirsi individui sessuali, indipendenti, in grado di farsi valere nel mondo (Brinzedine, 2006).


La presenza di questo ormone nel sistema neurobiologico determina alcuni comportamenti caratteristici. Nel mondo animale, per esempio, i maschi con i livelli maggiori di testosterone dettano legge nel branco; le iene maculate addirittura hanno così alte quantità di questo ormone che i cuccioli nascono già con i denti e la loro aggressività li porta spesso a divorarsi fra loro (Pease, 2001). Atleti al termine di eventi sportivi registrano un livello di testosterone più elevato della media, e ancora più significativo è il dato che ha registrato i livelli di testosterone nei tennisti al termine di una competizione: mentre era molto più alto della media nell’atleta vincente, era molto più basso della norma in quello perdente.


In una ricerca (Dabbs, 2000) sono stati misurati i livelli di testosterone di uomini di diversa condizione sociale (dirigenti aziendali, politici e sportivi) e i leader di ogni settore dimostravano livelli più alti degli altri soggetti.


Nella stessa ricerca anche le donne di successo di diverse categorie professionali hanno fatto registrare livelli di testosterone di gran lunga più alti di quelli femminili medi.

La ricerca ci dice che un’elevata presenza di questo ormone, già a livello genetico predice il successo nelle attività svolte, ma anche che ottenere successo stimola la produzione di maggior quantità di questa sostanza. Di conseguenza, non è solo l’alta presenza congenita di testosterone che facilita comportamenti aggressivi o competitivi negli uomini, ma anche il fatto che essi abbiano processori più grandi di quelli femminili nell’amigdala che registra, fra le altre emozioni, anche la paura scatenando conseguentemente l’aggressività.


Fra gli adolescenti, se coinvolti in un conflitto il 74 % dei ragazzi tende a risolverlo con frasi o gesti aggressivi mentre il 78 % delle ragazze tende ad allontanarsi o usare la diplomazia (Tannen, 2004).

I maschi cioè possono arrivare allo scontro fisico anche in pochi secondi, mentre come abbiamo visto le ripercussioni emotive di un conflitto provocano tensioni più profonde e più diffuse nelle aree cerebrali femminili, portandole ad evitarlo in tutti i modi.


Stanti però le differenze neurobiologioche descritte, è possibile leggere il tema dell’aggressività non solo con la valenza di dominio sugli altri, ma come ‘l’istinto che spinge ad appagare il desiderio di affermazione di sé nel mondo’ (Valcarenghi, 2003) e riflettere su alcune implicazioni nei comportamenti di uomini e donne.


Mentre i maschi sembrano avere un rapporto sereno con la loro aggressività, e di conseguenza nel loro comportamento l’autodifesa sembra più naturale, le donne paiono avere un deficit aggressivo che le porta ad avere difficoltà a riconoscere e proteggere la propria identità e il proprio progetto di vita, fino ad arrivare quasi all’annullamento anche di sani istinti di ‘difesa del proprio territorio’ (Valcarenghi, 2003) in nome della salvaguardia dei legami e dell’intimità.


Gli uomini reagiscono al conflitto con l’attacco o la fuga, mettendo in pericolo la relazione ma salvaguardando la propria identità. Le donne ricorrono ad atteggiamenti meno lineari, come la simulazione (far finta che non ci sia il problema) o la ritirata (assumersi la colpa dell’accaduto), che permettono almeno apparentemente e nel breve periodo di non rompere il legame con l’interlocutore, ma mettono a rischio l’autostima e creano risentimenti di lungo periodo che vanno comunque a ledere la qualità della relazione.


Alcuni studi dimostrano che in genere, quando scoppia un conflitto o un litigio, le bambine decidono di smettere di giocare, mentre la maggior parte dei bambini continua accanitamente, cercando di averla vinta, entrando in competizione e discutendo per ore su chi sarà il capo o chi potrò usare il giocattolo conteso (Maccoby, 1998).


Per sintetizzare si potrebbe dire che il retropensiero maschile ‘Siamo tutti uguali’ fonda la competizione, mentre quello femminile ‘Nessuno deve soffrire’ fonda la solidarietà (Gilligan, 1987).





LA REAZIONE FEMMINILELA REAZIONE MASCHILEAtteggiamenti generalmente poco lineari, mirati a non rompere il legame con l’interlocutore, mettendo potenzialmente a rischio l’autostima ‘Nessuno deve soffrire’Attacco o fuga, con la tendenza a mettere in pericolo la relazione, ma salvaguardando la propria identità ‘Siamo tutti uguali’


Gli atteggiamenti maschili e femminili meritano di essere ripensati quando si consideri una comunicazione di successo quella in cui riusciamo ad ottenere due obiettivi contemporaneamente.

Il primo è sentire il piacere di affermare sé stessi e sostenere i propri progetti e le proprie idee ed è una competenza più tipicamente maschile, finalizzata a celebrare la propria indipendenza (aspetto sul quale per le donne può essere salutare sviluppare apprendimento), ma che rischia di diventare un attacco ai bisogni e alle istanze altrui.

Il secondo è saper porre attenzione ai bisogni e alle idee dell’interlocutore per non compromettere la relazione ed è una competenza più tipicamente femminile, finalizzata a mantenere i legami (aspetto sul quale gli uomini possono sviluppare un proficuo apprendimento), ma che comporta il pericolo di inficiare il riconoscimento dei propri diritti (Bauer, Bagnato, Ventura, 2002).

Infine è interessante sottolineare che nel ciclo di vita queste diverse competenze di base possono subire delle evoluzioni. Come sottolinea Brizendine (2006) gli influssi ormonali nella vita della donna hanno uno scarto in presenza della menopausa. Molti dei comportamenti “materni” vengono meno e si affermano una maggiore lucidità nella programmazione della propria carriera e una minore attenzione all’opinione degli altri.

Queste caratteristiche spiegano perché, ad esempio, le modalità motivazionali delle donne e degli uomini oltre i 45 anni possono avere delle differenze sostanziali. Le prime hanno ancora una elevata propensione alla carriera, soprattutto le madri che vedono aprirsi delle potenzialità prima negate, i secondi spesso sono spesso più orientati a chiudere onorevolmente la vita lavorativa e a dedicarsi ad altre attività (Bombelli, Finzi, 2006)



10. Progettazione organizzativa, formazione e differenze di genere


Le considerazioni sopra riportante consentono di affermare che le organizzazioni, fino a pochi anni fa luoghi prevalentemente maschili, sono progettate ed operano con connotazioni di genere abbastanza precise. E’ nella dimensione dell’implicito in cui spesso si annida l’esclusione femminile e prenderne coscienza è il primo passaggio per orientare in modo diverso la progettazione organizzativa e formativa.


Un primo elemento è quindi quello della conoscenza. E’ importante, ad esempio, che negli innumerevoli corsi sulla comunicazione svolti in azienda si sottolineino le diversità di genere e si dotino sia gli uomini che le donne di strumenti concreti per intendersi al di là delle reciproche specificità.


E’ successivamente importante cercare di comprendere dove e come esistano delle situazioni in cui le diversità non gestite si tramutino in discriminazione implicita. Ad esempio negli studi sul pay gap viene messo in luce come spesso esista un performance gap, ovvero una implicita valutazione maggiormente critica sulle minoranze. E’ importante quindi cercare di comprendere dove le modalità maschili possano venire generalizzate fino a non accettare, sempre in modo implicito, le caratteristiche femminili emergenti.


Elementi di questo tipo possono essere riscontrati in tutta la pipeline di gestione del personale, dalla selezione alla valutazione. Nella selezione, la prevalenza del colloquio personale rispetto a strumenti più obiettivi di valutazione può portare a sottovalutare le competenze femminili da parte di un selezionatore maggiormente ancorato a valutare positivamente aggressività, determinazione, stile cognitivo analitico-lineare, analogamente a quanto può accadere nella valutazione della prestazione.


Anche i processi di empowerment alla luce delle considerazioni sviluppate possono apparire molto diversi. Le donne necessitano di un sostegno formativo che si esprima nella capacità di cogliere obiettivamente le proprie competenze, di saper gestire in modo appropriato l’emotività, senza cancellarela, ma orientandola nei momenti organizzativi pertinenti. Viceversa esse debbono sviluppare una capacità di separare gli elementi di contenuto da quelli relazionali, per apprendere a non estendere la dimensione lavorativa a quella personale in modo iperbolico.

Dal canto loro gli uomini possono diventare più assennati nel gestire la dimensione di ascolto e nel limitare il desiderio personale di affermazione, soprattutto se divergente da quello dell’organizzazione.


Nei comportamenti organizzativi non è possibile pensare, come spesso avviene, che le dinamiche subiscano nel tempo degli assestamenti sempre positivi. Dinamiche non governate, e non solo dal punto di vista del genere, possono diventare devastati. Certamente un dato appare in letteratura incontrovertibile: i gruppi a forte maggioranza maschile o femminile presentano delle patologie speculari che una maggiore promiscuità aiuta a prevenire. Diversità quindi, ma anche formazione e supporto ai coordinatori dei gruppi di lavoro affinché imparino a gestire le dinamiche di crescita di un gruppo e le potenziali esclusioni di modalità di pensiero diverse.


Nella formazione è bene che i relatori siano sia maschi che femmine, proprio per sperimentare, al di là dei contenuti trattati, delle modalità diversificate.

Inoltre si fanno strada ipotesi di aule differenziate per alcuni contenuti.

Ad esempio il tema della leadership potrebbe essere affrontato in modo univoco per quanto riguarda le premesse e le connessioni con la cultura organizzativa, mentre potrebbe avere una derivazione “al femminile” per un gruppo di donne in crescita che devono sperimentare delle dinamiche interiori e interpersonali completamente differenti dai loro colleghi maschi.


Oppure lo sviluppo dell’assertività che per gli uomini rappresenta la sfida a trovare una modalità di comunicazione che, pur mirando al raggiungimento dei propri obiettivi, riesca a rispettare le posizioni dell’altro, mentre per le donne ha l’obiettivo di costituire una modalità di sostenere in modo forte le proprie idee, senza sacrificarle per il timore di rompere il legame con l’altro, può essere anch’essa declinata in modo diverso.

Ancora, possono essere oggetto di una formazione di genere, le modalità del ‘parlare in pubblico’ che, pur avendo una base comune nelle metodologie di progettazione dei contenuti, hanno declinazioni diverse al maschile e al femminile nelle modalità di gestire la relazione con il pubblico e di sostenere l’impopolarità potenziale legata al ruolo di protagonismo.




Conclusioni



La paura di venire discriminati in base al sesso a cui si appartiene ha radici profonde, e per molti anni le ipotesi sulle differenze sessuali non sono state esaminate scientificamente, nel timore che le donne non potessero pretendere una parità con gli uomini. Fingere però che i maschi e le femmine siano uguali rende un pessimo servizio sia gli uni che alle altre, e alla fine penalizza le donne. Perpetuare il mito del modello maschile significa ignorare la specificità biologica delle donne, e dunque la predisposizione ad alcune malattie, la loro gravità e le possibili cure, oltre a non tenere conto dei modi diversi con cui le donne elaborano il pensiero stabilendo delle priorità” (Brizendine, 2006, pag 208)

Le parole di una autrice molto citata in questo lavoro compendiano alcuni dei messaggi chiave che è opportuno ridondare.


Vi è stata un’epoca, non molto lontana e non ancora del tutto tramontata, in cui le donne non hanno deliberatamente voluto affrontare il tema della loro diversità in relazione al lavoro. Il timore, assolutamente giustificato, era di venire ancora una volta escluse in virtù delle loro specificità.

Inoltre, come si è anticipato in premessa, ogni volta che ci si spinge su un terreno biologico si paventa il correlato di condanna che questo comporta, anche in questo caso non a torto. Migliaia di esperti hanno nel passato e ancora attivamente nel presente, utilizzato ricerche più o meno scientifiche per prescrivere alle donne comportamenti appropriati, che il più delle volte erano a detrimento della libertà e della possibilità di autodertminazione (Ehrenreich, English, 2005)


Un tipo di critiche quindi, non scevre di ragioni.

Oggi , però, si prospetta un cambiamento che appare foriero di molte potenzialità positive. Dal punto di vista femminile comprendere meglio le proprie radici biologiche aiuta per trovare strumenti più efficaci e pertinenti nel raggiungere i propri obiettivi, anche quelli di carriera. Dal punto di vista organizzativo, le disamine delle potenzialità aprono prospettive di un utilizzo migliore delle diverse compentenze.

Le caratteristiche femminili vengono ormai da molte parti invocate come una necessaria correzione di rotta, sia a livello sociale e strategico, che nella dimensione organizzativa e congiunturale.


E’ necessario ora riempire il gap tra le enunciazioni e le pratiche aziendali, considerando che l’Italia si trova in una posizione di estrema arretratezza. Come parametro obiettivo si può considerare il Global Gender Gap Index (www.weforum.org) calcolato dall’autorevole World Economic Forum, che pone l’Italia al 84esimo posto nel garantire una uguaglianza di opportunità ai due generi.


E’ un dato che nella sua sinteticità descrive da un lato la gravità dell’esclusione delle donne dai processi di empowerment, dall’altro sollecita una maggiore consapevolezza circa la situazione e, soprattutto, la progettazione di strumenti organizzativi concreti per affrontare il tema nelle singole realtà.


E’ indubbio che le organizzazioni che sapranno utilizzare con maggiore consapevolezza il potenziale femminile, oggi molto competente e ricco di opportunità, potranno avere un vantaggio competitivo migliore. Questo lavoro ha cercato, in questa direzione, di offrire degli spunti concreti per lo sviluppo di organizzazioni in questo senso più complete..





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